INTERVISTA
MATTEO CICHERO Determinazione e qualità, le chiavi per emergere nella giungla cinematografica moderna
In questa intervista esclusiva ad ArteCultura Magazine, Matteo Cichero, produttore emergente nel cinema italiano, condivide la sua esperienza nella selva dei finanziamenti cinematografici, rivela come il cinema sia cambiato nel corso degli anni, e sottolinea l’importanza di connettere il cinema all’industria. Con un curriculum interessante e progetti che spaziano dall’Italia agli Stati Uniti, Cichero offre una prospettiva unica sulla produzione cinematografica moderna e il suo ruolo nel mondo dell’intrattenimento.
“Oggi? È molto difficile perché uno si deve districare tra bandi, task credit, finanziamenti privati e coproduzioni: una jungla di burocrazia che sembra difficile da credere. Ma la verità è questa. Chiudere il budget di un film è sempre più difficile perché le stesse imprese che anni fa si facevano largo per impegnarsi, e chiedevano di apparire nei film, oggi credono poco nel cinema. E soprattutto non ci investono, non è facile. No”.Matteo Cichero- accento sulla “e”- 35 anni, è uno dei produttori emergenti del nuovo cinema italiano. Un bel curriculum: nel 2012 ha fondato la ecoFrames con la quale ha girato spot per prestigiosi brand internazionali come Rolex, Cartier, Infiniti, Coop, Woolmark, Hard Rock, Jagermeister, Stanford University, realizzando anche l’atteso booktrailer internazionale del libro Inferno di Dan Brown. Il suo “vizio” è quello di non lasciare niente di intentato: ha infatti già collaborato – e collabora – con televisioni di tutto il mondo, fra le quali canali come CBS, CNN, HBO, France 2, NHK, Cuatro, National Geographic, Arte e molti altri. Professione: produttore cioè una delle figure preminenti nella cinematografia perché si sa, che senza i finanziamenti non esisterebbero film e con loro, ovviamente, attori, registi, e tutte le figure professionali che concorrono alla produzione di un film. Spesso è lo stesso produttore che acquista i diritti di un romanzo per crearne poi una sceneggiatura per la produzione del film. Ed è capitato che alcuni attori o registi, dopo aver accumulato belle somme di denaro, siano diventati a loro volta produttori cinematografici.
Cichero, lei ha solo 35 anni e le idee molto chiare: bastano per lavorare?
“Diciamo che me le faccio bastare. Oggi sono direttore della casa di produzione fiorentina Fair Play, con la quale ho prodotto i lungometraggi come Mare di Grano, Aspettando la Bardot, Anemos, Una sconosciuta, film che è stato ammesso ai Golden Globe, Non ci resta che ridere, un corto su Franco Zeffirelli, ed Europa, opera pluripremiata in festival internazionali, candidata dall’Iran agli Oscar e vincitrice della Quinzaine di Cannes”.
Il suo impegno però oltrepassa il cinema.
“Si, ma va di pari passo perché va tenuto conto che oggi non c’è più niente a compartimenti-stagno. Attraverso Fair Play sono entrato nel Cda della casa editrice Le Lettere con la quale pubblicano importanti riviste per l’Accademia della Crusca e per la Società Dantesca”.
Lei è anche associato a grandi eventi di piazza legati ad anniversari del cinema, molto copiati in vari Paesi.
“Da sempre sono appassionato di questo genere di cose perché muovono masse di persone che finalmente si schiodano dai cellulari e dalle televisioni di casa, per ritrovarsi e condividere qualcosa come un ricordo, un momento, legato alla loro vita. Ho molto nel cuore queste grandi manifestazioni legate agli anniversari cinematografici: per esempio, nel 2022 ho organizzato il primo grande Drone Show in Toscana, poi l’anniversario di artista enorme come Nano Campeggi, la presentazione delle opere di Vittorio Storaro, il convegno Basilicata Blue Transition a Dubai, la presentazione dei Vini Toscany a New York, ho seguito la regia dell’evento dedicato a Francesco Nuti per la diretta Sky e gestito i diritti del Calcio storico fiorentino con le tv di tutto il mondo, seguendo le produzioni”.
Cichero, che differenza c’è tra produrre cinema ieri e oggi?
“Dagli anni ‘50 e fino ai ’90 era tutto più facile. C’erano milioni di persone che andavano al cinema, e si producevano pochi film. Molto meno rispetto a oggi e sicuramente andare al cinema era un rito sociale. Il sabato e la domenica sentivi gente che diceva: che si fa andiamo al cinema? Non era neppure importante il film, ma il rito del cinema. Per questo sono rimasti epocali alcuni film. E il cinema si chiamava grande schermo, perché in casa avevamo tutti delle televisioni piccole. E al cinema, vedere in primo piano un panorama gigantesco, o una persona, era un’emozione vera. E oggi ci sembra scontata, perché in casa abbiamo mega televisori. Oggi nessuno pensa più che il cinema fosse veramente un grande schermo per il pubblico”.
E per produrre allora?
È difficile trovare un privato che finanzi un film, perché c’è il rischio d’impresa, e un privato preferisce far campagne sui social, profilando un pubblico. In quegli anni, invece, l’inserimento di un prodotto commerciale in un film, era una delle poche possibilità di far conoscere quel prodotto. In tutti i film italiani, anche se illegali, c’erano sigarette, vini, whisky. Ma anche mezzi di trasporto come le Vespe, le auto inquadrate benissimo che sono poi diventate iconiche, tipo in Vacanze Romane”.
In ultimo, Cichero lei ha lavorato all’estero: mi dice che differenza c’è con l’Italia?
“Lì esistono gli spot executive, il produttore di grossi brand. Lavorando tanto con gli americani mi sono appassionato al loro modo di fare cinema, così professionale, nel senso che lavorare nel cinema in Italia viene visto come qualcosa di elitario. Ma quando parli di cinema in America, lo chiamano industria, cioè una cosa che coinvolge tante persone. Se chiedi a un italiano di dargli degli esempi di industria, non dirà mai quella cinematografica, perché non lo collegherà mai con un lavoro per tante persone. Se poni la stessa domanda a un americano, lo collocherà al primo posto: un kolossal-medio ha bisogno di 150 milioni di budget e ci lavorano migliaia di persone”. E quando il cinema in Italia mostra il suo vero volto, niente arriva e nessuno parte. Basterebbe questo per renderci capaci di empatia con uno coraggioso come Matteo Cichero.
“Dagli anni ‘50 e fino ai ’90 era tutto più facile. c’erano milioni di persone che andavano al cinema, e si producevano pochi film. molto meno rispetto a oggi e sicuramente andare al cinema era un rito sociale.”
Giornalista