INTERVISTA
MICHELE SPOTTI La musica è un viaggio emozionante che richiede tempo
Dall’istinto precoce alla consapevolezza artistica: Michele Spotti, classe 1993, racconta in questa intervista ad ArteCultura Magazine il valore del tempo e delle esperienze personali nella direzione d’orchestra. E ci ricorda che la musica più intensa nasce sempre dalla verità delle emozioni e dalla profondità di una vita realmente vissuta.
Classe 1993, Michele Spotti è oggi uno dei direttori d’orchestra più promettenti e talentuosi della scena internazionale. La sua carriera lo ha già portato nei teatri più prestigiosi d’Europa: dall’Opera di Parigi all’Arena di Verona, dalla Wiener Staatsoper alla Deutsche Oper di Berlino, fino al Teatro San Carlo di Napoli. Dal 2023, è Direttore musicale dell’Opera e dell’Orchestra Filarmonica di Marsiglia, un ruolo che conferma il suo status tra i più interessanti della sua generazione. Lo incontro dopo un’importante doppia prova artistica al Maggio Musicale Fiorentino, dove ha diretto prima un concerto sinfonico e poi l’opera Norma di Vincenzo Bellini, assente da quasi 50 anni dal cartellone del teatro. Con la sua bacchetta ha guidato una delle migliori orchestre d’Europa, regalando al pubblico un’interpretazione intensa e carica di emozione.
La passione per la direzione è nata molto presto. Ricorda il momento in cui ha capito che sarebbe diventato un direttore d’orchestra?
“In realtà, no. I miei genitori mi raccontano che fin da piccolissimo era chiaro che la musica fosse il mio mondo. Non ho mai pensato di fare altro. È stato un istinto primordiale. Sono passato dal violino al pianoforte, poi alla composizione, ma la direzione d’orchestra è sempre stata il mio vero habitat naturale”.

Michele Spotti, qui ripreso nel 2022 alla Prima di “Il_signor Bruschino” ©Andrea-Ranzi
Ha debuttato giovanissimo, prima nel sinfonico e poi nell’opera. Qual è stata la differenza più grande tra questi due momenti?
“A 18 anni ho diretto il mio primo concerto alla Sala Verdi del Conservatorio di Milano. Quando si inizia con il repertorio sinfonico, c’è una sorta di sana incoscienza: ci si butta, senza pensare troppo. Dirigere un’opera, invece, è un’altra storia. Bisogna gestire cantanti, orchestra, regia, coro ed essere la guida principale, ma al tempo stesso dipendere da tanti altri fattori. Il mio debutto operistico è stato a 20 anni con Le nozze di Figaro. Era un’opera molto complessa e sentivo tutto il peso della responsabilità”.
Infatti, ha scelto di riprendere Le nozze di Figaro 11 anni dopo. Una sfida personale?
“Sì, volevo esorcizzare quel momento. A 20 anni affronti certe cose con il massimo impegno, ma non hai ancora l’esperienza per sentirti totalmente sicuro. È normale, non si nasce imparati. Rivedere quell’opera con la maturità acquisita è stato un modo per chiudere un cerchio”.
Ritiene di essere stato un enfant prodige?
“No, non mi sento tale. Ho iniziato presto, ma non mi è mai mancato nulla. Ho vissuto un’infanzia normale: ho giocato a calcio, ho visto gli amici, ho mangiato le mie pizze. Oggi, da genitore – ho due bambini, Riccardo di 10 mesi e Davide di 3 anni – capisco ancora di più quanto sia importante il tempo dell’infanzia. Un enfant prodige spesso sacrifica qualcosa: se un bambino suona così bene a quell’età, significa che ha rinunciato a essere bambino. E questo, alla lunga, può diventare un peso”.
Pensa che la maturità musicale abbia bisogno del tempo giusto?
“Assolutamente sì. Otello di Verdi, ad esempio, non lo dirigerei ora, perché non mi sento pronto. La nostra è un’epoca ossessionata dalla velocità, ma la musica ha bisogno di tempo. Preferisco arrivare alla mia maturità, magari a 40 anni, senza forzare le tappe. Se un musicista è tecnicamente straordinario ma nella vita è vuoto, quello che trasmetterà sarà altrettanto vuoto. La musica è fatta di esperienze vissute, non solo di tecnica”.

Michele Spotti, crediti ACP- VDM
Torniamo al Maggio Musicale Fiorentino: com’è stato il rapporto con l’orchestra?
“L’Orchestra del Maggio è una delle migliori d’Europa, perché ha sempre lavorato con artisti di livello assoluto. Gli standard sono altissimi e il mio rapporto con loro è stato di grande stima reciproca. Dirigere sia il concerto sinfonico che Norma è stata un’esperienza incredibile. Poter dare la mia interpretazione su due fronti così diversi è stato stimolante”.
È mai capitato di non andare d’accordo con un’orchestra?
“Più che di disaccordo, parlerei di empatia. Ci sono orchestre con cui trovi subito un feeling naturale e altre con cui devi costruirlo nel tempo. La bravura di un direttore sta nel capire la psicologia dell’orchestra, senza creare tensioni e mantenendo la propria autenticità”.
Quali sono i prossimi impegni?
“Ho appena diretto Turandot all’Arena di Verona, che ha inaugurato la 101ª edizione, e Simon Boccanegra al San Carlo di Napoli. Poi mi aspettano Ernani a Valencia, La bohème a Dresda, Die Zauberflöte al Teatro dell’Opera di Roma e tanti altri progetti. Ogni concerto è una nuova sfida e un nuovo passo avanti”.
C’è un sogno professionale che vorrebbe realizzare?
“Già essere nominato in cartellone sotto un gigante come Zubin Mehta, è una grandissima soddisfazione. Ma il vero sogno sarebbe poterlo conoscere di persona”.
La sua crescita artistica è solo frutto di talento?
“Non solo, anche di studio e consapevolezza. Il futuro è ancora tutto da scrivere, ma in qualche modo, e ne sono felice. Il mio nome per molti è già una certezza. Ma mai dare niente per scontato nella vita”.
“Se un musicista è tecnicamente straordinario ma nella vita è vuoto, quello che trasmetterà sarà altrettanto vuoto. La musica è fatta di esperienze vissute, non solo di tecnica”

Michele Spotti ©️ Anthony Carayol – Ville de Marseille

Giornalista