ARTE E TESSUTI
L’incontro magico tra Giappone e Italia nei fili di seta dei Kimono
La mostra “Kimono, Riflessi d’arte tra Giappone e Italia” al Museo del Tessuto di Prato, esplora il legame culturale tra Occidente e Oriente attraverso la testimonianza dei kimono, simbolo iconico della cultura giapponese.
Esiste un fil rouge che connette l’Italia al Giappone. È quello culturale ma non solenne, ideale ma non uguale, ricco di citazioni descritte su stoffa.
Così come gli stilisti italiani imprimono – e hanno impresso da secoli – le loro pulsioni e fascinazioni su stoffa, così anche i giapponesi si lasciano andare all’influenza di una sorta di simbolismo non accademico, ma dettato da quel che li circonda, interpretandolo sugli abiti tanto da renderli riconoscibili e databili. Al Museo del Tessuto di Prato è stata inaugurata una mostra con il patrocinio dell’ambasciata del Giappone in Italia, dal titolo: Kimono, Riflessi d’arte tra Giappone e Italia. L’idea è quella di poter esplorare lo spazio creativo e culturale tra Occidente e Oriente, attraverso l’esposizione di opere che ne testimoniano i passaggi fondamentali tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. In esposizione al secondo piano del Museo del Tessuto, ci sono una serie di dipinti, xilografie, cartoline d’epoca, stampe e tessuti provenienti sia da importanti collezioni private, sia da inedite raccolte del Museo; ma soprattutto i cinquanta kimoni maschili e femminili appartenenti all’esclusiva collezione privata di Lydia Manavello, tutti databili al primo e secondo quarto del Novecento, realizzati in seta operata, ricamata o stampata. Una mostra curiosa (info@museodeltessuto.it – www.museodeltessuto.it ) e molto adatta a tutti, dove regna l’idea che accanto al già noto fenomeno del Giapponismo, ovvero il modo in cui l’arte europea di quel periodo ha recepito e reinterpretato il linguaggio espressivo e decorativo dell’arte giapponese, il percorso espositivo si sofferma soprattutto ad illustrare il processo opposto, definito da alcuni Occidentalismo, nell’ambito del quale anche l’oggetto più iconico della cultura del Sol Levante, il kimono, risente dell’influenza della cultura e dell’arte figurativa occidentale.
Uno sfondo nero ben illuminato risalta i kimoni esposti con accortezze molto intelligenti, tipo le pedane a specchio per cui riflettenti, e mette in risalto il periodo in cui, dopo secoli di radicale isolamento e di vicissitudini politiche e militari, in Giappone venne restaurato il potere imperiale e il Paese si aprì finalmente al resto del mondo grazie all’Imperatore Meiji (regno 1868-1912) che concepì una serie di riforme che avrebbero cambiato ogni ambito, dalla tecnologia all’amministrazione dello Stato, dall’educazione alla cultura.
Grazie all’arrivo sempre più massiccio di notizie e manufatti provenienti dal Giappone, l’Occidente rimase ben presto sbalordito dal gusto elegante di quel popolo e dalla novità che rappresentavano i suoi costumi, la sua arte e il suo artigianato.
La consacrazione avvenne nel 1867 a Parigi, quando il Padiglione Giapponese allestito per l’Esposizione Universale, ottenne lodi incondizionate. A subire maggiormente il fascino della cultura giapponese in quel frangente furono soprattutto gli artisti: autori quali Manet, e poi Whistler, Monet, Degas e molti altri, erano alla ricerca di nuove vie per plasmare una pittura che scardinava l’ormai stantia Accademia e che insieme fosse adatta a descrivere un mondo in rapidissima e sostanziale trasformazione. Il percorso si apre con una suggestiva animazione di due Nanban, ossia una coppia di paraventi istoriati a sei ante, realizzati da pittori di corte giapponesi alla fine del Cinquecento, che illustrano il primo contatto assoluto tra l’Occidente e il Giappone, avvenuto nel 1543 grazie allo sbarco di una flotta di navi portoghesi nell’arcipelago nipponico. Si tratta di alcune delle testimonianze visive più impressionanti del modo in cui i pittori giapponesi percepivano i primi europei che arrivavano in Giappone.
L’esposizione, che prosegue con la “seconda” scoperta del Giappone, ci porta alla fine dell’Ottocento, quando l’arte nipponica fa la sua dirompente comparsa sulla scena artistica europea. Ed ecco i kimono: un primo gruppo racconta come il tradizionale linguaggio decorativo e stilistico giapponese come i tondi cinesi e chiave di Buddha, il motivo dei ciliegi in fiore, quello delle nuvole e quello peonie, solo per citarne alcuni, viene rivisitato alla luce degli influssi stilistici occidentali.
In questo contesto trovano collocazione gli oggetti del Museo che espone, in dialogo con gli abiti giapponesi, pagine di libri campionario di fine Ottocento di produzione francese, planche e figurini di moda come a sottolineare le connessioni e le influenze artistiche tra questi due mondi.
Un secondo nucleo, quasi tutti rari kimono da uomo, esprime il fascino per la modernità e il progresso attraverso l’introduzione di soggetti decorativi del tutto nuovi, come la nave, l’aereo, lo sport. E poi ecco il terzo e più cospicuo nucleo, il più affascinante, che è quello centrale e raggruppa ben 19 kimono degli inizi del Novecento. Oggetti unici, in seta operata, ricamata o stampata che testimoniano l’attrazione per le suggestioni stilistiche provenienti dalle avanguardie europee come Fauvismo, Secessione Viennese, Futurismo, Cubismo, Déco, che modificarono profondamente il linguaggio decorativo introducendo concetti come tridimensionalità, colori forti e violenti, forme astratte nel design tessile. Sono rimandi puntuali tra l’oggetto tessile e il dipinto, demandati a una terza installazione, questa volta multimediale. Una mostra per capire che dalla perfezione di una fattura, esiste il racconto di un tema che ci corre sotto. Noi come il Giappone, che stiamo sotto la superficie delle parole, alla ricerca di profondità. Da vedere.
“Al Museo del Tessuto di Prato in mostra l’incanto avvolgente di un’icona tessile che porta con sé secoli di storia, cultura e bellezza.”
Giornalista