INTERVISTA
UGO NESPOLO “Dobbiamo recuperare il ruolo e la dimensione culturale dell’arte”
Oggi l’arte sta diventando per molti aspetti una commodity i cui valori vengono stabiliti da un sistema, cosiddetto Artworld, rigidamente orientato al business e sostenuto da una tecnologia sempre più determinante nello stabilire e indirizzare i gusti e le tendenze degli investitori, dei collezionisti, del pubblico. Ne parla in questa intervista ad ArteCultura Magazine il Maestro Ugo Nespolo. Che apre anche una riflessione sulla vera natura dell’arte, sulla sua funzione e il suo significato nella società contemporanea.
Angela Maria Scullica
L’arte è stata a lungo considerata la più alta forma di espressione, un modo per catturare e condividere l’esperienza umana attraverso i secoli. Tuttavia, oggi ci troviamo in un’epoca in cui l’arte è spesso vista come poco più di una commodity, un mondo in cui la creatività è valutata principalmente in base al successo di mercato. In un simile contesto, viene così stravolto il ruolo fondamentale dell’arte nella cultura e nella vita di tutti i giorni delle persone. L’arte ci aiuta a vedere il mondo attraverso gli occhi degli altri, a connetterci con le loro emozioni e a capire la complessità dell’esperienza umana. Ci aiuta a dare un senso alla nostra vita, a trovare significato in momenti difficili e a celebrare le nostre vittorie. Inoltre, è una testimonianza del tempo e della cultura in cui è stata creata. Attraverso le opere d’arte, siamo in grado di vedere come le persone vivono, pensano e si relazionano tra loro in un determinato periodo storico. Ci offre un’opportunità unica di comprendere e apprezzare le differenze culturali e di riconoscere il valore della diversità. Nonostante questo, l’arte ha, oggi ancora di più, bisogno di recuperare il suo ruolo fondamentale come testimone del tempo. Pertanto, è importante che la società intera riconosca il valore della creatività e della cultura, e che sostenga artisti e istituzioni che lavorano per preservare e promuovere l’arte. Ma per comprendere meglio come, in un’epoca di intenso sviluppo tecnologico che si sta aprendo sempre di più all’intelligenza artificiale, sta cambiando il concetto di arte e per fare il punto su un sistema, cosiddetto Artworld sempre più orientato al business e alla mercificazione dell’arte, ArteCultura Magazine ha intervistato Ugo Nespolo, grande maestro dell’arte contemporanea, intellettuale e studioso, autore di diversi libri, tra cui l’ultimo edito da Skira “Vizi d’arte”
Lo scorso anno il maestro Ugo Nespolo ha pubblicato con Skira il libro “Vizi d’arte” che è una raccolta di scritti, frutto di un’appassionata ricerca sull’Artworld, ovvero, in una parola sola, il mondo dell’arte, e noi partiamo da qui, dalla scelta del titolo “Vizi d’arte”. Perché questo titolo?
