INTERVISTA
LUCA WARD In “Fly Down” la mia voce diventa viaggio, emozione, memoria condivisa
Dopo il successo del debutto di “Fly Down” al Teatro Puccini di Firenze, Luca Ward racconta aneddoti di vita, emozioni, doppiaggio e ironia in uno spettacolo autentico. Un incontro senza filtri, dove il pubblico partecipa e l’attore svela la sua storia, tra passione, radici e umiltà.
Il 15 aprile al Teatro Puccini di Firenze Luca Ward, attore e doppiatore, ha debuttato con successo con uno spettacolo inedito, autentico e travolgente. Ce ne parla lui stesso in questa intervista esclusiva ad ArteCultura Magazine
Luca, il 15 aprile scorso ha portato al Teatro Puccini di Firenze il suo nuovo spettacolo Fly Down. Di cosa si tratta esattamente?
“È qualcosa che in Italia non si è mai fatto. Non è uno spettacolo classico. È un incontro, un viaggio, un’esperienza. È come se il pubblico venisse a casa mia per una chiacchierata: racconto aneddoti, condivido ricordi, ironizzo sul mio mestiere… ma la vera novità è che il pubblico partecipa attivamente. Sale sul palco, recita, canta, doppia. Si ride molto, si impara qualcosa, e ci si emoziona insieme”.
La sua voce è diventata un marchio inconfondibile per milioni di italiani. Quanto spazio ha il doppiaggio in Fly Down?
“È centrale. Perché è parte di me. Ho avuto la fortuna di prestare la mia voce a personaggi leggendari: Russell Crowe ne Il Gladiatore, Samuel L. Jackson, Keanu Reeves, Hugh Grant… In Fly Down mostro cosa significa davvero doppiare: il pubblico entra in una sala di doppiaggio virtuale, con microfoni, copioni, spezzoni da doppiare. Facciamo prove insieme, insegno come si fa “il cattivo”, e capita spesso che dal pubblico escano fuori talenti incredibili. Persone comuni che improvvisamente diventano attori, lì davanti a tutti”.
Eppure dici spesso che il doppiaggio è sottovalutato, quasi invisibile.
Assolutamente. Il doppiaggio è stato inventato dagli americani, ma gli italiani lo hanno portato a livelli altissimi. Mia bisnonna è stata tra le prime doppiatrici, nel 1920. E oggi veniamo studiati da tutto il mondo: ci sono 70-80 paesi che vengono da noi per imparare. Il doppiaggio è arte, tecnica, empatia. Ma in Italia se ne parla poco, e male. Fly Down è anche l’occasione per far scoprire questo mondo affascinante.
Com’è nata l’idea di questo spettacolo così personale?
“Il merito è del mio agente, Claudio Renda. Me lo proponeva da anni. Diceva: “Luca, devi fare qualcosa tutto tuo, la gente vuole conoscerti davvero”. Io tentennavo. Poi un giorno ho detto sì. Ho coinvolto il regista Gianluca Vecchi e con la mia produzione Skyline abbiamo messo in piedi Fly Down. Ora siamo a una settantina di repliche, quasi tutte sold out. E il pubblico esce sempre col sorriso, entusiasta di aver fatto parte di qualcosa.
Hai portato lo spettacolo anche negli Stati Uniti, giusto?
Sì, a Boston. Un successo straordinario. Teatro pieno, pubblico in piedi, energia pazzesca. È lì che ho capito che questo format parla davvero a tutti. È trasversale: coinvolge, diverte, emoziona. Ogni serata è diversa, cambia tutto a seconda delle persone che salgono sul palco. A volte si scoprono attori mancati, bravissimi e incredibili. Una sera è salito un camionista che sembrava Mastroianni”.
Oltre l’attore, c’è anche l’uomo Luca Ward. Cosa emerge in questo spettacolo del suo lato più personale?
“Tutto. Fly Down sono io, senza filtri. Racconto le mie radici, la famiglia, gli inizi difficili. Parlo dei tanti mestieri che ho fatto prima di recitare: dal cameriere al camionista. Parlo della mia famiglia oggi: sono padre, marito, uomo innamorato della vita e delle persone. Ho una moglie straordinaria e dei figli che sono la mia vera ricchezza. Questo spettacolo nasce anche dal desiderio di condividere il senso profondo di ciò che sono diventato, non solo come attore”.
Non risparmia nemmeno qualche critica al mondo dello spettacolo.
“È vero. Non sopporto la presunzione. Oggi troppi attori si sentono dei semidei, ma io mi ispiro ai grandi del dopoguerra: Tognazzi, Gassman, Mastroianni. Erano generosi, umili, veri. Marlon Brando diceva: “Il nostro non è nemmeno un mestiere”, e io lo penso ancora oggi. C’è gente che salva vite ogni giorno, fa ricerca, insegna… noi intratteniamo, va bene così. Ma non siamo indispensabili. E proprio per questo dobbiamo avere rispetto e umiltà”.
Qual è secondo lei il segreto del successo di Fly Down?
“L’empatia. Il pubblico se ne accorge subito se sei vero. Se c’è connessione, lo spettacolo prende il volo. È un viaggio che facciamo insieme, ogni sera diverso. In scena siamo io, il mio tecnico, uno schermo, un leggio e – quando si può – qualche vela che trasforma il palco in una barca. Un viaggio che comincia da Firenze… e chissà dove ci porterà”.
Progetti futuri?
“Ce ne sono, eccome. Serie TV, film, un altro spettacolo teatrale… ma per ora bocca cucita. Intanto c’è Fly Down, e la voglia di incontrare ancora più pubblico. Di farlo ridere, emozionare, partecipare. E magari far scoprire che anche loro, dentro, hanno un attore nascosto”.
“L’empatia. Il pubblico se ne accorge subito se sei vero. Se c’è connessione, lo spettacolo prende il volo. È un viaggio che facciamo insieme, ogni sera diverso”

Giornalista