BENESSERE INTERIORE
La felicità nell’abbraccio stretto tra arte, meditazione, ambiente e natura
Apprezzare la bellezza dell’arte, amare la natura, essere consapevoli, distaccarsi dalla negatività del quotidiano e interagire con l’ambiente, sono le strade per realizzare una vita appagante.
Beatrice Laurora
“E ad un tratto il ricordo mi appare. Quel sapore era quello del pezzetto di madeleine che la domenica mattina a Combray […] quando andavo a salutarla nella sua camera, zia Léonie mi offriva dopo averlo bagnato nel suo infuso di tè o di tiglio”, Marcel Proust
Oggi, più che mai, si sente il bisogno di educare lo spirito alla bellezza; quella bellezza mista di candore insita nei ricordi da bambini di ambienti confortevoli e magici, famiglie amorevoli, dolci, giochi, favole.
“La vita è fatta di piccole felicità insignificanti, simili a minuscoli fiori.. Ogni giorno succedono piccole cose, tante da non riuscire a tenerle a mente né a contarle, e tra di esse si nascondono granelli di una felicità appena percepibile, che l’anima respira e grazie alla quale vive”, scrive Banana Yoshimoto, in “Un viaggio chiamato vita”. Fermarsi ad apprezzare non è fare il vuoto intorno a noi; non è separare i mondi, non è dividere quel che consideriamo spirituale da quel che riteniamo ordinario. Al contrario, sono i gesti quotidiani di cucinare, lavare i piatti, telefonare, pulire, leggere che possono diventare forme di raccoglimento
«Un Maestro tibetano disegnò un giorno per i suoi studenti, sul bianco di una lavagna, il segno stilizzato di un piccolo uccello e chiese: “Cos’è?”. Nacquero tante diverse risposte. Tutte decifravano il piccolo segno. In molti risposero: “Un uccello”. E il Maestro, continuando a scuotere sorridendo la testa, rispose: “È un cielo vasto e in questo momento sta passando un uccello”, scrive Chandra Livia Candiani, traduttrice di testi buddisti, nel suo libro “Meditazioni”
Una frase che si riferisce al nostro essere che è come un vasto cielo. Restare connessi ad esso ci permette di osservare le nostre sensazioni, riconoscerle, sentirle e guardarle svanire. E se c’è malinconia, nostalgia, disperazione, come osserva Chandra Livia Candiani, basta avvertire queste sensazioni negative, lasciarle sostare nell’animo e guardarle volare via come fossero uccelli, disperati, malinconici e struggenti che ci lasciano quando il loro tempo è scaduto. Farlo non è facile: come insegnano i testi di meditazione, occorre spiazzarsi, non sentirsi più un centro, ma una grande periferia sconfinata, veder sorgere e tramontare i fenomeni e accorgerci dell’amorevole sfondo che rimane e che non è di nessuno.
EMOZIONI
Inconsapevolezza e stato di presenza
Quando dormiamo, passiamo costantemente da fasi di sonno senza sogni a stati onirici. Allo stesso modo, molte persone, da sveglie, saltano da un’ordinaria inconsapevolezza ad un’inconsapevolezza profonda. Con la prima s’intende l’identificazione con i processi mentali e con le emozioni, i desideri, le avversità. Questo è lo stato normale della maggior parte di noi. Non è uno stato di dolore acuto né di infelicità, ma di un soffuso livello di disagio, scontento, noia o nervosismo: una sorta di rumore di fondo. Il disagio dell’inconsapevolezza ordinaria si trasforma nel dolore dell’inconsapevolezza profonda, in uno stato di sofferenza più acuto ed evidente quando ci si trova di fronte ad una difficoltà, un pericolo, una perdita oppure in un conflitto. Nell’ inconsapevolezza ordinaria, la resistenza abituale a ciò che esiste, o la sua negazione, crea il disagio e il malcontento che la maggior parte delle persone accetta come vita normale.
