INTERVISTA
RENZO ARBORE “La mia ricetta della Bella Televisione unisce il passato con il futuro”
In questa conversazione esclusiva con ArteCultura Magazine, Renzo Arbore, l’iconico artista italiano, enfatizza la fusione di informazione, buon gusto e linguaggi digitali per coinvolgere un vasto pubblico, giovane e adulto; promuove la conservazione degli archivi televisivi come patrimonio culturale e condivide riflessioni penetranti sull’evoluzione della televisione e il suo profondo impatto sulla cultura italiana. Un’intervista imperdibile per tutti gli amanti dell’arte e della cultura televisiva
“La ricetta della bella televisione? Per me deve tenere conto che il pubblico vada, in qualche maniera, arricchito con l’informazione ma anche col gusto, anzi, il buon gusto. Che contengano la visione delle cose extra, cioè quelle che non conosce. Credo che la televisione abbia avuto un periodo educativo, tanti anni fa, quando è nata, ma oggi deve continuare ad avere, magari ogni tanto, ancora un messaggio educativo per tutti”. Nome e cognome: Renzo Arbore. Artista unico al mondo, che non c’entra niente con gli uomini potenti, ai quali la vita ha dato molto e fanno di tutto per continuare a vivere come hanno sempre vissuto, cioè da vincenti. Arbore se ne dimentica allegramente dell’immagine che tutti hanno di lui. È un bel tipo tosto, oggi come ieri, che si rimette in gioco da sempre. Che sperimenta e si incuriosisce, ma soprattutto che non si accontenta di quel che vede. Di sicuro è lui l’ultimo vero uomo di un’epoca spettacolare un po’ romantica legata alla televisione, epoca con tutti i suoi buchi neri, ma ormai conclusa. E di sicuro se alla televisione, allo spettacolo italiani, uno toglie quel che ha messo Renzo Arbore, si vedrà di certo più grigio e più povero.
Arbore, ci regala un’altra delle sue fantastiche ricette per la bella tv?
“Sono passati più di cinquant’anni da quando ho iniziato a fare radio e televisione. Non ho fatto i calcoli, ma credo di aver trovato oltre cento artisti con talento scovati per empatia e induzione, e poi scoperte le loro potenzialità. Ho sempre pensato che se una cosa non l’avesse fatta nessuno, avrei potuto farla io. La curiosità è la mia spinta. Oggi molto è cambiato il modo di comunicare, e sta cambiando alla velocità della luce. Guardo reti alternative e canali tematici, perché ammetto che mi arricchiscono. Mi piacciono varie piattaforme che mi fanno vedere cose che non conosco. E nello stesso tempo credo che in questo momento la televisione debba assolutamente tenere conto che esistono i social e i cellulari e non far finta di no. Perché pochi giovani guardano il piccolo schermo con i programmi generalisti. La televisione da nascere per essere vista dai ragazzi è diventata appannaggio di persone mature e molto mature”.
Dunque, per lei la televisione può arrivare ai giovani attraverso nuovi linguaggi?
“Io credo che si debba tenere conto di questo, il pubblico che compra nei negozi è lo stesso che ha un po’ di soldi in tasca, un pubblico che aiuta figli e nipoti e sta in casa a guardare i programmi. Per cui pubblico da rispettare. Oggi io che sono stato sempre all’inseguimento dei giovani, dico che va tenuto conto che esiste una fascia di adulti, che considera la televisione una compagnia giornaliera importante. E per questo va rispettata con la qualità della programmazione. Da parte mia, un piccolo divertissement me lo sono concesso: ho lanciato con un certo successo l’app Renzo Arbore Channel, sui cui scarico video, molto seguito anche dal pubblico più giovane che si diverte ad interagire con me. Sul mio canale si possono vedere video dove parlo, suono e racconto. È un mezzo potente, alternativo alla televisione, ma anche in qualche modo collegato alla televisione: non si può far finta di niente”.
Arbore, lei è un teorico della tv a lunga durata, cioè?