L’idea parte dal titolo di una romanza di Toscanini “Vissi d’arte”. Per affrontare il tema dell’Artworld andava bene anche “vissi” ma, siccome l’arte ha molti vizi, allora ecco il giochetto letterario: “Vizi d’arte”. C’è un motto, non so ereditato da chi, che dice “in guerra col mondo intero a cuore leggero” che si adatta bene al fatto che in arte non si può fare a meno di essere critici perché ciò significa aver voglia di capire. Fingere di aver capito tutto e che l’arte abbia bisogno di teorie, che sia semplicemente un mestiere come altri, è una grossa limitazione, un grande errore che non ci permette di comprendere cosa sta succedendo nel mondo dell’arte che è molto complesso e articolato, con molteplici varianti e sfaccettature. La domanda principale è: che ruolo ha l’arte nella cultura e nella vita di tutti i giorni delle persone? Un ruolo molto marginale. Può interessare infatti a qualche collezionista, più o meno abbiente, ma se noi fermassimo una persona per strada per chiederle che ruolo ha l’arte nella sua vita, vi scambierebbe per un pazzo o comunque resterebbe molto sorpresa. Questo perché l’arte è marginale nella vita sociale di oggi, è un decoro, un elemento in più, con un valore di collezionismo per chi fa business. Ma quello che a me interessa dell’arte, è innanzitutto la sua valenza culturale cioè il ruolo che ha giocato nel passato e gioca ora nella vita di tutti dal punto di vista culturale. Oggi la cultura artistica e figurativa è difficile da identificare. Ma come, potrebbe dire qualcuno, proprio oggi che abbiamo una diffusione museale planetaria con un numero in crescita di persone che corrono a visitare i musei? Sì, forse questo è vero, ma ciò non ha contribuito a fare dell’arte un fatto più radicato e profondo nella propria esistenza. Non così si può dire per il passato. Quando per esempio Duccio di Buoninsegna dipinse a Siena la Maestà, l’opera venne portata in Duomo in trionfo di popolo. Il popolo, quindi, partecipava con tutto sé stesso. Ma certo, voi direte, perché la religione è un collante straordinario e per la religione l’arte comunicava valori non terreni e poteva pertanto rappresentare il tramite ideale per collegare l’uomo al trascendente. Ma l’arte oggi non può più farlo. Allora cos’è l’arte nel nostro contemporaneo? Il libro che ho scritto, insieme agli altri che ho pubblicato in precedenza “Per non morire d’arte” e “Maledette belle arti”, hanno tutti la stessa valenza, quella di aprire una finestra critica sul mondo dell’arte. Il mio però non vuole essere un criticismo distruttivo, ma costruttivo. L’obiettivo infatti è quello di tentare l’impresa impossibile, quella che neanche Superman potrebbe fare, di smontare e un po’ ripulire l’arte da questa impalcatura rigida e obbligata che la costringe a essere soltanto un oggetto del mercato. Perché, se è vero come si dice oggi, che solo ciò che costa, vale, allora in arte solo ciò che costa è un’opera? Questo assioma contraddirebbe tutto il sistema dei secoli passati ma anche recenti, in cui artisti che in vita non erano stati valorizzati, hanno poi acquisito valore
L’arte ha sempre espresso un po’ il pensiero contemporaneo e un modo per far vedere e attirate l’attenzione su delle verità non facilmente percepibili con la vista e oggi cosa mostra?
Oggi mostra una polverizzazione generale. Pensiamo alle avanguardie storiche che si sono susseguite all’inizio del Novecento, a partire dal cubismo per passare poi al futurismo, al surrealismo, al dadaismo fino a tutti gli altri “ismi” arrivati fino a noi. Esse mostravano credenze, teorie che speravano in un futuro migliore. Pensiamo per esempio al futurismo che metteva in risalto il mito della macchina, della velocità, ai quadri di Balla che facevano emergere le compenetrazioni, le forze e la mitologia del mondo moderno legato ancora alla vecchia idea filosofica della “modernità”. Si credeva che il mondo, tutto il mondo, vivesse per un futuro che, nonostante un presente tribolato da paure, drammi e guerre, avrebbe alla fine presentato la revanche, e cioè la rivincita e la rivalsa. La storia andava