TEATRO & SPETTACOLO
GLAUCO MAURI “Sul palco la vita diventa magia”
Curiosità, poesia, dialogo, comprensione…Per Glauco Mauri, vecchio leone del teatro italiano, classe 1930, il teatro è tutto questo, e anche di più, perché fa vivere e trasmette emozioni che arrivano dritte al cuore di chi ascolta. Ne parla in questa intervista ad ArteCultura Magazine dove annuncia anche i suoi prossimi spettacoli al Teatro della Pergola di Firenze
Il teatro mi ha dato tanto, tutti i personaggi con cui sono stato a contatto mi hanno fatto capire cosa è la vita e come ci si deve porre. Grazie a loro ho recepito come ci si deve misurare e come entrare in sintonia perché è vero che la vita è una cosa bella e il teatro è ogni volta più bello. Io cerco sempre di essere sincero e non barare mai, di avere coraggio di fare le cose e dirle. E poi anche accettare che un’altra persona mi dica che ho sbagliato: dispostissimo e grato ad ascoltare qualcosa che mi faccia cambiare idea, perché la vita va presa con umiltà e curiosità”. Glauco Mauri, il vecchio leone del teatro italiano, classe 1930, è tornato. Per un debutto importante a Firenze con la sua Compagnia Mauri Sturno, tra i più longevi gruppi teatrali italiani per affrontare per la prima volta un autore difficile come Thomas Bernhard, mettendo in scena in prima nazionale al Teatro della Pergola (fino al 15 gennaio) ben due testi teatrali dell’autore austriaco: “Il riformatore del Mondo e Minetti, ritratto di un artista da vecchio” racchiusi nel progetto “Interno Bernhard” per la regia di Andrea Baracco. In scena con Mauri e Roberto Sturno, Stefania Micheli, Federico Brugnone, Zoe Zolferino, Giuliano Bruzzese. Lo spettacolo si avvale delle scene e costumi di Marta Crisolini Malatesta, le musiche di Giacomo Vezzani e Vanja Sturno, le luci di Umile Vainieri.
Maestro un’altra fatica drammaturgica portata in scena con grinta: ma non si stanca mai?
“No, perché la mia curiosità mi porta in strade anche tortuose ma sempre gratificanti. Nel Riformatore del mondo del 1979 si racconta di un intellettuale ormai vecchio, impersonato impeccabilmente da Roberto Sturno, che vive in profonda solitudine, e sta per ricevere a casa sua una delegazione ufficiale che gli consegnerà la laurea honoris causa per aver scritto un famoso trattato su come salvare il mondo. Ma per lui tale riconoscimento è la conferma che nessuno ha letto il suo saggio poiché, nello stesso, sostiene che per migliorare il mondo bisogna eliminare gli uomini dalla faccia della Terra. E poi c’è il secondo testo dove rappresento Bernhard Minetti, grande attore tedesco del secolo scorso, scopritore del teatro tragicomico e crudele, a cui è dedicata la commedia con il suo nome e sottotitolata, appunto, Ritratto di un attore da vecchio, dove si racconta, cioè io racconto la vita immaginaria di un guitto ormai vecchio e disilluso che, mentre aspetta nella notte di Capodanno di andare in scena per l’ultima volta nel ruolo di Re Lear, si abbandona a un intenso flusso di coscienza per riflettere sulla propria vita, sul suo mestiere, e lanciare giudizi spietati su una società sempre più confusa e su un teatro sempre più privo di senso”.
Mauri, affrontando questo testo lei in qualche modo è sempre vicino a tutti quelli che ha rappresentato nella sua bellissima carriera: quanto hanno contato?
“Tantissimo: come avrei potuto capire il Macbeth, Riccardo Terzo di Shakespeare o Beckett autori che amo per affrontare razionalmente chi è questo autore e cosa vuol dire sennò? Il miracolo del teatro è proprio questo, quando due più due non fa più quattro ma come risultato dà un cielo stellato e Dio solo sa quanto la razionalità in poesia non esista. Io mi fermo qui e non voglio andare oltre o indagare cosa accade quando la magia del sentire entra nella nostra sfera poetica, creativa ed emotiva. Perché l’essere umano deve essere preparato a queste maturazioni poetiche meravigliose e in un certo senso miracolose”.
