DIRITTO VALORI
A chi spetta il potere di autenticare l’opera d’arte?
I differenti orientamenti dei Tribunale di Milano e Roma sulla richiesta della Fondazione Keith Haring di accertare la non autenticità di alcune opere attribuite all’artista americano esposte alla mostra “Keith Haring e la Pop Art”, non fanno chiarezza su una materia controversa.
Con la sentenza n. 13461/2019 del 26/06/2019 Il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda proposta dalla Fondazione Keith Haring, per ottenere un accertamento di non autenticità di alcune opere attribuite all’artista americano esposte da un’Associazione alla mostra “Keith Haring e la Pop Art” eccentricamente tenutasi a Perugia presso lo studio di un tatuatore, nonché l’accertamento della violazione del marchio registrato “Keith Hearing”.
Per i giudici capitolini “l’azione di accertamento non può avere ad oggetto, salvo i casi eccezionalmente previsti dalla legge, una mera situazione di fatto, ma deve tendere all’accertamento di un diritto che sia già sorto, in presenza di un pregiudizio attuale e non meramente potenziale, principio già espresso nel caso Schifano (21 giugno 2018).
Per i giudici di Milano, invece, che si sono espressi sull’autenticità di opere di Lucio Fontana (Tribunale di Milano 15.03.2018) e di Piero Manzoni (Corte d’Appello di Milano 11.12.2002) non si tratta di un’azione di mero accertamento in quanto la negazione della paternità dell’opera arreca un danno, spesso di rilevante entità al diritto di proprietà incidendo sino ad annullarlo sul valore e su un eventuale prezzo di vendita dell’opera.
L’orientamento meneghino appare certamente più convincente e rispettoso dell’importanza che il tema dell’autenticità riveste nel mercato dell’arte, lasciare al solo artista il potere di autenticare, come aveva tentato di fare l’eccentrico Giorgio De Chirico che aveva conferito un mandato irrevocabile alla moglie affinché dichiarasse l’autenticità delle sue opere ovvero la falsità o la contraffazione delle stesse anche post mortem, sulla cui liceità si nutrono serie perplessità, nonché rimettere alla sola “expertise” di Archivi e Fondazioni, il monopolio dell’autenticazione e il conseguente dominio sulle vendite, sembra avallare una discutibile tendenza del mercato che porta a dare più valore all’autorevolezza del perito che all’autenticità dell’opera”.
In tema di uso del marchio per un’esposizione, Il Tribunale di Roma e quello di Milano (ord. 14.01.2019) sono invece allineati riguardo alla liceità dell’uso del nome di un artista, anche registrato come marchio, nel titolo di una mostra, e nel relativo catalogo e materiale promozionale: si tratta infatti di un uso puramente descrittivo, in cui il segno è utilizzato per indicare “il contenuto” del bene-mostra e non quale indicatore di provenienza di beni o servizi. Ciò è del resto conforme ad una giurisprudenza della Corte di Giustizia UE che si è andata consolidando a partire dai primi anni 2000, secondo cui taluni usi a fini puramente descrittivi non ledono alcuno degli interessi del titolare di un marchio tutelati dall’ordinamento.
Avvocato e giornalista