INTERVISTA
SARA FUNARO Un futuro per Firenze costruito con i giovani
Candidata alla carica di sindaco, Sara Funaro mette al centro delle sue politiche l’innovazione e i giovani, impegnandosi a sviluppare una Firenze più giusta, sostenibile e orientata al futuro.
Tessere la tela delle relazioni cominciando da molto giovane a fare volontariato e a capire gli altri. E poi immedesimarsi e riuscire a dominarsi davanti alle ingiustizie praticando la nobile arte dell’equidistanza senza cercare di deviare il corso dei pensieri. Sara Funaro è una giovane donna fiorentina, che da anni fa politica attiva: un riferimento per il mondo soprattutto dell’associazionismo, che lavora al fianco di gruppi e reti di solidarietà. E che sa quanto le differenze culturali e religiose rappresentino un’occasione di arricchimento. Ma anche di confronto e rispetto reciproco attraverso la conoscenza.
Funaro, per lei cosa rappresenta la poesia e, in un mondo che ne fa praticamente a meno, potrebbe contribuire a rendere gli esseri umani migliori di quelli che siamo diventati?
“Di tutte le parole pensate e dette, quella poetica è la più vibrante, quella che più si avvicina a dire la realtà del nostro sentire, a esprimere le nostre emozioni senza schermature. Come diceva Ungaretti, “Credo e professo che [la poesia] sia indefinibile, e che essa si manifesti nel momento della nostra espressione, quando le cose che ci stanno più a cuore, che ci hanno agitato e tormentato di più nei nostri pensieri, che più a fondo appartengono alla ragione stessa della nostra vita, ci appaiono nella loro più umana verità”. Da bambini siamo abituati a leggere e recitare poesie, anche a stare più connessi con le nostre emozioni e i nostri sentimenti, poi questo rapporto si allenta e sfilaccia, subentra la vergogna e talvolta la chiusura in sé stessi. Credo che promuovere la poesia, soprattutto con i più giovani, sia fondamentale per provare a recuperare quel filo diretto. Ecco, spingere i più giovani a contemplare quella verità e a dirla, può essere davvero una rivoluzione capace di mettere in moto le migliori energie delle quali le comunità dei cittadini possono disporre: quelle dei loro esponenti più giovani. A Firenze continueremo a lavorare a sostegno dell’offerta didattica incrementando i progetti sulla poesia all’interno del pacchetto formativo de Le chiavi della città“.
Come vede le nuove generazioni, in particolare la cosiddetta “Generazione Z”?
“Spesso si parla dei giovani a sproposito, dipingendoli più che altro per sentito dire. Io, attraverso la mia attività politica, voglio rappresentarli per quello che sono: persone che tengono alla comunità alla quale appartengono e al proprio territorio. Quando c’è stata l’alluvione a Campi Bisenzio non hanno esitato a lasciare le loro attività quotidiane per andare a dare una mano; sono gli stessi che si sono messi a disposizione durante il Covid quando c’è stato da distribuire le mascherine o i pacchi alimentari o da fare i volontari al Banco alimentare. I giovani sono quella generazione che ha bisogno di prendersi il suo spazio. E quando dico ‘prendersi’ non uso un termine a caso: tante volte, chi fa politica è come se concedesse degli spazi, invece, io voglio che le ragazze e i ragazzi se lo prendano il loro spazio. Da parte mia e della mia amministrazione, se i fiorentini lo vorranno, ci saranno una grande disponibilità di ascolto e una grande capacità di mettere i giovani in condizione di prenderselo quello spazio. È necessario un rapporto di ascolto vero perché se si vogliono condividere gli intenti bisogna capire quali sono le priorità. Ci sono tanti luoghi della città che hanno bisogno di essere rivitalizzati e questo può essere fatto soltanto attraverso progetti, non che coinvolgano i giovani, ma che siano portati avanti dai giovani. Credo che sia una generazione preziosa; è la generazione che in questi anni sta costruendo il proprio futuro e noi vogliamo essere, non al fianco, ma con loro”.
Avrà visto che i cambiamenti ci sono ma appartengono più al campo della tecnologia che a quello della psiche: come portare i giovani a una condivisione di intenti?
“Le tecnologie fanno parte del nostro mondo e io non arrivo a pensare che sia un mondo determinato da queste. Il mondo si determina sempre e comunque attraverso le relazioni personali e le persone. Le tecnologie devono essere uno strumento e come tale le ho sempre considerate. È ovvio che il rapporto tra le nuove generazioni e le tecnologie è un rapporto estremamente delicato. Da questo punto di vista, se sarò sindaca, voglio promuovere patti digitali, che coinvolgano i giovani e le loro famiglie, in cui si possano scegliere insieme le regole d’ingaggio, si valorizzano le possibilità delle tecnologie, e si trovino gli anticorpi necessari per non lasciarsi sopraffare. Ci sono studi in corso sul rapporto degli adolescenti con gli strumenti tecnologici, ed emerge che spesso nello spazio digitale trova sfogo un’ansia che nasce altrove. Il modo migliore per lavorare su questo tema è ascoltare i ragazzi”.
Sara, se dovesse scegliere fra i valori più importanti per lei, e allo stesso tempo più a rischio per le nuove generazioni?