avanti con la speranza del fondo. Poi però i filosofi hanno incominciato a dire che è quell’idea era finita, che il mondo si dirigeva verso la postmodernità, come se la storia non esistesse più e che l’artista, ma non solo, la cultura in generale, producesse gesti vani e inutili. Con la postmodernità, si è sviluppato il pensiero che in arte tutto va bene, qualsiasi cosa è, o può essere, un’opera d’arte ma se ciò fosse vero chiunque potrebbe essere un artista, quindi l’arte può essere dappertutto. Ma, come ben sappiamo, il contrario del tutto è il nulla. L’arte è quindi dappertutto e da nessuna parte. E non si tratta tanto di una teoria vaga e filosofica, ma di un pensiero che si è dimostrato reale, nel senso che ha abolito la capacità esecutiva. Si può dire infatti che, dopo Marcel Duchamp che aveva inventato i cosiddetti “oggetti pronti” cioè il ready-made, che erano oggetti d’uso, ha preso forma la teoria che tutto fosse un’opera d’arte. Essa ha portato a un confusionismo produttivo, l’arte è diventata più complessa, si è divisa in mille frammenti. Mentre all’epoca dell’impressionismo, del cubismo ecc., gli artisti facevano opere affini o simili perché seguivano dei canoni precisi di giudizio, adesso, se tutto è arte, diventa difficile giudicare. E il filone che si segue è soltanto economico. In omaggio a quel famoso assioma che dicevo prima “ciò che costa vale” basta far costare una piccola scultura di Jeff Koons 84 milioni di euro e il gioco è fatto. Ma questo porta alla dimenticanza e alla cancellazione di artisti validi dal mercato. Tutti coloro, cioè quasi tutti, che non possono accedere a quelle vette economiche, vengono considerati artisti di serie B, C o Z con tutte le conseguenze che ne derivano in termini morali. La cultura figurativa è appannaggio soltanto di alcune équipe, gruppi enclave, molto strutturati e autoritari che decidono che quei sei artisti costano così, dunque, valgono così che l’arte è quella, che quello è il faro da seguire. Tutte cose che poi vengono praticamente smentite nel corso del tempo sempre e comunque. Non ci credete? Guardate nella storia dell’arte quante cancellazioni sono state fatte, quanti artisti che prima venivano osannati ora sono scomparsi. Pensiamo soltanto alla cultura informale degli anni Sessanta, in quel periodo al Gran Palais di Parigi c’erano mostre di quadri di espressionismo astratto tutti uguali, lunghi chilometri. Di quegli artisti saranno in tutto 5 o 6 quelli che si ricordano oggi, tutti gli altri sono spariti. Voi direte, fa parte del solito gioco del cambiamento del gusto eccetera. Anche questo è vero, ma la verità è che è sostanzialmente cambiata l’idea che l’arte sia soltanto un bel decoro per un investimento incerto. Adesso per comprare un’opera d’arte non si va di proprio gusto e cultura, ma ci vuole un art maker, uno che segue il trend finanziario perché le opere d’arte sono semplicemente degli oggetti di investimento. L’arte è equiparata a una merce che, come tutte le merci, non porta con sé un messaggio di valore superiore al suo valore economico. Ecco, quindi, questi sono tutti i discorsi che devono stare sul tappeto oggi se si vuole capire di cosa si parla. Ovviamente nell’Artworld ci sono artisti validi, persone che provano a ragionare, anche se con molta fatica. Prima era infatti tutto più facile perché le opere d’arte nascevano sulla scorta di teorie. Pensiamo soltanto ad un fatto molto banale e semplice: quando Marinetti pubblicò nel 1909 sul Figaro di Parigi il primo manifesto del futurismo, nemmeno un’opera futurista era ancora stata dipinta. Poi gli artisti, seguendo quell’ideologia espressa nel Manifesto, hanno cominciato a produrre opere d’arte. Lo stesse si può dire con il surrealismo di Breton che si collega al pensiero di Jung e di Freud. L’arte trovava insomma delle ragioni che contraddicevano la società corrente per manifestarsi in oggetti provocatori. Ma oggi l’arte non provoca nessuno perché tutto è arte oppure, forse, niente è arte.
Si può dire che oggi c’è un sistema dell’arte autoreferenziale perché l’arte si è svuotata del suo significato?
