INTERVISTA
GEPPY GLEIJESES Il Teatro come specchio dell’illusione
Dall’influenza di Eduardo De Filippo al palcoscenico di oggi, dalla sua esperienza al Teatro Quirino, alle passioni personali, Geppy Gleijeses, attore e regista rinomato, rivela in questa intervista ad ArteCultura Magazine la sua visione artistica. E condivide riflessioni su Pirandello, il teatro napoletano e il suo ruolo nel mondo delle arti.
“Ho voluto rendere quel senso di inquietudine e di mistero in linea con lo spirito del testo e ho creato un ambiente rarefatto in cui i personaggi si muovono come fossero un po’ figure evanescenti, pronte a dissolversi nel nulla. Quasi un gioco di specchi e riflessi, come si sa, effimero e illusorio. Esattamente come la verità che i protagonisti cercano inutilmente di svelare. Perché nella letteratura c’è chi sa scrivere e chi no: sa scrivere Pirandello, sanno scrivere Raffaele Viviani e Eduardo che è un po’ pirandelliano e che il suo primo testo lo scrisse a 22 anni”. Che sia un uomo non comune, si capisce subito ad ascoltarlo e dalla sua biografia: alto, biondo, occhi azzurri, napoletano doc, attore, drammaturgo, regista teatrale, direttore artistico, direttore teatrale, produttore teatrale. Benvenuti nel mirabolante mondo di Geppy Gleijeses che questa volta si presenta con uno spettacolo in equilibrio tra la commedia della curiosità e il dramma ignoto. E con un testo immortale come “Così è se vi pare” di Pirandello che ha dato inizio alla rivoluzione teatrale di questo enorme autore siciliano, Nobel della letteratura.
Geppy la prima domanda è: che ricordo ha di Eduardo?
“È stato, ed è ancora oggi, mio maestro, mio riferimento, mio faro. La prima volta mi chiese di interpretare il figlio di Pulcinella, avevo rifiutato tre volte. Eduardo era un uomo dolce, buonissimo, amava le persone che non lo adulavano ed era anche severo, aveva un cuore molto tenero e gli piacevano le persone belle fisicamente. Per me è stato un onore essere suo allievo, aver imparato tanto da lui, uno dei più importanti autori teatrali del Novecento, nessuno come lui ha saputo, non solo essere autore di numerose opere teatrali, ma anche metterle in scena e interpretarle. Nello stesso tempo le sue opere sono state tradotte e rappresentate anche all’estero. Non a caso è stato nominato senatore a vita”.
A proposito di Eduardo lei è stato protagonista con la regia di Liliana Cavani, di un’epica versione di Filumena Marturano con l’ottima Mariangela D’Abbraccio.
“Perché Domenico Soriano sono io. Era assolutamente perfetto l’accostamento tra personaggio e protagonista, i dati già in partenza coincidevano. È stato una bella avventura e questo perché sono attore, regista e produttore ho capito che cosa significhi essere uomini di teatro a 360 gradi esattamente come la lezione di Eduardo De Filippo. Quando ha iniziato lui, non c’erano i sistemi dei teatri stabili di oggi. Con orgoglio devo dire che per anni sono stato il più giovane capocomico italiano, dirigendo una compagnia teatrale nel Mezzogiorno. Poi sono stato anche direttore artistico del teatro nazionale di Milano e fondatore dello Stabile di Calabria. Dal 2009, direttore del teatro Quirino di Roma”.
Apriamo una parentesi sul Quirino: è stato un progetto unico in Italia.
“Questo teatro di Roma, era diventato un meraviglioso luogo di incontro per intellettuali, teatranti e gente comune che ama il teatro e lo spettacolo: c’era anche la musica dei vinili per un centro polivalente straordinario. È stato un periodo d’oro con oltre 6 mila abbonati e ora ce ne sono 1400. Un progetto bellissimo, che hanno voluto far naufragare. Anche la biblioteca non c’è quasi più, peccato: un giorno andrò a riprendere i miei libri. Oggi, fra l’altro, sono anche presidente del Forum attori italiani, associazione sindacale e dell’istituto dello spettacolo europeo. Diciamo che ho messo a frutto la meravigliosa lezione di Eduardo che metteva in pratica quanto il miglior modo di fare teatro, cioè il capocomicato, fare tutto in teatro, a tutto tondo”.
Lei ha la fama di tombeur de femme (non so se esiste ancora il termine).
(Sorride) “Diciamo che ho sempre gestito il rapporto con le donne e che mi sento benissimo con loro. Ma soprattutto cerco di essere sempre corretto anche se alla fine le storie si chiudono. lo sono spesso per mia iniziativa: diciamo che prendo il coraggio al posto delle mie compagne, invece di portare avanti un rapporto logorato e coltivare le sue ceneri. Adesso, sono felice, e spero per sempre, con Roberta Lucca con cui sto insieme da sette anni, e che mi ha dato una bambina bellissima, Ginevra. Io ammiro Roberta è una madre straordinaria e ha 32 anni meno di me e si occupa di tutto: insieme siamo felici e ora è con me in Uomo e Galantuomo”.
Gleijeses, lei ha anche un figlio attore molto grande, non è geloso della baby?
“Ma no.. Lorenzo ha 43 anni è adulto, anzi, è felice di avere una sorellina. È molto tenero con lei. Lavoriamo tanto insieme ed è bravissimo: è stato premio Ubu come Nuovo attore nel 2006. Ha iniziato a lavorare con me che aveva 9 anni, poi ha intrapreso nuove strade e ha fatto benissimo perché è molto bravo: fino ai 18 anni con me ha fatto un bel po’ di spettacoli che ha affrontato un po’ come gioco, e senza ansie”.
Cosa pensa del teatro autorale napoletano che non è messo in scena a Napoli?
“Accidenti. Sono arrabbiatissimo per questa cosa. Ma i teatri nazionali che ci stanno a fare, chiedo. Sono loro che dovrebbero occuparsi del Novecento italiano, sennò a chi la passiamo la nostra eredità culturale? È vero, a Napoli non fanno un testo napoletano, non c’è Di Giacomo, Bracco, Viviani, Eduardo, Patroni Griffi, sono tutti lì ad aspettare che qualcuno si accorga di loro. Ma perché prendere testi stranieri assurdi e caldeggiare quando abbiamo i nostri meravigliosi autori da portare avanti? Ma che senso ha? Io sono qui sempre sulle barricate, che credo al teatro, a quello che porta, a quello che rappresenta, cioè il sapere popolare. E anche il volere popolare, fatto di sentimenti, situazioni che hanno valori universali”.
Tutta la vita con il teatro di Geppy Gleijeses contro l’angoscia e l’invadenza di barbarie -pare- inarrestabili.
“Perché prendere testi stranieri assurdi quando abbiamo i nostri meravigliosi autori da portare avanti?”
Giornalista