“Credo si debba tener conto di potenziare le reti alternative, perché offrono cose nuove, e ne imparo molte frequentando, ma di certo debbono essere pubblicizzate almeno quanto i quiz. Perché l’opera o il teatro di prosa non hanno mai lo stesso traino dei programmi di intrattenimento? Perché per divulgare la cultura che è la base di tutto, solo pochi secondi di spot qualche giorno prima? Sono sicuro che se avessero una copertura giusta, tantissimi italiani li vedrebbero e molto volentieri. La televisione a lunga durata per me è vincente perchè è quella che si conserva. Nel cuore, nella mente, nei ricordi”.
E come si dovrebbe fare la tv a lunga durata?
“Ho letto che Bertolucci ha detto che la storia del nostro Paese l’ha fatta il cinema, e che vedendo vecchi film ha ritrovato la storia. Io dico che la stessa cosa l’ha fatta la televisione, ma in modo più capillare: iniziando dall’intrattenimento, per affidarsi infine alle Teche Rai, che sono dirette molto bene, ed è stato digitalizzato tutto il materiale possibile immaginabile. Un lavoro di archivio importantissimo, perché accanto al cinema, per rispondere a Bertolucci, sicuramente anche la televisione ha fatto la storia del nostro Paese. C’è tutto un repertorio che può, deve durare nel tempo e che può essere visto anche dopo dieci anni, goduto non dai nostalgici, ma da chi non l’ha visto”.
Arbore, ma i programmi più sensati sono vittime dell’auditel.
“Guarda che siamo d’accordo. Io continuo a sostenere che accanto all’indice di ascolto giudice supremo della bontà della tv, io ancora ho la voglia di rispettare, invece, quello che si chiamava indice di gradimento. Ma io lo chiamo indice di affezione al programma: cioè di stima, di apprezzamento. Perché ci sono programmi meno visti, ma che hanno un apprezzamento, magari anche non subito, ma a futura memoria. Ricordiamoci che il tempo è giudice supremo, se una cosa è noiosa, viene dimenticata. Ma ci sono cose preziose che vanno viste e fatte conoscere. E non hanno data. Come i grandi classici dei libri: chi può dire che la Divina Commedia sia datata?”.
Non giriamoci intorno: la televisione è divisa in PA e DA, prima di Arbore e dopo Arbore. Che effetto le fa?
“Bah non ci ho mai pensato. Non sento neppure una responsabilità, se a quello alludi. Mi fa piacere se qualcuno me lo riconosce anche perché ho sempre fatto il lavoro televisivo cercando di mettermi dalla parte del pubblico, e nei panni degli altri. Non mi sono mai sentito superiore a nessuno, ho solo cercato di capire i gusti della gente. L’innovazione è venuta da sola, sempre cercando i diktat dei momenti storici, delle cose nuove. Sono stato contento che Vito Molinari, antico regista della tv, l’altro giorno ha scritto che: ‘in televisione la vera rivoluzione l’ha fatta Arbore’. Diciamo che ho inseguito l’altra televisione, l’altro altro cinema, l’altra musica”.
Non lo dico solo io che lei è uno straordinario artista.
(Ride) “Mi ha divertito sentirmi dire che sono stato un innovatore per le canzoni. A me non pareva sinceramente, ma poi, ho capito. Parlavano della canzone napoletana. Cioè dell’altra canzone. Quelle napoletane erano considerate le canzoni della nonna, ma io le ho ritirate fuori e cantate con la mia orchestra anche nei programmi televisivi. Da lì hanno rispiccato il volo. Dopo tanti anni, ci ho creduto e ho voluto riproporle al pubblico: è stata una bella mossa, perché tutti ora – lo vedi, no? – cantano le vecchie canzoni napoletane come fossero una specie di avanguardia. E questo è molto bello. Perché l’arte, come dicevo prima, non è mai datata, e la storia che è passata prima di noi, può diventare modernità e quotidianità: deve essere considerata così e coltivata. Riscoperta per essere apprezzata”.
È un bene che chi fa la televisione ascolti attentamente Renzo Arbore: perché tutto il peso di una funzione così essenziale e delicata come il saper comunicare, non caschi solo e sempre sulle spalle del primo che passa. A caso.
Giornalista