TEATRO
ALESSANDRO BENVENUTI “Il mio ritorno in casa Gori”
Nato così, un po’ per scherzo, “Benvenuti in casa Gori” è diventato nel tempo un must della commedia italiana. Ed ora Alessandro Benvenuti, a distanza di quarant’anni dal suo debutto al Teatro della Pergola di Firenze, lo riporterà in giro per l’Italia. Come racconta lui stesso in questa intervista ad ArteCultura Magazine. In cui rivela anche che…
«Che fregatura che l’è la vita. Quando comincia un tu sai neanche il che l’è, e quando tu t’accorgi che l’è brutta, l’è belle finita». Ipse dixit Gino Gori, uno dei personaggi di Benvenuti in casa Gori film del lontano 1990 tratto dall’omonima commedia di Alessandro Benvenuti e Ugo Chiti, che poi ha avuto anche un seguito, con Ritorno in casa Gori. Nel film-cult un bel cast a cominciare da Ilaria Occhini e Carlo Monni, Novello Novelli e Massimo Ceccherini, lo stesso Alessandro Benvenuti e anche Athina Cenci. Insomma, eccolo qua, quarant’anni dopo il debutto di uno spettacolo che è rimasto un must della commedia non all’italiana, ma italiana. “Benvenuti in Casa Gori”, che Alessandro Benvenuti, dopo il debutto al Teatro della Pergola – prodotto dal Teatro della Toscana – porterà in giro per l’Italia: pregasi non perdersi questo vero one man show. Perché sarà lo stesso Benvenuti a interpretare tutti i ruoli in commedia, cioè una ventina circa, con una diversità e un’intensità di registri, colori e di sfumature da manuale, senza mai scadere nella retorica o nella monotonia da corde vocali per una prova di attore unica e forse irripetibile.
Alessandro Benvenuti, regista, drammaturgo e anche attore è un bene prezioso per l’Italia dello spettacolo, artista sempre umile che non fa vetrine, che studia ancora e non si accontenta di quel che è o fa. Incredibilmente non ha mai ricevuto un Premio Ubu: per lui un ritorno sul palcoscenico dopo la prima messa in scena datata 1986. E dalla sua ci sono questi 40 anni di successi senza sentirli.
Alessandro, la genesi di Benvenuti in Casa Gori è assai strana.
“In effetti non è nato come spettacolo, ma come scherzo che avevamo pensato con Ugo Chiti come si sa sceneggiatore, drammaturgo, regista, per prendere in giro praticamente i miei parenti che anche lui conosceva bene. Di certo non pensavamo a uno spettacolo ma a una esercitazione di toni e registri, tra due amici. Poi incontrammo il nostro amico, anche lui regista, Angelo Savelli, direttore del teatro di Rifredi, e mi spinse a farne almeno una lettura. Fu un tale successo che non ci si credeva neppure noi, accadde il finimondo. E non si è più fermato: questa Vigilia di Natale piacque molto e poi si spostò nel foyer del teatro della Pergola tra il 1987 e il 1988, e in seguito divenne un film con bei protagonisti compresa Ilaria Occhini. In tutte le versioni ha sempre avuto un grande seguito di pubblico”.
E lei Benvenuti come si sente dopo 40 anni da quei momenti a riproporlo?
“Io molto bene perché è una soddisfazione enorme: è come esser tornato a casa in qualche modo determinato a fare sempre meglio. Come se fosse una prova di vita, un qualcosa che mi impegna non solo come attore, ma come persona: secondo me è uno dei segreti della sua longevità è di non essere mai stato svenduto”.
In che senso?
“Che ho un profondo rispetto per le persone che racconto e porto in scena facendole rivivere: ho la volontà e l’attenzione di non svenderle. Il ritorno sulle scene lo debbo anche a mia moglie Chiara che da sempre lavora con me: è la mia prima assistente alla regia e la prima volta che andammo in scena aspettava Camilla, la nostra prima figlia, e già nella pancia della mamma sentiva questa musica che in qualche modo appartiene alla sua infanzia. Come ti dicevo ho troppi motivi di rispetto perché venga male: tutte le sere c’è la volontà di farne qualcosa di molto umano e riconoscibile”.
Benvenuti anche durante la pandemia è riuscito a creare un gioiellino.
“Non so se lo sia, ma ho fatto questo Panico ma rosa, uno spettacolo che mi rappresenta. Pagine di diario che raccontano l’isolamento obbligatorio di un autore attore che, privato del suo naturale habitat, il palcoscenico, decide di uscire dalla sua proverbiale ritrosia e raccontarsi per la prima volta pubblicamente, con disarmante sincerità come persona. Sogni e bisogni, ricordi e crudeltà, fantasie e humor. Un viaggio nella mente di un comico che, nel cercare un nuovo senso della vita per non impazzire, reinventa il passato di chierichetto, stabilisce inediti e proficui rapporti con tortore, passerotti, merli. Diciamo che drammaturgicamente parlando ‘Panico ma rosa’ è di genere Po Ca Co: Poetico Catastrofico Comico”.
E il cinema?
“Per ora non ho storie da raccontare e non è facile. Ma va ancora bene in televisione la serie de I Delitti del Barlume con un regista a cui sono grato come Roan Johnson, puntate che sono state molto fortunate. Come far parte di un’avventura un po’ straordinaria in un clima bello a cominciare dal set. Per il teatro so già che il prossimo anno faremo Falstaff in un nuovo testo, per una nuova drammaturgia”. Per non copiare la giovinezza come se fosse l’unica stagione in cui è legittimo cercare la creatività.
“Ho un profondo rispetto per le persone che racconto e porto in scena facendole rivivere: ho la volontà e l’attenzione di non svenderle”
Giornalista