INTERVISTA
PIERO MACCARINELLI Il Teatro, specchio della società e metafora della vita quotidiana
Attraverso il suo nuovo spettacolo “La casa nova” di Carlo Goldoni, Piero Maccarinelli rivela in questa intervista ad ArteCultura Magazine come il teatro possa essere uno strumento di formazione e riflessione sociale. E, con una prospettiva fresca e innovativa, affronta sfide e opportunità nel panorama teatrale contemporaneo italiano.
“Alcuni sono più bravi, ma li porterò tutti allo stesso livello. È una vita che faccio progetti con i ragazzi, il primissimo fu con lo spettacolo La partitella di Giuseppe Manfridi, trent’anni fa, ambientato su un campetto di calcio di periferia dove si incrociano le vite di 18 ragazzi. Io credo che i teatri nazionali e quelli importanti debbano avere quasi l’obbligo di produrre ogni anno uno spettacolo coi ragazzi delle accademie, che si affacciano al mondo del teatro. Per fornire loro la possibilità di farsi vedere, conoscere e permettere loro di entrare nelle nuove distribuzioni: questa, secondo me, è la missione dei teatri nazionali”.
Le idee chiare di uno dei più importanti registi e direttori artistici di teatro italiani, Piero Maccarinelli che, dopo gli studi di Architettura al Politecnico di Milano, si è diplomato al Piccolo di Milano dove inizia la sua carriera di regista, diventando assistente di Maurizio Scaparro per la Biennale di Venezia e il Teatro alla Scala. Oggi è anche direttore del Teatro Parioli di Roma: in questo momento sta preparando un nuovo spettacolo dal titolo “La casa nova” di Carlo Goldoni, che debutterà il 14 marzo per restare in cartellone fino al 24 marzo al Teatro India di Roma. L’adattamento è affidato a Paolo Malaguti, la regia e tutto l’impianto scenico, ha la garanzia dello stesso Maccarinelli. I costumi di Gianluca Sbicca e le musiche di Antonio Di Pofi. In scena un grande attore come Stefano Santospago e gli allievi del corso accademico di secondo livello dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, Silvio D’Amico per una produzione importante, la Fondazione Teatro di Roma- Teatro Nazionale.
Maccarinelli, perché scegliere questa commedia?
“Un testo che a me piace molto, molto attuale: è la seconda commedia scritta da Goldoni dopo il suo ritorno a Venezia da Roma, subito dopo Gli Innamorati, e prende spunto da una vicenda personale dell’autore che aveva di recente cambiato casa. Dietro questo trasloco c’è il ritratto di una borghesia che ha paura delle proprie origini e, per debolezza, per voglia di apparire, per spirito di imitazione, disperde i guadagni accumulati dalla generazione precedente che si accontentava di una vita sobria e solida senza alcuna esibizione. E alla fine a crollare non sarà la casa vecchia ma quella nuova, costosa e pretenziosa in cui entrano spensieratamente e chiassosamente la giovane coppia di sposi e i loro amici. Ecco questa commedia la vedo perfetta per spingere i giovani che escono dalle accademie e dare loro delle possibilità concrete. Il mio messaggio è: facciamoli vedere al pubblico per capire se valgono o no”.
Uno spettacolo-metafora.
“Esatto e, per questo, attualissimo, una metafora della nostra vita quotidiana scritta addirittura da Goldoni, nell’alienazione delle città, e di quella schizofrenia individuale che lacera l’uomo sempre diviso tra bene e male, tra essere e apparire. Insomma, qualcosa di molto attuale. Un gioco teatrale che resta sempre scoperto perché proprio sotto i nostri occhi. Infatti, in quest’opera di Goldoni sono presenti tutti i caratteri della grande commedia goldoniana, perfino il vecchio zio generoso che sembra uscito dai Rusteghi o dal Burbero Benifico che risolverà la situazione economica dei nipoti. E c’è il grande tema dell’attualità questo grande bisogno di mostrarsi e apparire più di quel che si è, seguendo dettami di architetti alla moda, e senza aver soldi. Il mio scopo finale è quello di rendere fruibile l’impianto goldoniano, senza alterarlo in una lingua più vicina a noi e come nel precedente omaggio a Squarzina, con l’Esposizione Universale, la compagnia è formata da dieci giovani attrici e attori diplomati. Insomma, ce la mettiamo tutta per aiutare il teatro, cioè il nuovo teatro”.
Maestro, come si arriva a un lavoro tanto importante soprattutto per i giovani?
“Questo testo era un mio vecchio progetto che ha avuto solo una grandissima regia, come ti dicevo, con Squarzina negli anni ’70. Per me è stato una vera passione questo testo, e anche farlo in veneziano puro. Poi ho letto articolo di Paolo Malaguti e gli ho domandato se fosse stato disposto a intervenire, non tanto sulla scrittura drammaturgica, ma proprio sulla lingua, basandomi su un esperimento di Carlo Simoni. Così si è trasformata in una struttura goldoniana che ho fatto ritradurre da uno scrittore italiano di origine veneta, con un italiano comprensibile per tutti. Ho selezionato attori tra il primo e biennio e tre anni e li ho mescolati a prescindere dal fatto di essere sulle tipologie dello spettacolo”.
Sono momenti strani per il teatro italiano: da una parte c’è tanto pubblico che lo frequenta e dall’altra i conti che non tornano. Perché?
“Io credo che il teatro italiano avrebbe bisogno di una vera rinfrescata, di confidare e mettere in scena più nuovi testi e cercare di più comunicazione e sintonia con il suo pubblico anche attraverso temi che vadano dalla commedia al dramma. Insomma, che possano, i nuovi testi o le loro riletture, stimolare e comunicare riflessioni ma anche emozioni. Lo dico anche contro il mio ruolo: il teatro italiano avrebbe bisogno anche di registi meno autoreferenziali. Magari sarebbe un inizio, chissà”.
“Credo che i teatri nazionali, e quelli importanti, debbano avere quasi l’obbligo di produrre ogni anno uno spettacolo coi ragazzi delle accademie, che si affacciano al mondo del teatro”
Giornalista