Sì il sistema dell’arte è certamente autoreferenziale, cioè l’arte si riferisce a sé stessa, la critica è scomparsa. Una volta quello stesso sistema dell’arte che il filosofo americano Arthur Danto, ha chiamato Artworld, con una parola sola, era legato a trend culturali, atteggiamenti epocali, capaci di segnare i momenti storici del secolo. Ma oggi si vede che questa ideologia, molto interessante, si è pian piano sfaldata e diffusa. Ora l’arte è una commodity, come tutte le altre cose, che sta fra gli altri oggetti che conosciamo con valori sostanzialmente autoreferenziali… Il sistema dell’Artworld, molto stretto e preciso, è formato da artisti, curatori, gallerie, musei, case d’asta…. Le aste d’asta internazionali sono delle grandi organizzazioni con clan chiusi che si auto spalleggiano
E i musei, in questo sistema autoreferenziale, che ruolo svolgono?
I musei mentre prima sono sempre stati il luogo di destinazione finale delle opere d’arte, oggi invece stanno diventando un po’ un punto di partenza nella creazione di valore. In questo, infatti, c’è una trafila ben precisa: il museo fa la prima mossa con il curatore che gestisce l’opera, l’opera va al mercato, la casa d’aste dice subito che un artista di cui non si è mai saputo il prezzo, costa per esempio due milioni di dollari, c’è già chi la compra a quel prezzo e chi la ricompra per aumentarne il valore. Magari l’artista è anche bravo, ma è il sistema che si è connaturato in questa maniera, in modo irreversibile. Non ci sarà un ritorno.
Magari da questo punto di vista ci sarà un peggioramento
Certo. Tenga presente che, come dicevo prima, il discorso della postmodernità ha portato alla distruzione della capacità esecutiva. Una volta, se uno sapeva giudicare un’opera d’arte, o perlomeno credeva di saperlo fare, poteva contare su un punto di riferimento inconfutabile che era il valore della maestria esecutiva. Poi però è stato detto che il valore non stava lì, che il fare con le mani era quasi disdicevole e si è dispersa la tradizione degli artisti come produttori di opere da fare con le mani o con le macchine. Oggi l’artista ha dimenticato e/o trova addirittura ingombrante avere a che fare con la produzione fisica dell’opera d’arte. Perché a volte basta solo enunciarla. Tant’è che ci sono opere d’arte mai neanche esistite, come quella di Damien Hirst nella mostra di Venezia del 2017 con il finto ritrovamento dei resti di una nave. Il tema è quello della ripetizione di Disney che aveva già inventato la finta foresta, il viaggio nei Caraibi, le navi che si sparano…
Quindi oggi stanno diventando sempre più importanti le modalità di comunicazione più che la produzione dell’arte?
Si è così ma non solo nell’arte. In tanti campi ormai conta più la comunicazione dell’oggetto, lo storytelling. Il problema è che l’arte ha una comunicazione limitata perché non ha bisogno di comunicare a tutti. Oggi la gente va in un museo sapendo ben poco o quasi nulla. Nel museo di Van Gogh la gente va perché è attratta e attirata dal personaggio Van Gogh, ma nessuno sa che Van Gogh era un grande intellettuale prima che un pittore, era un predicatore, un uomo di grandissima cultura che scriveva e parlava correttamente in 5 lingue. Interessa a qualcuno tutto questo? No, interessa il gioco, l’aspetto disperato, pazzo, il fatto che si è sparato, si è tagliato l’orecchio. L’arte è fatta anche di questo e forse va bene anche così. Però se dovessi pensare dove si trova l’arte oggi, direi che in apparenza sembrerebbe più diffusa perché i musei stanno aumentando rapidamente nel mondo. Però in sostanza non si tratta di cultura ma di estetica e scenografia. La cultura invece dovrebbe tornare padrona del sistema dell’arte, come è sempre stato. Sa cosa diceva Van Gogh? “Se io ogni giorno non studio, mi dispero” capisce cosa vuol dire? Poi lo studio sarà utile o no, chi può dirlo…
Però conoscere sempre di più, approfondire gli studi… può essere un fattore vincente per un artista
Si, per darsi una ragione! Certo, può anche non avere l’ambizione e la pretesa di vendere cultura e avere lo stesso la coscienza a posto, ma l’arte è anche una testimonianza del tempo che val la pena conoscere. Io ho avuto la fortuna di conoscere grandi critici come Argan, e tanti altri personaggi che erano studiosi, gente che insomma cercava di capire di che cosa si stesse parlando, facendo e credendo. Persone che pensavano che anche gli altri possano avere fatto delle cose per una ragione particolare e non solo per quell’idea che l’artista sia come un sacerdote che crea nelle notti di tempesta quando il cielo è buio e il lampo squarcia il cielo. L’artista è uno che deve pensare, studiare e fare le cose anche con una capacità manuale. Detto questo si deve poi misurare nell’arena del sistema generale che è fatto di musei, investitori e critici d’arte che contano sempre meno fra l’altro. Nessuno si leggerà più un testo di un critico d’arte, se fai una grande mostra, e vuoi avere un critico d’arte bravo nel catalogo è solo per dire che hai quel critico ma il suo testo, non interessa più
Le relazioni a questo punto sono molto importanti.