“Che cosa stanno cercando?” In uno dei suoi libri, Carl Jung racconta di una conversazione avuta con un capo d’America nella quale quest’uomo gli fece notare che, secondo la sua percezione, la maggior parte dei bianchi aveva un volto teso e lo sguardo fisso. “Cercano sempre qualcosa”, disse. Che cosa cercano? Manca sempre qualcosa. Sono sempre a disagio e inquieti. La corrente sotterranea di disagio si è manifestata in una forma acuta senza precedenti nella civiltà industriale occidentale, anche se ha avuto inizio molto prima. A tal proposito, anche Freud, riconobbe l’esistenza di questa corrente sotterranea di disagio e ne parlò nel suo libro Il disagio della civiltà, ma non riconobbe la sua origine e non riuscì a capire come liberarsene.
“Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue, mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto, sul fiordo nerazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura”. … è così che Edvard Munch, il pittore che nel periodo di Freud (a cavallo del Ventesimo secolo) meglio rappresentò l’angoscia di vivere e le paure dell’anima, dipinse il suo più celebre dipinto: L’urlo, detto anche Il grido
Come potersi liberare da questo disagio? Innanzitutto, come sostengono gli studi di psicologia posteriori a Freud, rendendolo consapevole. Ma non solo, dedicarsi e provare un interesse connesso per l’arte, la natura e l’ambiente in cui si vive è da più parti riconosciuto come un’ottima strada per conoscersi, ritrovarsi, combattere lo stress o semplicemente per stare in pace con sé stessi. Osserviamo i diversi modi in cui il disagio, il malcontento e la tensione sorgono dentro di noi e come si possono dissolvere facendoli semplicemente andare via, come bagagli pesanti e inutili da portare dietro.
AMBIENTE E NATURA
Interazione e ricerca dell’altrove nell’esperienza del sublime
Quotidianamente percorriamo e componiamo i luoghi e i paesaggi dell’ordinario nell’esperienza erratica del territorio, un’azione spesso eseguita in assenza di un’attenzione cosciente. L’interazione sensoriale e riflessiva con l’ambiente, infatti, molte volte passa inosservata, ignorandone il potenziale. La sensazione più forte sarà quella di essere dove non avremmo dovuto essere. Ci sono luoghi che narrano tensioni e camminare è di per sé un atto curativo: ‘Trovare la strada giusta’, ‘ritrovare il proprio cammino’, ‘non fare il passo più lungo della gamba’: tanti i modi di dire che ricollegano l’azione più naturale del mondo ad un percorso più mistico e di ricerca interiore.
Camminare nei boschi, sedersi sulla riva di un fiume. Posare lo sguardo sulla maestosità delle montagne, contemplare il tramonto sul mare. Esperienze difficili da spiegare, estetiche eppure profonde. Le nostre parole rischiano di umanizzare e di far perdere il loro valore reale eppure, non possiamo farne a meno. Chi le ha sperimentate almeno una volta sa quale sia la sensazione di benessere, quasi commovente, che esse portano. E se vi rinunciamo per troppo tempo ne sentiamo la mancanza. In particolare, l’esperienza del contatto con la vitalità pulsante e potente della Natura, porta un senso di profondo appagamento, tanto da essere sempre stata oggetto di ricerca.
Aristotele insegnava ai suoi discepoli passeggiando in un giardino
Come non citare le splendide parole del poeta e filosofo Thoreau: “Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto.”
Kant chiama questa esperienza “sublime”. Essa smaschera da un lato la piccolezza di tutte le nostre costruzioni di fronte alla potenza della Natura, dall’altro proietta in una dimensione di catarsi, piena di significato. Ci rigenera e ci stupisce.
Shinrin Yoku, “bagno o immersione nella foresta” Una serie di studi sottolinea le potenzialità del contatto con l’ambiente non antropizzato, a partire da una pratica terapeutica nata in Giappone negli anni Ottanta e nota come Shinrin Yoku, cioè “bagno o immersione nella foresta”. Nonostante le apparenze, il Giappone è una nazione per la maggior parte montuosa e ricoperta di foreste. L’amore di molti giapponesi per questi paesaggi ha portato alla nascita di una forma di terapia naturale denominata Shirin-Yoku, il bagno nella foresta.
Praticare lo Shirin-Yoku è molto semplice. Indossare abiti comodi, spegnere il cellulare, rilassarsi e iniziare a camminare senza seguire una meta precisa. Durante la passeggiata basterà semplicemente immergersi totalmente con tutti i cinque sensi:il risultato sarà pienezza e benessere, un senso di connessione che non possiamo definire in altro modo se non come serenità.
