ARTE NELL’ERA DIGITALE
New media, new art, new right
Le nuove tecnologie stanno sempre più prepotentemente entrando nel mondo dell’arte. Nell’atto creativo, nella fruizione e nella commercializzazione. Aprendo le porte su inediti scenari che modellano nuovi rapporti e richiedono una regolamentazione più adeguata
Quando Walter Benjamin scriveva L’opera d’arte nell’era della riproducibilità tecnica(1936), l’era digitale non era ancora minimamente apparsa all’orizzonte. Eppure, fin dalla nascita della stampa si era andato delineando un inevitabile distacco fra opera d’arte e società, o meglio un cambiamento della sua funzione e della sua fruizione: se prima era un pezzo unico, dotato della famosa aura, a raccontare la realtà, man mano l’opera ha cominciato a riprodursi da sola in milioni di frammenti, come di specchio, attraverso multipli e riproduzioni seriali, spesso per volontà dello stesso autore. L’opera-manufatto dell’uomo, il microcosmo del capolavoro rinascimentale o barocco o romantico oggi non serve più a mediare univocamente e sacralmente la rappresentazione del mondo, che ormai si rappresenta automaticamente da sé, moltiplicando i punti di vista e le stesse modalità di fruizione. La frattura si aggrava nel secolo della fotografia, che sancisce una sempre più spregiudicata riproducibilità dell’opera e aggrava la “solitudine” del pezzo unico nei confronti del mondo. Lo confermano quasi tutte le avanguardie del secolo scorso, che a ragione spostarono l’attenzione dalla rappresentazione del reale a un rapporto più disinibito e diretto con la materia, svincolandosi da fini banalmente mimetici e puntando invece sempre più alla trasparenza del fare a scapito del contenuto.
Ma oggi anche la materia sta perdendo la sua sacralità. E se ce ne fosse bisogno, ce lo conferma pure la fisica quantistica. Oggi, nell’era digitale, questa evoluzione dell’opera d’arte e della sua collocazione nel mondo ha raggiunto stadi non ancora perfettamente compresi dagli specialisti e tanto meno dagli stessi artisti.E nello stesso tempo assistiamo al proliferare di una quantità di nuove forme espressive che si alimentano attivamente proprio dall’universo della virtualità: arte virtuale, arte immateriale, arte telematica, video-art, arte interattiva, computer art, new media art, net.art…I termini non alludono a correnti estetiche ben precise, ma sono tutti accomunati dal riferimento al mezzo, alla tecnologia utilizzata. Sempre più va dunque realizzandosi la profezia di Marshall McLuhan: il messaggio è il mezzo.Oggi è il mezzo, nella fattispecie la novità dirompente del mezzo digitale, a determinare il contenuto.
Questa evoluzione inevitabile in tutti i campi della nostra vita, va determinando nel mondo artistico mutamenti in tre ambiti: quello strettamente creativo, quello attinente alla classificazione, autenticazione, valorizzazione, diffusione e conoscenza dell’opera e quello economico, corrispondenti rispettivamente al campo estetico, al campo giuridico e al campo finanziario. In forza della progressiva perdita di potere della fisicità della “cosa” artistica, si dovrà prendere atto che oggetto di attenzione da parte delle varie discipline (dall’estetica al diritto) sarà sempre più l’idea immateriale, di sempre più difficile definizione, non solo in quanto appunto riproducibile teoricamente all’infinito, ma anche in quanto spesso riconducibile a più autori, se non addirittura a un algoritmo…Se dunque il concetto di arte va così rapidamente evolvendosi, se i new media, con le infinite potenzialità delle attuali tecnologie, hanno dato agli artisti potenzialità espressive fino a ieri inimmaginabili, inclusa la creazione di unasecond life, parallela alla vita reale, in cui mondo esterno e medium convergono, dando luogo a nuovi prodotti artistici, sarà inevitabile progettare e mettere in atto un “second right”, una tutela e una giurisdizione dell’attività artistica del tutto innovative.
Posto che in ambito strettamente creativo la parola è unicamente agli artisti, vediamo che cosa può suggerire il diritto agli altri due ambiti (tutela-valorizzazione-diffusione dell’opera e sua commercializzazione). Il primo esempio riguarda la tutela dell’autore, ammesso che sia individuabile univocamente, che non si tratti cioè di più artisti, oppure di un artista anonimo o addirittura di un connubio fra uomo e macchina, o esclusivamente di un algoritmo (che a sua volta però dovrà essere ricondotto al suo autore). Che cosa rimane del copyright, del diritto d’autore come lo abbiamo trattato fino qui? A fronte del modello tradizionale si sono già sviluppati concetti come copy-left(permesso d’autore): una serie di licenze mirate, con cui l’autore originario indica preventivamente in che modo l’opera potrà essere utilizzata, diffusa e perfino modificata, nel rispetto di alcune condizioni essenziali. Di qui nuovi tipi di licenze, la creative commons, che in modo semplice e standardizzato indicano i diritti che l’autore si riserva e quelli a cui rinuncia a beneficio di terzi. In quest’ambito vanno inclusi i casi di arte collaborativa, che vede avvicendarsi interventi diversi e di diversi autori per la realizzazione di una stessa opera. Da parte sua la stessa tecnologia blockchain, sulle apposite piattaforme già operanti in rete, dando data certa all’idea originaria e la riconducibilità dell’opera al suo autore, ne facilita la tutela.
