INTERVISTA
LAURA ANDREINI Attrice, moglie e missionaria del Teatro Libero
Dalla fama al servizio della trasformazione sociale attraverso il potere del teatro. Laura Andreini, la talentuosa attrice che ha condiviso il palcoscenico con icone come Gassman e Albertazzi, racconta in questa intervista ad ArteCultura Magazine, il suo straordinario percorso che l’ha portata a realizzare i suoi ideali di una vita dedicata all’arte e all’impegno comunitario, aprendo nuove prospettive di cambiamento attraverso l’espressione artistica e l’inclusione dei più vulnerabili.
Un’attrice straordinaria, che in scena diventa un gigante, coccolata e amata da personalità come Vittorio Gassman e Giorgio Albertazzi: il primo la vuole con sé, il secondo se la contende. Lei è Laura Andreini, fiorentina, che inizia la carriera di attrice grazie al suo grande talento, collaborando con i principali protagonisti della scena italiana. Una vita in progress che culmina in un matrimonio d’amore pazzesco, che va oltre alla favola: sposa e sarà l’ultima moglie di Enrico Maria Salerno. La vita di Laura Andreini è in qualche modo come una specie di favola. Dopo la morte del grande attore decide di lasciare le scene per dedicarsi a un progetto importantissimo: oggi Laura Andreini vive nella loro casa nei pressi di Roma ed è direttore artistico del progetto “Teatro Libero di Rebibbia” dove svolge attività di autrice in carcere e anche regista per le compagnie che operano all’interno del penitenziario romano.
Signora Andreini, come l’ha cambiata la vita da studentessa?
“Mi sono formata professionalmente alla prima, vera Bottega dell’attore, nata a Firenze, all’interno del Teatro della Pergola dall’allora mitologico direttore, Alfonso Spadoni. E ho avuto l’onore e la fortuna di conoscere da vicino Vittorio Gassman, Eduardo De Filippo, Giorgio Albertazzi. E poi anche Anna Proclemer, Giancarlo Sbragia, Franco Zeffirelli. Incontri che hanno radicalmente cambiato la mia vita che l’hanno arricchita, fatta crescere, ma anche messa alla prova. Mi ricordo quella sensazione di sentirmi inadeguata, e che questi grandi maestri, invece, ci tenevano a rassicurarmi, a farmi sentire a mio agio. Sono stata molto fortunata”.
Arriviamo a questo matrimonio con un uomo particolare come Salerno, e lei tanto più giovane.
“È stato un grandissimo amore totalmente inaspettato. Mi faceva paura Enrico e questa relazione, e non volevo addentrarmi in una storia con un uomo con un passato pieno di ex, che tutti conoscevano. Ma è stata una cosa diversa da subito. Di Enrico Maria Salerno sono stata all’inizio attrice, poi collaboratrice e poi moglie. L’incontro con Enrico è come se avesse dato corpo ai miei ideali: per la mia generazione l’impegno politico era la spinta che sosteneva ogni scelta e ogni ispirazione. In lui si integravano pienamente il grande artista e l’uomo politicamente impegnato nel portare avanti le istanze dei più deboli. C’era in lui, ma anche in me, la spinta che sosteneva ogni ispirazione e anche il nostro rapporto si fondava sulla volontà di agire per migliorare la società. Almeno questa era la nostra prospettiva”.
Come ha capito che faceva sul serio?
“Un giorno mi chiese di conoscere i miei genitori. E decise di invitarli a pranzo, a Firenze. E lì lui chiese la mia mano a mio padre, che era più giovane di lui e non me lo aspettavo veramente. Usò parole dolcissime e delicate che commossero tutti. E poi diventarono grandi amici”.
Come arriva a questa missione del teatro nel carcere di Rebibbia?
“Ho sempre amato tanto il teatro, l’ho studiato, approfondito e ho capito che oltre alla recitazione c’è molto di più. Il teatro in carcere mi ha riportato in qualche modo alla radice di una scelta avvenuta tanti anni prima, perché questa forma di arte ha il valore della necessità, si spoglia di ogni forma di autoreferenzialità, ed è lontano anni luce dai pericoli della ripetitività e del narcisismo. Per chi è detenuto è una necessità. E così, dopo la scomparsa di Enrico è stato naturale continuare a seguire la traccia che aveva lasciato”.
Laura, ci racconta un po’ del suo ricco impegno d’autore?
“Diciamo che, come assistente alla regia e consulente culturale, ho accompagnato gli ultimi quindici anni di lavoro di Enrico, in teatro, cinema e televisione. Nel 1994, appena scomparso ho deciso di fondare il Centro Studi intitolato al suo nome. Ho diretto i settori della promozione culturale, teatrale e cinematografica, della formazione e della produzione di spettacoli, mostre, eventi. Fra i miei impegni, c’è la presidenza – dal 1994 – della giuria del premio Enrico Maria Salerno per lo spettacolo. Poi ho promosso, attraverso Roma Capitale molti eventi e anche le manifestazioni per il decennale e poi ventennale della scomparsa di Enrico, tra proiezioni, celebrazioni e spettacoli in Campidoglio, al Teatro Argentina, al Verona Film Festival, al Festival di Borgio Verezzi, ad Erice. Tante, tantissime situazioni. Un’altra cosa molto bella è stata aver inaugurato la Casa dei Teatri a Villa Doria Pamphilj. Il mio impegno è molto tra le mura del carcere: da diversi anni guido i processi di innovazione tecnologica nella comunicazione sociale dal carcere col Progetto Rebibbia Live streaming, che ha acquisito una tale visibilità internazionale da ottenere l’Orso d’Oro alla Berlinale per il film “Cesare deve morire”, come coproduttrice; il David di Donatello per la miglior produzione per lo stesso film. Una bella vittoria se si pensa con chi ci si confronta – io e il mio gruppo – ogni giorno. Per quanto diverse le storie dei reclusi, uomini dolenti, lacerati, sconfitti e oppressi da pensieri ossessivi, sono accomunate dalla sofferenza. Lavoro con l’umanità”.
Laura tornando indietro cosa vede?
“Vedo una ragazza ingenua e studiosa che amava i classici e il teatro e che credeva nel loro messaggio. Una ragazza che è riuscita attraverso lo studio dei testi, e portarli recitando sul palcoscenico, a mettersi dal punto di vista degli altri, di chiunque altro. Senza trattare nessuno da pericoloso ignorante, ma prendendo in considerazione il calvario a cui sono sottoposti. Per ricavare forse, un senso di appartenenza di cui sentivano il bisogno. Nel nome di Enrico io ci credo a un nuovo umanesimo”.
“L’incontro con Enrico Maria Salerno è come se avesse dato corpo ai miei ideali: per la mia generazione l’impegno politico era la spinta che sosteneva ogni scelta e ogni ispirazione. In lui si integravano pienamente il grande artista e l’uomo politicamente impegnato nel portare avanti le istanze dei più deboli”
Giornalista