MUSICA & DIGITALE
La critica musicale al tempo dei social
In un mondo caratterizzato da una intensa innovazione tecnologica ha ancora senso parlare di critica musicale? Chi sono i critici di oggi? Qual è il loro ruolo e il loro rapporto con la musica? Se ne è parlato al Convegno sulla critica musicale, organizzato all’Università IULM di Milano. Dal quale è emerso che….
Beatrice Laurora
Attività multiforme tra giornalismo e musicologia, tra cronaca e opinione, la critica musicale oggi sta sparendo dai media tradizionali per diffondersi su Internet, dove sono offerte infinite possibilità espressive. L’innovazione tecnologica fa emergere nuove forme di critica e di figure professionali competenti in materia. Ma chi sono i critici moderni e qual è il loro ruolo e rapporto con la musica? Se ne è parlato al convegno internazionale di critica musicale in memoria di Arrigo Polillo, e in onore di Quirino Principe, organizzato dal Master in “Editoria e produzione musicale” e dal Dipartimento “Giampaolo Fabris”, all’Università IULM di Milano nei giorni 30 novembre, 1 e 2 dicembre 2021. Dal convegno realizzato a cura dei professori Luca Cerchiari e Stefano Vallauri, è emerso uno scenario di profonda trasformazione della critica musicale e dei suoi protagonisti. Vediamo
La critica musicale vive nella musica stessa, le sue manifestazioni più recenti risalgono al periodo compreso tra la Rivoluzione francese e la prima metà dell’Ottocento, quando i suoi fondatori iniziarono a scrivere su quotidiani, periodici o riviste musicali specializzate, che sono lievitate nel Novecento, in seguito alla nascita di generi successivi alla musica classica, sulla quale inizialmente la critica era focalizzata. Riviste dedicate al jazz, alla black music, alla popular music, al rock ecc. si sono via via aggiunte, ospitando nuove e diverse forme dell’esercizio critico-musicale.
Nella storia della cultura italiana, il rapporto tra critica e giornalismo è sempre stato fondamentale. Ne è un chiaro esempio il modello che per oltre cinquant’anni è rimasto lo stesso: la terza pagina dei giornali, nata negli anni Venti dall’idea di un giornalista, Alberto Bergamini, direttore lungimirante del Corriere della Sera, che pensò di raccogliere opinioni e approfondimenti in un’unica pagina del quotidiano. La critica può dirsi connaturata all’idea stessa per cui è stata pensata la terza pagina: un’analisi attenta e approfondita di ciò che veniva prodotto nel settore artistico e culturale, effettuata da persone di riconosciuta cultura, indipendentemente dal lavoro che svolgevano. Basti pensare ad Eugenio Montale, che faceva tutt’altro, eppure sul Corriere della Sera scriveva di critica musicale. Al musicista e al letterato si è nel tempo affiancata e, talora, sostituita la figura del musicologo. Quest’ultimo, in prima istanza, si occupa di analisi delle partiture e di divulgazione del loro contenuto culturale, piuttosto che del contesto socioculturale e storico che le ha generate, laddove invece il critico privilegia l’analisi e il giudizio sull’interpretazione e la performance dal vivo. È il tema dell’intreccio, spesso fecondo tra musicologia e critica musicale, sul quale il Convegno riflette ampliamente con interventi, discussioni e indicazioni operative. Ma quale sarà il futuro della critica musicale? Ecco cosa hanno risposto alcuni relatori del convegno ed esperti intervistati da ArteCultura Magazine
International Conference on Music Criticism IULM XI XII 21_compressed
QUIRINO PRINCIPE
Per una definizione (possibilmente non scorretta) di critica musicale
La critica musicale è un’attività metalinguistica e si fonda principalmente su due elementi apparentemente dialettici: la doverosa oggettività interessata quasi interamente ai procedimenti tecnici e all’abilità, senza la quale la critica musicale non sarebbe più tale, e solo dopo, l’emotività.La critica musicale può e deve analizzare e motivare le ragioni per cui una musica suscita emozioni, ma non è la critica che suscita emozioni: sarebbe un gravissimo errore crederlo.”
Qualsiasi oggetto che abbiamo di fronte è sensibile ai mutamenti del mondo; questo oggetto può essere anche il mondo stesso se crediamo che il microcosmo ripeta il macrocosmo. La critica musicale tiene conto dei due oggetti fondamentali che la riguardano: la musica in sé, l’opera musicale quindi, e l’esecutoria. Musicologia, filosofia della musica e sociologia della musica, non sono critica musicale.