In caso di usi non consentiti da parte di terzi si profilerà una forma di corresponsabilità fra l’utilizzatore non autorizzato e la stessa piattaforma, la cui responsabilità dovrà pertanto includere l’adempimento degli obblighi informativi e sostanziali a tutela dell’opera ( o a monte con l’autore o a valle con l’utilizzatore) per prevenire casi di plagio o di appropriazione illecita. Sul versante finanziario, le nuove tecnologie favoriscono fenomeni del tutto inediti quali ad esempio la vendita di arte a quote. La tecnologia blockchain permette di frazionare virtualmente l’opera ( la cosiddetta tokenizzazione) e la circolazione sul mercato dei singoli token, che avranno valore economico corrispondente alla caratura del tokenstesso.
Si va poi sempre più diffondendo il fenomeno dell’art lending, ovvero prestiti con opere d’arte in garanzia, e il leasingdell’opera, ovvero il noleggio con riscatto finale. Da notare che in tutti questi casi sono ben ricomprese anche le opere fisiche, gli oggetti d’arte, ma in uno scenario affatto diverso, ovvero ridisegnato e decisamente ampliato dalle nuove tecnologie. Tale scenario era già balzato agli occhi di alcune avanguardie del primo Novecento, quando per esempio il gallerista dei surrealisti Levy si chiedeva come commercializzare gli esperimenti filmici dei suoi artisti. Opportunità che non sfuggono neppure ai più “ostinati” e feticisti collezionisti di oggi, a favore dei quali e grazie ai quali l’arte digitale sta riuscendo a ritagliarsi un suo spazio, a dispetto della diffidenza che la sua immaterialità potrebbe suscitare: in definitiva nessuna arte virtuale può fare a meno di un supporto materiale. E in ultima analisi non è vero che l’arte digitale non abbia un corpo…
Un dato è certo: le nuove tecnologie sono sempre più prepotentemente entrate nel mondo dell’arte. Nell’atto creativo così come nella fruizione e nella commercializzazione. Il diritto segue tali evoluzioni superando le impostazioni tradizionali e modellando nuovi rapporti tra tutte le parti coinvolte. Occorre perciò urgentemente una nuova consapevolezza in tutti. Le nuove tecnologie non devono cioè spaventare il collezionista, ovvero il fruitore tradizionale e tradizionalista di opere (l’appassionato di aste, il feticista dell’aura, il gallerista, lo stesso artista che ancora vive della vendita delle sue opere “fisiche”, le fondazioni pubbliche e private, i musei…). I canali tradizionali saranno sempre attivi per chi resiste a frequentarli, e se potranno reggere l’onda d’urto di forme alternative di diffusione. In certa misura anzi è auspicabile una pacifica convivenza tra le due diverse modalità, così come –fatte le dovute differenze- la comparsa del disco e poi via via del cd, degli ascolti via smartphone etc non ha tolto il piacere di godere della musica dal vivo nei teatri lirici o nelle sale da concerto. Ma altrettanto auspicabile sarebbe un progressivo aumento di fiducia verso le immense potenzialità che i nuovi mezzi offrono alla produzione artistica in generale.
Se è vero che “the digital art is shared, liked, retwitted and embeded free-of-charge all over the web” (in What does it mean to “own” digital art?di Andrew Sullivan in The Dish, www.dish.andrewsullivan.com) e se è vero che per questo essa può contribuire ad ampliare la nostra coscienza di cittadini del mondo, aperti a una globalizzazione sincera e non omologante della cultura, in un confronto libero e fluido fra mondi diversi aperti a reciproche contaminazioni reciprocamente vantaggiose, inclusa la possibilità di partecipazione del pubblico in una rete davvero planetaria (ma preferirei dire “universale”), allora la digital art, l’arte del XXI secolo, tanto più ha bisogno da subito di regolamentazioni puntuali. E il fatto che sia nata libera e spontanea sul web non contrasta con l’urgenza di una sua adeguata regolamentazione. Come scrisse anni fa Claudio Magris, ogni cambiamento ha bisogno di regole. Per questo è necessario istituire un apposito settore che segua artisti e curatori d’arte, galleristi ed esperti, studiosi e collezionisti, istituzioni e semplici appassionati, affinché possano districarsi nel complesso universo virtuale che tanto sta condizionando -e soprattutto potenziando- l’espressione artistica del nostro tempo.
Avvocato