ARCHITETTURA
Le nuove sfide dell’interior design
Nuove tecnologie e maggiore attenzione alla sostenibilità, all’ambiente, alla salubrità, spazi ibridi che pongono al centro dell’attenzione le esigenze delle persone, il confort, il benessere e la salute. La pandemia impone un ripensamento del nostro modo di vivere e concepire la casa.
Francesco Antonio Scullica
Partiamo dal presupposto che stiamo vivendo in un periodo di passaggio e cambiamento: la pandemia ci ha imposto di modificare abitudini, comportamenti, in relazione a persone ma anche a spazi, e questo ha ovviamente una relazione con il modo di approcciare il progetto degli spazi, e quindi l’interior design. Non sappiamo se tutto ciò potrà avere una ricaduta più o meno significativa, e quanto influenzerà sul lungo periodo il nostro modo di vivere, i nostri comportamenti, i luoghi, gli spazi interni ed esterni che frequentiamo, in cui viviamo, lavoriamo, ci relazioniamo, “abitiamo” , nel senso più ampio del termine: non sappiamo ancora con esattezza se un vaccino, insieme a cure più adeguate, potranno permetterci di ritornare ad una modalità di “vita” e ad un rapporto con le persone e con gli spazi in una situazione “pre-covid 19”.
Siamo infatti troppo all’interno di una fase di transizione per poter dare ed avere delle certezze, come spesso è avvenuto in periodo di significativi cambiamenti e di fronte ad eventi epocali di rilevante portata, come quello pandemico che stiamo vivendo. Personalmente però credo che l’interior design, dovrà confrontarsi con uno scenario che sarà sicuramente mutato con riferimento a:
- una maggiore attenzione alla sostenibilità, all’ambiente, nella progettazione, ma anche nella gestione degli edifici; credo che dovremmo sempre di più, anche come progettisti, “riparare” quella natura “rotta” (riprendendo il titolo dell’ultima triennale internazionale, la XXII, “Broken Nature” presso la Triennale di Milano, organizzata nel 2019 da Paola Antonelli– curatrice del dipartimento di architettura e design del MOMA DI NEW YORK) che non è più qualcosa che si possa trascurare;
- anche nel progetto degli spazi interni, dovrà sempre di più esserci un approccio sostenibile, dalla progettazione fino alla gestione, con riferimento a tutto il processo, dalla pianificazione, alla scelta dei materiali, all’approvvigionamento energetico, alla manutenzione e riparazione degli interventi, da quelli più in relazione all’architettura fino a quelli più in rapporto con le finiture, i materiali, gli arredi e gli apparati impiantistici; e questo in relazione ad un’attenzione da parte di molti protagonisti del mondo del progetto dall’architettura al design (da Stefano Boeri, a Renzo Piano, Matteo Thune a molti altri).
- gli interni dovranno però essere più “sani”: in questi ultimi tempi sempre di più, anche in relazione al virus, ma non solo, si è parlato di come la qualità dell’aria sia importante: non si può pensare ad avere finestre e relazioni con l’esterno all’insegna delle totale “impermeabilità”, con finestre e vetrate “sigillate”, come in tante realizzazioni della modernità e della post-modernità: dobbiamo permettere all’aria di muoversi e di circolare e se non possiamo farlo attraverso le finestre, i serramenti (elementi su cui c’è molto “da fare” e da ripensare da un punto di vista progettuale) bisognerà farlo con i sistemi di ventilazione meccanizzata e/o con adeguati impianti di climatizzazione. O, in casi tecnologicamente più evoluti, con sistemi di “sanificazione” dell’aria, sulla base di tecniche e modalità già sperimentate in ambito sanitario, o aereospaziale;
- l’attenzione alla salubrità, ovviamente, incide anche sul design dei materiali, degli oggetti, e delle superfici: materiali che siano facilmente igienizzabili, ma anche che siano progettati in profondità, per esempio attraverso le nanotecnologie, per poter “respingere”, gli acari ma anche i batteri e i virus;
- ma anche i comandi e le interfacce, per esempio degli apparati tecnologici, dai devices fino alle diverse componenti impiantistiche, dovranno sempre di più basarsi su modalità oltre la dimensione “touch”, per esempio utilizzando forme di riconoscimento/comando vocale o “facciale”.
Credo poi che uno dei pochi vantaggi di quello che stiamo vivendo, purtroppo drammaticamente,sia che si sta spostando il centro dell’interesse del design e dell’interior design e in generale del mondo del progetto, da questioni soprattutto di natura estetica e di linguaggio, a quelle che attengono il benessere dell’individuo ma anche la risposta a nuove esigenze e comportamenti(e ciò riprendendo una tradizione originaria del design quella di occuparsi principalmente di questioni e problemi “non risolti” o “mal risolti” che attengono il rapporto dell’individuo con il mondo materiale ma anche con quello immateriale – come l’area del design dei servizi, per esempio), in coerenza e utilizzando le tecnologie e i linguaggi del periodo storico in cui ci si trova.
