INTERVISTA
ALESSANDRO PREZIOSI Aspettando Re Lear, un viaggio nella modernità di Shakespeare
Alessandro Preziosi torna a Firenze, al Teatro della Pergola, con Aspettando Re Lear, adattamento innovativo di Tommaso Mattei ispirato a Shakespeare. Tra temi universali come follia e potere, scenografie di Michelangelo Pistoletto e una prospettiva di riconciliazione, l’attore trasforma il classico in una riflessione moderna sui legami familiari e sull’evoluzione personale.
“Rappresento in qualche modo il dramma della vita contemporanea, vuota di contenuti e smarrita nei valori degli affetti, che si ripete nella nemesi del passato, attualizzando la grandezza di Shakespeare. Una sfida, ma non troppo”. Da sempre intelligente e mai scontato torna a Firenze, al Teatro della Pergola Alessandro Preziosi con un atteso debutto dal 3 all’8 dicembre: “Aspettando Re Lear”, testo di Tommaso Mattei tratto da Shakespeare. Un atto unico per stravolgere l’idea del classico e dello scontato, con delicatezza e cultura.
Alessandro, il suo Aspettando Re Lear è una sfida ambiziosa, sia per l’adattamento di Tommaso Mattei sia per il modo in cui reinterpreta Shakespeare. Come ha affrontato questa impresa?
“È vero, l’impresa non è stata semplice, ma proprio per questo è stata così affascinante. L’idea di rivisitare un testo così potente e universale con una spinta innovativa è ciò che mi ha attratto. Con Tommaso Mattei abbiamo lavorato per mantenere saldi i temi centrali di Shakespeare – follia, abbandono, maturità, potere – arricchendoli con nuove prospettive, soprattutto sui legami tra padri e figli. Tematiche che, per loro natura, sono complicate ma incredibilmente umane”.
C’è una specie di segreto per rendere un classico così moderno?
“Credo sia il modo in cui lo metti in relazione con il pubblico. Questo adattamento ha un contorno drammaturgico e scenico che lo rende diverso: c’è una spinta visiva e interpretativa che valorizza la modernità del testo. Ma al centro rimane l’amore, nonostante le sue complicazioni. È un aspetto che emerge sia nella relazione tra Lear e le sue figlie, sia nell’umanità che cerchiamo di restituire sul palco”.
Potrebbe essere letto come testo un po’ autobiografico?
«Non direi. Certo, Aspettando Re Lear tocca temi universali che possono appartenere a tutti, ma non è un’autobiografia. Per esempio, io ho un rapporto splendido con mia figlia, quindi non metto in discussione quel legame, se non per riflettere su certi passaggi della vita: la capacità di evitare errori già commessi o, eventualmente, di affrontarne di nuovi. È un racconto che si condivide più facilmente proprio perché parla di una storia universale, quella di un padre e una figlia che si ritrovano”.
E se Re Lear fosse più anziano come viene di solito rappresentato?
“Se il mio Lear fosse più vecchio, sinceramente penso che non ci sarebbe il dramma. La sua età è essenziale perché rappresenta quel margine in cui è possibile raggiungere una maturità conquistata. È un percorso di crescita, di trasformazione. Ho voluto chiamarlo Aspettando Re Lear proprio per rappresentare questa tensione: il viaggio verso la capacità di diventare uomini adeguati, padri adatti e, in senso simbolico, dei veri re”.
Ha parlato di una scenografia particolare, con le opere di Michelangelo Pistoletto. Che ruolo ha nell’insieme dello spettacolo?
“La scenografia è parte integrante della narrazione. Gli oggetti di Pistoletto non sono solo elementi visivi, ma veri luoghi di racconto. Sono concettualmente complessi, ma allo stesso tempo funzionali, trasformando il palco in uno spazio simbolico. È stato un lavoro delicato, ma la fiducia di Pistoletto nel progetto ci ha dato la libertà di sperimentare e creare qualcosa di davvero unico”.
L’adattamento si distacca dall’epilogo tragico di Shakespeare. Come mai questa scelta?
“Volevamo dare al pubblico una speranza. L’idea di concludere con una riconciliazione, seppur nell’assurdo, rappresenta un compromesso che guarda al futuro. È un approccio che sfida le regole tradizionali, ma che mi sembra necessario oggi. Abbiamo trovato un modo per onorare la complessità del testo senza rinunciare a quella luce che Beckett riesce a insinuare nel teatro dell’assurdo”.
Come si inserisce Aspettando Re Lear nel suo percorso artistico?
“È un punto di vista diverso su Shakespeare, ma allo stesso tempo rappresenta una sintesi del mio lavoro. È un testo che tocca temi a me cari: la vanità, la fragilità, la poesia, ma anche la complessità dei legami familiari. È un’opera che cresce scena dopo scena, grazie a un impegno collettivo e alle interpretazioni intense di tutto il cast”.
Qual è il messaggio che vuol lasciare al pubblico?
“Che, nonostante l’insensatezza dell’agire umano, c’è sempre uno spiraglio. Aspettando Re Lear non è solo una tragedia: è un viaggio verso la riconciliazione, verso una maturità conquistata. Un racconto che invita a riflettere e, spero, a emozionarsi”.
Altri progetti legati a questo spettacolo?
“Aspettando Re Lear è diventato anche un documentario, presentato alla Festa del Cinema di Roma, ed è stato girato anche a Venezia in teatri storici come il Goldoni. Inoltre, sto lavorando su altri progetti, come le due serie film di Marco Bellocchio dedicate a Enzo Tortora. È un periodo intenso, ma ricco di stimoli”.
“Ho voluto chiamarlo Aspettando Re Lear proprio per rappresentare questa tensione: il viaggio verso la capacità di diventare uomini adeguati, padri adatti e, in senso simbolico, dei veri re”
Giornalista