Compito della critica musicale non è tanto quello di fare capire il valore della composizione o dell’esecuzione quanto quello di avvezzare un pubblico digiuno di musica; abituarlo al linguaggio della critica musicale, a quello tecnico della musica e della composizione in modo da trasformare chi ascolta in un vero e proprio allievo di una musica che non è stata da lui mai conosciuta.La critica musicale deve ridiventare ciò che è stata in origine: un giudizio sulla musica avendo dei mezzi inizialmente elementari e via via sempre più complessi, così da valutare l’energia che la musica trasmette.
STEFANO LOMBARDI VALLAURI
Critica della critica. Tratti del discorso musicale inutile, dannoso, controproducente
Funzione della critica è quella della mediazione culturale e oggi, più che mai, anche divulgativa. Il critico non deve abdicare dal posizionamento sociale di detentore della cattedra da cui si possono esprimere giudizi: tale cattedra però non deve invitare ad un classismo proprio in virtù della funzione della mediazione. La formazione giovanile anche se, a volte, può sembrare un’attività secondaria e poco entusiasmante per un critico d’arte, assume invece un ruolo fondamentale per l’aspetto comunicativo a un pubblico giovane e immaturo sul tema.
Seppure molti detrattori pensino ad una originaria scarsezza qualitativa della musica, in realtà sono loro a farne una critica inadeguata causando, con essa, una cattiva reputazione al genere musicale. Molti critici purtroppo offrono un pessimo servizio: personalismo, impertinenza e chiacchiera senza discussione che individui i valori specifici propri delle migliori opere.
CARLA CUOMO
La formazione della competenza del critico
A partire dai concetti di formazione e competenza, Carla Cuomo analizza i percorsi formativi di due tra i maggiori esponenti della critica musicale italiana del Novecento: Fedele d’Amico e Massimo Mila, traendone, nonostante siano realtà storiche lontane tra loro, un itinerario formativo ideale per diventare un critico musicale competente.
La competenza è la capacità di coordinare insieme conoscenze, abilità e disposizioni interne motivazionali e affettive. Le conoscenze vengono acquisite dal soggetto attraverso lo studio, la ricerca o l’esperienza; l’abilità matura dalla capacità di utilizzare le proprie conoscenze in compiti abbastanza semplici; le disposizioni interne riguardano invece le caratteristiche personali di tipo motivazionale o sociale, relative a sistemi di credenze e valori che orientano e sostengono il soggetto ad operare in un certo modo. La formazione non riguarda solo la scuola e le istituzioni culturali, ma si allarga anche ad ambienti non formali come la famiglia, e l’associazionismo, e informali come gruppi, luoghi frequentati, media (tv, web, social network)
PIETRO MISURACA
Critica musicale e musicologia interazioni e specificità
“Il critico deve saper argomentare in modo persuasivo il proprio giudizio, renderlo oggettivamente fondato: bisognerebbe evitare fin dove possibile i giudizi di gusto, esagerati o senza fondamento. Il giudizio del critico competente non si fonda sulle sensazioni del momento ma su assunti condivisi: attorno a un artista, a un capolavoro, a un esecutore, pian piano si creano correnti di consenso diffuso e questa è una sorta di oggettivazione del giudizio.
Il tema essenziale della critica è proprio questo: l’alterazione tra soggettivismo e oggettivismo. Le opinioni non sono tutte uguali, il giudizio del critico ha un valore speciale e la differenza la fa proprio la competenza: sono le conoscenze acquisite, la vastità delle esperienze di ascolto, le lunghe frequentazioni che imprimono nella soggettività individuale. Le argomentazioni del critico sono tante più persuasive tanto più si nutrono di conoscenze scientifiche e i campi della ricerca musicologica sono tanto più importanti e interessanti quanto più corrispondono alle necessità sociali di cui la critica è portatrice.”
LUCIANO FEDERIGHI
Dove nascono gli alberi del soul
Collaboratore sin dagli anni Settanta del mensile “Musica Jazz” e di altri periodici europei e americani, il viareggino Luciano Federighi racconta dell’interesse per il linguaggio della musica soul riportato alla luce grazie al successo di due film documentari: primo, “Amazing Grace”, dedicato ad Aretha Franklin, uscito pochi mesi dopo la sua scomparsa, ripercorre il repertorio classico del gospel, della musica religiosa con la quale Aretha era cresciuta: “emerge”, secondo Federighi, “un’incredibile passionalità nelle interpretazioni anche se a volte Aretha appare leggermente intimorita, fattore connesso probabilmente, al suo non essere propensa inizialmente all’uscita del film”.