Parola d’ordine: consapevolezza Naturalmente, lo Shirin-Yoku e tutte le altre forme di pratica in natura non possono essere intese semplicemente come un trovarsi all’aperto. Per trarre davvero beneficio dal contatto col mondo occorre esserci. È importante vivere l’esperienza appieno, portando attenzione ai sensi, esterni ed interni. L’esperienza estetica richiede presenza. Solitamente non ci troviamo in uno stato di presenza. Siamo sempre spostati o nel rimuginio di cose passate o nella preoccupazione per cose future, pensiamo a ciò che non è intorno a noi. L’ambiente naturale ci invita alla presenza, con la bellezza dei suoi colori, i suoi profumi e i suoi suoni. Non si tratta quindi di uno sforzo, di qualcosa che “è da fare” secondo certe tecniche; al contrario, di interrompere l’attività, di lasciarsi andare al mondo circostante. Essere in natura ci riporta a quello stato essenziale e originario di essere nel presente. Ci stimola e risveglia attraverso i sensi, è uno sforzo senza sforzo. La pratica in Natura va al di là di tutto ciò. Il contatto con l’ambiente non ha la funzione di medicina, perché significherebbe ridurlo ad una funzione puramente strumentale: mettersi in contatto col macrocosmo della Natura significa semplicemente riattivare il microcosmo che è in noi. Così dovreste pensare di questo mondo fugace:
“Una stella al mattino, una bolla in un fiume;
un lampo in una nube estiva,
una luce tremolante,
un fantasma,
e un sogno”
Buddah, Il Sutra del Diamante
ARTE
Gli opposti della vita: evasione e ritrovamento
L’arte è espressione dell’interiorità umana, è il racconto di una storia, di un modo di vivere, una denuncia, una riflessione, uno sfogo e, come tale, ha un grande potere sia su chi la segue che su chi la fruisce. Strumento di evasione, ma anche di ricongiunzione con se stessi, il processo dell’arte è il veicolo attraverso il quale prendiamo contatto con le nostre emozioni.
“L’arte ci consente di trovare noi stessi e di perdere noi stessi nello stesso momento”
Thomas Merton
Nel libro “Il filo di Anna” tra le varie storie di lotta al disagio interiore, si racconta la storia di Beatrice e del suo senso d’inadeguatezza. Per la vergogna ha sempre tentato di essere invisibile, di passare inosservata e addirittura sparire. A piccoli passi si è permessa di risvegliare il suo archetipo guida, il fanciullino creativo affidandosi a lui. Per Beatrice disegnare significa ricongiungersi a se stessa, riuscire a contattare le parti che la fanno sentire completa, piena e finalmente in equilibrio. La sensazione da lei riportata è di appagamento, come respirare a pieni polmoni l’aria fresca e pulita del mare d’inverno. Avere un canale sempre aperto con la nostra creatività e con la nostra vena artistica ci permette di ricorrere a delle forze inconsce di energia e potenza, importanti con la nostra vita adulta.
Il risveglio del bambino lo ritroviamo nel testo Il piccolo principe di Antoine De Saint- Exupéry, quando l’aviatore in panne nel deserto viene salvato dal Piccolo Principe vestito da Napoleone: è lo stress alla sopravvivenza a spingere il protagonista ad appellarsi alla forza guida del suo bambino artista. Il disegno e l’immaginazione sono stati gli alleati utili all’aviatore per scoprire questa parte viva di sé collegata all’energia vitale. È un inno alla voglia di vivere e gioire: liberarlo da ferite e mortificazioni significa ridarci alla vita. Bastano delle matite e un foglio bianco per intraprendere ogni volta un nuovo viaggio.
Quando altrove è solo un passaggio, tutto resta ed è ancora giorno Lasciare spazio intorno ai gesti ordinari, dargli una stanza, li fa brillare, permette che aprano un varco nell’oscurità in cui di solito viviamo, nel nostro quotidiano sonno.
Come svegliarsi e fingere che sia il primo giorno, scendere dal letto ed avvertire il pavimento freddo, riscoprire le prime ore del mattino e meravigliarsi di quanti modi possano esistere per descrivere una stessa cosa…
Oggi è il primo giorno della mia vita e questa stanza è bellissima.
Beatrice Laurora
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