Si il mondo dell’arte è tutta una relazione unica
Come lo vede questo cambiamento, in quale direzione si sta andando e gli artisti cosa dovrebbero fare?
Gli artisti dovrebbero pensare innanzitutto che l’arte è in continuo divenire, senza ritenere che un tempo sia stata meglio o peggio. Non penso neanche che domani sarà migliore perché l’arte sarà ancora di più travolta da tutto questo sistema. Ormai il mondo così come è congegnato è molto complesso e difficile di prima. Lo vediamo noi stessi. Quando Picasso dipinse Guernica lasciò una testimonianza della sua epoca. Guernica è un’opera importante contro la distruzione della città di Guernica da parte dell’aviazione nazista ed è certamente la denuncia storica di quel massacro, anche se noi sappiamo che quel quadro gli fu commissionato per una fiera a Parigi, lui stava dipingendo un quadro su un torero e l’ha trasformato in Guernica. Comunque è la testimonianza di un’epoca, ed è anche un’arte che dice qualcosa sul sociale. Ma la testimonianza più grande è quella di Théodore Géricault quando fece “La zattera della Medusa”. Un’opera che dimostra l’atteggiamento di un grande artista nei confronti di un sistema drammatico e di un fatto grave come quello del naufragio avvenuto nel 1816 che rischiò di far saltare i Borboni a Parigi. Géricault che aveva 29 anni ed era l’uomo più bello di Parigi, ricchissimo e grande cavallerizzo, si appassionò a questa storia quando due reduci della zattera Alexandre Corréard e Jean-Baptiste H. Savigny (che scrissero anche un libro testimonianza) gli raccontarono come andarono veramente i fatti. Prese un freddo studio vicino all’ospedale parigino e andò a prendere dei pezzi di cadavere per portarseli lì e copiarli. Era ricchissimo e non gliene importava nulla di spendere per questa causa. Tant’è che poi, a trent’anni, ci muore. Quello fu un gesto di un artista che si rapporta a qualcosa, non dico che tutta l’arte debba essere così drammatica, però l’idea di mettere l’arte al servizio di qualcosa, di darle un senso è importante. Tutto il resto è solo esercizio di stile
Possiamo dire che è l’impegno è fondamentale per dare un senso all’arte?
L’impegno, anche se non politico, è di per sé un gesto molto importante. Già l’impegno intellettuale è un impegno notevole, anche politico in qualche modo, cioè il mettere l’arte al servizio di una causa ritenuta giusta e non solo per fare una bella asta da Sotheby’s.
Possiamo dire che è l’impegno è fondamentale per dare un senso all’arte?