Il secondo, “The Summer of Soul”, fu girato nel 1969 nel corso del Festival culturale di Harlem, tra i mesi di giugno e agosto, contemporaneamente al festival di Woodstock. The Summer of Soul mostra una serie di artisti molto variegata legati al soul ma anche al jazz, al funk, alla salsa newyorkese: incredibile il duetto tra la veterana della musica jazz nera, Mahalia Jackson e la più giovane ma ben nota Mavis Staples; entrambe cresciute a Chicago anche se in momenti diversi, rappresentano rispettivamente la voce più tradizionale e più moderna del gospel.
I film “Amazing Grace” e “The summer of soul”, hanno contribuito entrambi a riportare interesse per il periodo della soul music, offrendo un’immagine della geografia blues in realtà un po’ parziale: un’immagine forse troppo metropolitana partendo da New York, ad Harlem, poi Chicago, San Francisco, fino a Los Angeles.
NICOLA CATTÒ
Non c’è critica senza opinione
“Quando giorni fa ho parlato con un collega dicendogli che avrei partecipato ad un convegno sulla critica musicale, ha esordito dicendo:” Cosa c’è da dire? La critica è morta”.
Al di là della battuta, che va anche un po’ contro il nostro stesso mestiere, qualcosa di vero in questo c’è: i quotidiani l’hanno quasi abolita. Paolo Mieli anni fa teorizzò il fatto che la critica musicale non fosse giornalismo e che quindi la recensione non fosse una notizia. In questo mio intervento non intendo esporre grandi teorie ma principalmente descrivere la mia esperienza personale, anzi quella della rivista che da più di sette anni dirigo ossia Musica, che essendo nata nel 1977, si può considerare tra le più longeve, e chissà, forse una formula per tenerla in vita l’abbiamo trovata.
Musica nasce in un contesto diversissimo da quello attuale; è stata fondata in un anno in cui il mercato discografico era fiorente e quindi viene avviata con l’obiettivo di parlare di dischi per fare una divulgazione critica puntuale e seria. I primi anni Ottanta giovano della nascita del CD e dei benefici economici che questo porta a cascata in tutto il settore. A partire dagli anni successivamente, e poi naturalmente la crisi della vendita del supporto fisico si è fatta sentire da ormai più di dieci anni; tuttavia, questa crisi di vendite non ha corrisposto un eguale declino di pubblicazioni: solo nel 2021, in 11 mesi, circa 1400 sono state le uscite discografiche da tutta Europa. La critica discografica rimane per noi l’asse portante della rivista, circa metà delle pagine, e si affianca alla critica degli spettacoli dal vivo che viene alternata tra carta e web. Approfondimento e divulgazione: la seconda vista come chiave indispensabile per il primo; negli anni della mia direzione, ormai sette, ho puntato molto su questo misto di divulgazione e approfondimento; abbiamo fatto speciali su interpreti, compositori, opere; abbiamo continuato una tradizione per noi gloriosa, quella delle discografie comparate; abbiamo cercato anche di rispondere nei vari articoli a domande pratiche che non tutti sempre pongono -A cosa serve il direttore d’orchestra? Come lavora? Perché i musicisti si siedono in quel modo? Perché i violinisti lì e non lì? E poi cosa vuol dire interpretare?
Ciò che ci tengo a far capire, fondamentalmente, è che non esiste un giudizio critico giusto e uno sbagliato. Non c’è critica senza opinione. Il passo successivo sarebbe anche scivoloso e delicato: il rapporto tra promozione di un prodotto e giornalismo; come ben sapete l’onere dei giornalisti vieta al giornalista stesso di fare pubblicità. La capacità di non perdere la faccia dinnanzi all’interlocutore: che poi sarebbe quello il vero giudice. Si potrebbe scrivere che un cantante è stonato ma anche che ha problemi di intonazione: la stessa cosa ma con un enorme differenza linguistica il che appunto ci porta alla questione del lessico, della lingua, che è lo strumento principale per chi scrive.
Carta e web: la musica si muove in un piccolo mondo di riviste di settore cartacee; settore che come noto non naviga in buone acque ma che si confronta anche in un mare sempre più ricco e pescoso ma non sempre qualitativamente stimolante come ad esempio il web. Io non voglio assolutamente affermare che una rivista cartacea abbia una sorta di principio di autorità che la rende migliore di un sito internet; sarebbe stupido e anacronistico pensarlo, certo però è che un rapporto di 34 anni con i lettori qualcosa vorrà pur dire.”