Molti spazi cambieranno, anche per la rivoluzione digitale, e con ILI Editore ce ne siamo occupati recentemente nella seconda edizione del New Digital Art Day dedicato al ruolo del design nell’era digitale– convegno promosso dal sistema design del Politecnico di Milano e da ILI Editore, con il patrocinio di ADI, associazione del disegno industriale), e hotel, uffici, co-working, co-living, si dovranno (re)inventarealla luce del concetto di spazio ibrido:
- uno spazio ibrido è uno spazio versatile e particolarmente flessibile, per le funzioni e le attività che vi si possono svolgere; ciò in relazione ad un fenomeno già in atto da tempo, dato dalla possibilità offerte dalle nuove tecnologie dell’ ICT (Information Comunication Technology) ma anche da quelle dell’IOT (Internet of things) di rendere particolarmente versatile il rapporto fra individui, funzioni, attività, servizi e luoghi, oltre gli schemi convenzionali e “monofunzionali” su cui si basavano le classiche tipologie architettoniche ed edilizie soprattutto in seguito alla rivoluzione industriale del XIX secolo e all’avvento del movimento moderno nelle prime decadi del XX;
Lo spazio ibrido si è affermato come spazio trans-tipologico: case che diventano all’occorrenza luoghi per lavorare, hotel che diventano uffici e uffici che guardano alle case e all’hotel; co-working come spazi a cerniera fra uffici e luoghi di incontro/ristorazione/relax/condivisione; strutture co.lving che guardano alle residenze, agli hotel ma anche ai luoghi di intrattenimento o di lavoro e ancora store commerciali che diventano spazi per l’esposizione (e non solo per la vendita) ma anche luoghi dove poter “produrre” fisicamente le merci secondo un approccio da industria 4.0,.. fino ad arrivare agli spazi della cura, della riabilitazione, che mai come in questo periodo sono stati “sentiti” come spazi fondamentali che guarderanno non soltanto ad una dimensione iper tecnologica (riflesso dell’avanzamento della tecnologia e delle scienze mediche), ma anche a dimensioni di sempre maggiore comfort per il paziente/ospite, per esempio prendendo come riferimento i modelli alberghieri o neo-domestici.
Ma lo spazio ibrido, in questi ultimi tempi, si arricchisce di nuove componenti, in particolare del rapporto fra reale e virtuale; sempre di più i nostri spazi saranno aumentati dalle nuove tecnologie ma potranno anche essere degli spazi dove, attraverso il digitale, ci si metterà in comunicazione virtuale con altre persone e con altri contesti, e questo avverrà sia per lavoro e sia per intrattenimento secondo un approccio comportamentale “eclettico” all’insegna del “bleisure” (Business + Leisure)
Fra i possibili esempi di “inovative environment” vi è lo studio televisivo, che appare una tipologia in grado forse di influenzare i nuovi spazi dell’abitare, del lavorare, dell’intrattenimento,…. nella sua commistione fra reale e virtuale: esso appare infatti “animato” da persone presenti fisicamente ma anche virtualmente; uno spazio alla cui base, per la sua realizzazione e “vita” si pongono sofisticate tecnologie che riguardano la climatizzazione, l’illuminazione, la definizione virtuale, ma anche fisica, di scenografie di notevole effetto, ma anche la possibilità di poter essere interpretato/rappresentato/inquadrato in maniera diversa attraverso le tecniche e gli apparati di video-comunicazione; dove quindi in generale il design della comunicazione appare un elemento fondamentale in un forte dialogo con le componenti di interior design più canoniche.
Un approccio italiano: credo che l’Italia continuerà ad essere un riferimento importante per il settore del progetto internazionale, per alcune questioni che caratterizzano il design italiano, e anche ritengo l’interior design:
- innanzitutto per la centralità della persona e anche dell’ambiente, visto che l’approccio sostenibile da parte di molti progettisti italiani, architetti e designers, è sicuramente un elemento oggi sempre più importante (come si è sopradetto);
- per il valore culturale del nostro approccio, oltre le scelte eccessivamente “professionalizzanti” il design e l’interior design italiano guardano e si confrontano con il contesto e la sua storia ma anche con la cultura in generale (pittura, scultura, fotografia, moda, ma anche letteratura, musica, teatro,… fino alla cultura enogastronomica);
- per la cura dei materiali e dettagli: “piccolo è bello”; noi “abitiamo” in un “piccolo” paese, rispetto a molti altri contesti e forse (anche) per questo sappiamo cogliere il valore e l’importanza di scelte di “dettaglio” e alla “piccola scala” (qualità contro quantità!);
- per la qualità manifatturiera e produttiva, espressa da parte di aziende, (di cui molte medio-piccole) ma anche da tanti artigiani, esecutori e professionisti capaci di “eccellere” nell’esercizio del loro mestiere, della loro professione e lavoro;
- per un’idea di lusso che è soprattutto un’idea di “qualità”,del progetto di un’ esperienza arricchente per l’individuo in senso globale, e non di lusso inteso come mera ostentazione,… come espressione di “ Potere”,… come avviene in altre culture e modi progettuali in molte parti del globo;
- per un approccio, quindi, maggiormente, glocal,visto anche gli effetti nefasti di una globalizzazione estrema tanto su un piano sanitario, ma anche su quello economico e sociale.
Francesco Antonio Scullica
Francesco Antonio Scullica, architetto, dottore di ricerca in Architettura degli Interni, è professore ordinario in Disegno Industriale presso il Dipartimento di Design del Politecnico di Milano dove da diversi anni svolge attività didattica, di ricerca e consulenza con riferimento all’interior design.
Dal 2012 è il direttore scientifico del Master Interior Design, del Politecnico di Milano, arrivato alla XVIII edizione e di cui è stato anche co-progettista.
Dirige anche scientificamente l’Executive Management Design Master (EMDM) for Innovative Environments (master promosso dal Politecnico di Milano e dalla Tongji University di Shaghai) e altri corsi di specializzazione con riferimento all’interior design presso POLI.design- Politecnico di Milano. E’ stato il curatore scientifico di diverse mostre e eventi di design fra cui HOMI-Hybrid Loungepresso fiera Milano fra il 2017 e il 2019 e nominato fra i 100 ambasciatori del design italiano nel mondo per le edizioni 2018, 2019 e 2020 dell’Italian Design Day.