Certo, poi sto pensando anche ad un altro tema che è mal visto dal sistema dell’arte, quello dell’eclettismo. Gli artisti sono obbligati a fare sempre la stessa cosa. Fontana sempre tagli perché se quando faceva i buchi il mercato lo considerava meno. Anche Burri faceva solo plastiche bruciate o tele cucite. Il sistema dell’arte ti obbliga a far sempre la stessa cosa perché lo richiede il mercato. Ma l’artista, se vuole possedere il mondo, non può limitarsi a far sempre lo stesso esercizio. E quindi fa un lavoro, poi ne fa un altro, usa un’altra tecnica, ci prova, eccetera. No, proibito dal mondo dell’arte, l’artista deve essere uno che fa sempre la stessa tela, lo stesso oggetto, la stessa scultura, magari con qualche variante, ma più o meno resta quella
E ora diamo un messaggio finale
Il messaggio finale è comunque positivo perché l’arte è davvero un bell’esercizio, se riesce a riacquistare le sue funzioni didattiche, se va ai giovani, se dà l’idea di avere una radice profonda. L’arte non è solo una crosta di superficie dove passano tutti gli aspetti del mondo, l’arte non deve essere un oggetto fatto solo per essere venduto, una commodity. Un artista, prima di produrre arte, deve sapere che cosa vuole fare e come lo vuole fare perché è su quel tema che si consuma la vita, anche magari nell’insuccesso, nel desiderio di trascinare una convinzione, trovare una ragione, un senso alla propria esistenza. Questo oggi è più difficile che mai. Si pensi soltanto al fatto che mentre l’arte occidentale era prima quasi un fenomeno legato alla cultura occidentale, adesso in Cina ci sono mille volte più artisti che a New York che fanno tutti le cose uguali ai newyorchesi, hanno studi pazzeschi, vendono i quadri a centinaia di migliaia di dollari. Lo stesso dicasi per l’Indonesia, dove ci sono artisti bravissimi che lavorano con i computer, nelle foreste, eccetera. Ormai la diffusione dell’arte è totale, è dappertutto. Tu sei un piccolo elemento di questo sistema, non puoi possederlo tutto, però criticamente si, devi almeno sapere di cosa stai parlando.
Adesso con i big data si avrà una conoscenza molto più approfondita e precisa delle tendenze del mercato, dei gusti della gente e addirittura delle singole persone. Pertanto, da questo punto di vista, l’arte può diventare ancora di più una commodity nel senso che verrà costruita per piacere a un certo target, andare incontro a certi gusti, attrarre, affascinare il mercato giusto ecc. Per questo diventa sempre più importante per un artista avere un obiettivo, un messaggio chiaro, una mission nella propria vita
L’arte è totalmente una commodity. Ogni tanto qualche ragazzo giovane mi scrive credendo ingenuamente ancora che l’arte abbia un taglio romantico. E tu cosa puoi rispondergli? Non puoi fare lo scettico e dirgli quello che è. E allora che messaggio gli dai? Cinquant’anni fa sapevo cosa dirgli perché credevo in certe cose. Ma, dal dopoguerra in avanti sono cambiate parecchie cose. Nell’arte si è praticamente assistito alla cancellazione della scuola di Parigi a scapito di quella americana perché gli Stati Uniti, che avevano vinto la guerra, volevano il predominio culturale. In campo artistico e culturale siamo quindi diventati subalterni all’America. Un primato, quello americano, che ha cominciato a nascere negli anni Trenta e Quaranta in seguito all’emigrazione spinta nella maggior parte dei casi, da ragioni razziali, di tanti grandi artisti europei. E oggi la domanda è: crediamo che l’arte abbia ancora un ruolo? Crediamo che l’arte, oltre che far campare bene o male un individuo, possa avere anche una dimensione culturale? Cioè possa davvero sostenerti non solo economicamente, ma anche darti una funzione? E poi l’altra domanda è: ma ci sono ancora artisti appassionati di questo mestiere non da un punto di vista esecutivo, ma anche, e soprattutto, da quello culturale? Ai posteri l’ardua sentenza!
“L’ arte è davvero un bell’esercizio, se riesce a riacquistare le sue funzioni didattiche, se va ai giovani, se dà l’idea di avere una radice profonda”
Giornalista