GIANNI SIBILLA
La musica pop e rock in Italia, tra critica e giornalismo
“Una collega amica mi ha dato l’elenco di testate che hanno partecipato alla conferenza stampa di una grande artista italiana: abbiamo periodici, web, quotidiani, radio, tg e blog. Questo è uno spaccato abbastanza verosimile di ciò che succede quando un’artista presenta un disco e incontra la stampa: dal punto di vista produttivo si trova di fronte a una confusione di ruoli tra ufficio stampa, fan e giornalisti. E qui la prima osservazione da fare: la scrittura musicale in senso stretto rappresenta solo una piccola parte del tempo, il resto viene occupato in gestione delle relazioni, organizzazione, coordinazione, produzione di contenuti video e per i social ecc. Spesso e volentieri chi scrive di musica non lo fa per mestiere, ma per passione. Cosa produce chi scrive di musica? Storytelling, notizie, critica: tre concetti diversi ma collegati tra di loro.
È mutato, forse irreversibilmente, il paradigma della conoscenza musicale, entro il quale va pensata l’azione della critica. Sempre meno saldo sembra anche il primato del giudizio esperto: nel mondo dei socialnetwork la parola dell’incompetente conta come quella del competente. Non è detto però che la critica debba adeguarsi acriticamente alle tendenze del paradigma sociale; al contrario, suo compito è criticare non solo il proprio oggetto nel caso particolare, la musica, ma anche il mutevole. Da tutti gli interventi del convegno sulla critica musicale dello IULM emerge una sensazione comune, qualcosa che ha a che fare con un vago senso di abbandono e rassegnazione, ma che è anche indice di un fenomeno culturale e generazionale, interessante per la comprensione di dinamiche contemporanee di più largo respiro: se è vero che ci sono pochissime persone interessate a leggere di musica più ricercata, ce ne sono molte di più che hanno voglia di ascoltarla e questo, che possa essere trasmesso in un giornale, in un blog o tramite qualche social, è quel che resta, ed è da qui che la critica continua a vivere.
“La critica musicale potrebbe essere quasi definita elitaria, ma attenzione”, avverte Quirino Principe, critico musicale e musicologo, “attaccare l’elitarismo potrebbe significare sminuire le competenze”. Tutto questo aiuta a capire come la critica musicale potrebbe superare la crisi odierna recuperando quei valori di competenza, curiosità e servizio che la concentrazione sul breve periodo di un mondo sempre più frenetico e veloce come quello odierno in gran parte trascura”.
NUOVI SCENARI
La critica musicale ha un futuro?
Quale sarà il futuro della critica e il suo rapporto con la musica? Ne parlano Alessandro Carrera, titolare della cattedra “John and Rebecca Moores” presso la University of Huston, in Texas, Luciano Federighi, critico e scrittore di musica, Stefano Lombardi Vallauri, teorico, critico e compositore
Con lo sviluppo delle nuove tecnologie digitali e la diffusione dei social, le dinamiche dell’informazione e dell’editoria sono radicalmente cambiate e, con loro, il giornalismo musicale. Oggi, come si prospetta il futuro della critica? Ed è importante che un critico, per scrivere di musica, la conosca in qualità di musicista? ArteCultura Magazine ne ha parlato con alcuni emeriti ospiti del convegno sulla critica musicale dello IULM: Alessandro Carrera, titolare della cattedra “John and Rebecca Moores” presso la University of Huston, in Texas, Luciano Federighi, critico e scrittore di musica, Stefano Lombardi Vallauri, teorico, critico e compositore. Ed ecco cosa hanno risposto
ALESSANDRO CARRERA
Il futuro della critica si intreccia con quello della musica
Da quando ho cominciato a scrivere di musica, alla fine degli anni Settanta e ho pubblicato un libro con la Feltrinelli, si è aperta per me una vera e propria porta agli studi di popular music; ho cercato quindi di fornire un’idea sistematica di come fosse cambiato il gusto dei giovani nei corsi degli anni. Mi sono occupato di musica classica e poi di Bob Dylan, inizialmente per pura passione, in seguito per lavoro: nel 2001 ho scritto un libro “La voce di Bob Dylan” edito da Feltrinelli, di cui ora siamo alla terza edizione.