Ha presente i grandi maestri? Chi lo è stato per lei?
“Per me uno dei più grandi è stato un filosofo e scrittore come Dostoevskij e non solo come autore ma come uomo, che mi ha insegnato la meravigliosa cosa di saper comprendere gli altri uomini che, se ci pensiamo bene, è la cosa più faticosa che possa fare un essere umano: un grande dono e, nello stesso tempo, una grande e meravigliosa responsabilità. E anche se non è una cosa facile, né abituale, bisogna saperci comprendere tra persone, tra tutte le persone, e comunicare: di questo sono certo. La domanda è: perché uno deve fare del male al prossimo, e, al contrario, non potrebbe invece aiutarlo a costruirsi? Questo è il mio intento, questo è il messaggio del mio fare teatro”.
Perché il teatro deve servire a?
“La scelta del testo è alla base di una compagnia come la nostra: deve servire alla vita e con coraggio saper affrontare non i soliti autori, ma proporre cose nuove come in questo caso Thomas Bernhard che dà la sensazione di essere qualcuno da cui è meglio stare alla larga. Perché Bernhard è di pessimo umore, ed è un osso duro, e non fa nulla per nasconderlo. La sua prosa non permette al lettore di bluffare. Anzi, è l’esatto opposto di quegli autori che leggendoli ti puoi distrarre e che poi recuperi: ecco, con Bernhard non lo puoi fare, se l’attenzione ti salta, se per un attimo la pigrizia prende il sopravvento, lui ti volta le spalle e basta”.
Nel suo Dna c’è questa arte del vivere emozioni e trasmettere.
“È qualcosa che da molti anni Roberto Sturno ed io abbiamo sempre creduto. Cioè che il nostro lavoro di artisti e interpreti, debba contribuire all’arte del vivere. Oltre a recitare per nostra soddisfazione non solo artistica, ma soprattutto come ti ho detto, umana. Ho ben davanti questo sapere, quanto sia una missione aiutare il pubblico a farsi delle domande. E quanto siano nel giusto quando soprattutto fanno riflettere ed emozionare. La nostra missione è esattamente aiutare il pubblico a farsi delle domande”.
Maestro, due parole su questa società che stiamo vivendo?
“Che è effimera. Bisogna faticare un po’ contro il trionfo della mediocrità che è il vero male dilagante e tocca purtroppo anche i rapporti umani. Non sono tra quelli che pensano che la pandemia abbia impigrito la gente, ma credo che oggi, più che mai, le persone abbiano bisogno di essere presenti e vive e allontanino invece la pigrizia: dall’alto della mia età ormai posso capire tutto, ma ancor amo fare e rischiare. Chi l’ha detto che la fortuna aiuta gli audaci? Per noi, Roberto Sturno ed io, l’audacia è venuta fuori con questa voglia di non adattarsi mai, anzi. Facendo gesti di coraggio e di vita perché, senza rischio, non esiste niente. Noi diciamo no al trionfo della mediocrità anche, e soprattutto, tra i rapporti umani”.
Il pubblico come reagisce?
“Abbiamo visto con grande gioia che il pubblico, anche se non capisce tutto, è attirato verso le novità e ascolta con grande gioia perché si trova davanti una cosa nuova che spiega quanto il teatro sia follia, invenzione e rompa i soliti schemi finali in qui si dialoga sulla materia che si è detta fino a quel momento”.
E alla fine cosa pensa?
“Che la vita su cui si aprono le pagine o si levano i sipari di Bernhard è quella del day after: un’esplosione che è avvenuta, ormai lontana: il mondo resta intatto solo in apparenza, ed è scardinato in profondità tra follia, gelo, malattia e devastazione. Così siamo noi gli indifesi, i fragili. Noi che abbiamo le parole, ma soltanto quelle, e nessuna altra arma per difenderci, e nessuna aspirazione a dominare sugli altri”.
“Il miracolo del teatro è proprio questo, quando due più due non fa più quattro ma, come risultato, dà un cielo stellato”
Giornalista