“Sono i valori che sono racchiusi nelle parole chiave per la Firenze del futuro: giusta, per tutti, sicura, sostenibile e futura. Questi cinque termini descrivono la città che vogliamo costruire insieme ai fiorentini, a partire dai più giovani. Una città giusta è una città che afferma i diritti delle persone, a partire da quelli costituzionali, combatte e sta in prima linea per difendere e promuovere. Ma anche una città per tutti è quella che garantisce le opportunità di crescita e sviluppo a tutti, partendo dai giovani e dalle donne; una città sicura è una città in cui la sicurezza è un diritto primario delle persone e come tale va garantita a tutti, mentre una città sostenibile è quella che, tra le varie cose, raccoglie la sfida della lotta ai cambiamenti climatici e punta sulla mobilità sostenibile a partire dalle tramvie. Io penso a una città futura sia quella che guarda con determinazione al futuro e ne accetta le sfide, tenendo insieme i grandi obiettivi e le piccole scelte amministrative, guardando avanti e tutelando la sua storia, proteggendo la sua identità proiettandosi nel futuro. Una grande sfida, ma mi sento pronta ad affrontarla insieme a tutti i fiorentini”.
Diversità e inclusione: cosa si potrebbe e dovrebbe fare per cambiare le cose?
“Su questi due valori i ragazzi possono insegnare molto a noi adulti perché vivono quotidianamente la diversità e l’inclusione: per loro sono la normalità, non una barriera. Sono convinta che ci sia ancora tanto lavoro da fare per abbattere i pregiudizi esistenti e per fare in modo di avere una società che faccia proprio il concetto delle pari opportunità, abbattendo tutti i vari tipi di pregiudizi che ci sono e combattendo una destra che continua ad alzare muri e ad abbattere ponti. L’inclusione non deve essere un lusso, la solidarietà non deve essere concepita come una zavorra. Nella nostra comunità e per la nostra comunità sono un valore aggiunto”.
Una società saggia, di cosa avrebbe bisogno secondo lei? Quali dovrebbero essere i pilastri sui quali dovrebbe poggiare?
“Una società saggia valorizza tutti i suoi cittadini, dà opportunità a tutti, si fonda sulla valorizzazione del lavoro, che è uno dei temi della mia azione, e garantisce le migliori condizioni per il suo sviluppo, a partire dal salario minimo. Che a Firenze sarà applicato a tutti gli appalti di opere e servizi in cui il Comune è stazione appaltante. Per me una società e una città sono giuste se premiamo l’eccellenza, se offrono ai cittadini meritevoli opportunità adeguate, se promuovono lo sviluppo. Il successo di una società nel suo complesso non si giudica solo dalle storie di coloro che emergono, come vediamo ogni giorno amplificato dai social, ma anche dalle storie degli esclusi”.
Cosa intende per cultura e come si manifesta per lei?
“Per cultura intendo tutti quei valori, comportamenti, convinzioni che caratterizzano una collettività e che si trasmettono da una generazione all’altra. Da questo parte il tema della produzione e dell’offerta culturale legate a un luogo e a un’epoca. Credo che Firenze, da questo punto di vista, sia un faro nel mondo: l’arte, la letteratura, il pensiero filosofico e politico nato in questa città sono patrimonio universale dell’umanità. Ma per mantenere questo ruolo nel futuro occorre, innanzitutto, una visione che collochi la produzione culturale tra gli assetti strategici per lo sviluppo della città e che non si limiti all’organizzazione dell’offerta culturale. Quest’ultima rimane importantissima, ma ci vuole di più. In questi anni abbiamo cominciato ad ascoltare e accogliere, con le residenze presso il MAD e ora presso il Museo del 900, artisti che scelgono di venire o tornare o restare a Firenze per produrre arte figurativa, performativa, musicale. Poi abbiamo puntato sulla formazione e il Maggio, con la sua Accademia, ha un ruolo centrale. Ma è necessario fare di più, e soprattutto inserire ogni azione in una visione che collochi la cultura al centro dei processi produttivi di sviluppo del territorio, da tutti i punti di vista: quello economico, ma anche quello della crescita personale dei cittadini. Nella prospettiva del benessere, oggi abbiamo studi che dimostrano come nelle città culturalmente evolute, nelle quali si ha un’offerta culturale più ricca e strutturata, si vive meglio anche dal punto di vista della salute. Anche la Regione Toscana su questo sta facendo un grande lavoro. Poi è necessario pensare ogni intervento con l’obiettivo di coinvolgere i cittadini e rendere la cultura desiderabile e accessibile. Per questo punterò molto su questi temi per proiettare nel futuro la mia città al plurale”.
Un nonno scrittore e sindaco di Firenze Piero Bargellini: quale la sua eredità spirituale?
“Mio nonno mi ha lasciato una grande e importante eredità basata sull’amore per Firenze. Quando si prova questo amore, il servizio pubblico diventa gioia di mettersi a disposizione degli altri e di occuparsi della propria comunità, di risolvere i problemi e di valorizzare l’identità della città. Mia madre, che è sua figlia, mi ha raccontato che il nonno, diventando sindaco di Firenze nel 1966, pochi mesi prima dell’alluvione, disse: ‘Ho fatto talmente tante dichiarazioni d’amore a Firenze, che ora mi tocca sposarla’. E io sento la stessa cosa che provava lui. Mio nonno era un sindaco molto pragmatico, che stava molto per strada, tra la gente; di lui tanti fiorentini ricordano gli stivali di gomma che indossava nei giorni dell’alluvione mentre era al fianco dei cittadini; di me invece per ora si ricorda il cambio di scarpe, via i tacchi per indossare le ballerine (dice sorridendo, ndr), per stare tra le persone ascoltarle e provare a risolvere i loro problemi”.
Dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei: Sara qual è il suo autore preferito?
“Lo scrittore brasiliano Jorge Amado’.
E Il libro sul comodino?
“Patria di Fernando Aramburu”.
Le cose cambiano e sono cambiate per un’evoluzione lunga di secoli: Sara Funaro sa che se non avessimo avuto storie antiche di emancipazione non saremmo a questo punto. Quello giusto per ricominciare.
“I ragazzi possono insegnare molto a noi adulti perché vivono quotidianamente la diversità e l’inclusione”
Giornalista