Questo è ciò che ho fatto, ma se volessimo parlare invece di cosa sia per me la critica musicale o, meglio ancora, di come possa vedere il suo futuro, risponderò in modo un po’ provocatorio: il futuro della critica musicale a me non interessa affatto; il focus è la musica. Se la musica ha futuro, anche un critico musicale ce l’ha. Se la musica continua ad avere importanza, la critica in qualche modo verrà espressa, magari non sui quotidiani, ma su internet o sui blog… Certo, spesso si dice che il critico non venga pagato per questo, ma ormai nessuno viene pagato più per scrivere…(purtroppo). Non si scrive per esser pagati, ma per essere riconoscibili, per essere invitati alle conferenze (ed essere pagati eventualmente lì…) e per questo è necessario possedere un bel bagaglio culturale
LUCIANO FEDERIGHI
Musicista e critico è la carta vincente
Personalmente mi ritengo un critico un po’ atipico nel senso che ho fatto di mestiere anche il musicista e mi sono occupato essenzialmente di jazz, blues, soul e anche un po’ di pop americano tradizionale.
Il mio lavoro di critica è quindi fortemente influenzato dal mio lavoro di musicista. In futuro credo possa essere importante che i musicisti intervengano nella critica… possono essere due figure distinte ma, come nel mio caso, anche complementari.
La scrittura è influenzata dal suono, quando scrivo di musica cerco sempre di evocare in maniera diretta quelle che sono le elucubrazioni del suonare.
STEFANO LOMBARDI VALLAURI
Musicista e critico due strade che possono intrecciarsi
La condizione preferibile è quella in cui esistono tutte le forme possibili: sarei scontento se esistesse solo l’unione tra critico e musicista ma lo sarei altrettanto se la separazione fosse obbligata. Pertanto, se un musicista dovesse avere una doppia competenza, capacità, e desiderio di investire in entrambi le attività… non vedo perché impedirlo. Io sono fiducioso e credo il musicista possa tranquillamente svolgere l’attività di critico purché riesca ad assumere un giusto atteggiamento conoscitivo.
È chiaro che il musicista spesso, avendo una forte poetica, e precise opinioni su come la musica debba essere, tende a non essere imparziale nel giudizio, però io credo non sia impossibile prendere le distanze dalla propria poetica nel momento in cui si fa il critico. E quindi capire musiche molto lontane dalle proprie. D’altronde, anche i critici hanno una poetica personale, gusti propri su come la musica debba essere… e anche in questo caso devono sapere intendere anche musiche ben lontane da loro. Un critico dev’essere in grado di inquadrare la musica nel suo contesto; e così anche un musicista. Entrambi possono essere oggettivi, se lo vogliono e, più che allontanarsi dalla propria inclinazione, dovrebbero espandere la loro visione: capire che ci sono tante maniere diverse di fare musica.
IL CRITICO MUSICALE AI TEMPI DEL JAZZ
Una figura poliedrica
Arrigo Polillo (1919-1984) è stato uno dei maggiori protagonisti, a livello internazionale, dell’opera di diffusione culturale del jazz. Ne parla il figlio Roberto che per anni lo ha seguito come fotografo
Avvocato e dirigente editoriale ma soprattutto acuto storico e brillante cronista della musica afro-americana dal secondo dopoguerra agli anni Ottanta, nonché attivissimo organizzatore di concerti e festival, Arrigo Polillo (1919-1984) è stato uno dei maggiori protagonisti, a livello internazionale, dell’opera di diffusione culturale del jazz e indimenticabile direttore della rivista Musica jazz. Quale era il ruolo del critico musicale negli anni in cui il Jazz era in voga? ArteCultura Magazine lo ha chiesto al figlio Roberto, autore, assieme a Luca Cerchiari, del libro “Arrigo Polillo (1919-1984) Un maestro internazionale della critica jazz”, Mimesis, Milano 2021, che per anni ha seguito il padre come fotografo
Roberto Polillo: mio padre non conosceva la musica dal punto di vista tecnico e sosteneva che per un critico fosse un po’ pericoloso entrare troppo nei dettagli. Qualche volta aveva scritto di storia dell’arte, di pittura.. dichiarando che non occorresse conoscere la tecnica per apprezzarne la bellezza.Per mio padre il critico musicale doveva essere in grado di orientare i gusti del pubblico, stimolare i giovani musicisti, correggere le tendenze del mercato.
Io considero mio padre una sintesi tra un promotore musicale, un promotore culturale, un critico, un organizzatore, uno storico… una figura che non so se oggi possa essere considerata come modello della critica musicale…
Beatrice Laurora
Content creator