INTERVISTA
PIERA DETASSIS Cinema Italiano in salute tra qualità, parità di genere e innovazione
Lo stato attuale del cinema italiano è buono. Lo sostiene in questa intervista ad Arte Cultura Magazine Piera Detassis, presidente e direttore artistico dell’Accademia del Cinema Italiano. Che sottolinea l’incidenza delle piattaforme come Netflix, nello spingere l’industria cinematografica a rompere gli schemi e a puntare di più sulla qualità, e il ruolo cruciale dell’Accademia nel favorire l’innovazione e la parità di genere. Un quadro ottimista del presente e del futuro della settima arte italiana.
“Penso, non so, che sia anche un’attitudine femminile: diciamo che quello che cerco di fare quando arrivo in un ruolo, è di cambiare l’assetto perché, in generale, mi chiamano per quello. Adesso per il David la missione è rinforzarlo, e non bisogna essere conservatori se non in una parte di quello che sono i valori fondanti del premio. Io preferisco pensare a rompere gli schemi e solo se ti affidi a squadre giovani, che in Italia vuol dire avere 40 anni, cercando continuamente di spostare un po’ in avanti l’obiettivo, diventi un punto di riferimento. Il David non vorrebbe assecondare solo lo status quo, ma muovere e introdurre rilevazioni per fare casting”. Piera Detassis è una bellissima donna: giornalista, già direttrice di Ciak, saggista e critica cinematografica, ma anche presidente e direttore artistico dell’Accademia del Cinema Italiano: nessuno meglio di lei, faro indiscusso per chiunque si occupi di cinema, può raccontare lo stato di salute della settima arte in Italia. Dal 2015 è presidente della Fondazione Cinema per Roma.
Signora Detassis, una mini-diagnosi del cinema italiano?
“In questo momento secondo me sta bene, anche grazie alle piatteforme come Netflix perché operazioni che mettono a confronto professionisti e mentori sono importanti nel cinema e per la regia. Le piattaforme ci hanno fatto capire che cos’è il cinema da vedere in casa e quale invece quello per cui ci muoviamo e andiamo a ripopolare le e sale. Per cui il cinema italiano oggi sta bene perché abbiamo anche voglia di confrontarci, sia nelle coproduzioni che nella mescolanza che porta a uscire dai meccanismi consolidati. E anche questo è stato molto importante, dopo la riforma del voto, per collocare il David in una politica di genere e visione di genere. Non che tutti siano d’accordo, ma questo ha mosso molte cose e per me è stato importante”.
Con lei una garanzia di visione futura…
“Sono sempre stata poco conservatrice nelle mie cose, e anche nelle istituzioni tendono a rinnovare. Ogni anno abbiamo fatto una riforma, un cambiamento, che resterà molto importante per chi rimane e anche per chi verrà dopo. In Italia la tendenza è pensare che i posti di lavoro siano sempre a vita. Ma non è così, la cosa essenziale è riuscire a lasciare un buon ricordo e un assetto che sia forte anche nella mutazione. Un cambiamento che resista alla tentazione del ritorno indietro, al passato.
L’Accademia oggi è il punto di riferimento per le professioni del cinema?
“Prima di cominciare non avevo percepito che attraverso la comunicazione ci fosse la possibilità di incidere sul modo di rappresentazione del cinema italiano. Abbiamo cercato di innovare anche nel segno della parità di genere e dove era possibile anche diversificare la composizione della giuria. Inoltre, e abbiamo fatto un lavoro importante con Netflix. Io credo che siamo riusciti a rafforzare anche l’immagine del David attraverso numerose azioni, tra cui quella di tentare di trasformare la trasmissione in qualcosa di più pop, capace di comunicare ai più giovani, ai ragazzi. Sono operazioni che mettono a confronto professionisti e mentori importanti nel cinema italiano”.
Recentemente è stata a Firenze per i nuovi David di Donatello.
“È stato un bell’evento, molto proficuo: all’interno della rassegna ’50 giorni di cinema a Firenze’, in collaborazione con Stefania Ippoliti, responsabile dell’area cinema della Fondazione Sistema Toscana, abbiamo creato la prima edizione di Italian Rising Stars, un premio che il David assegnerà ai talenti del futuro. Al Museo Bargello c’è la statua originale del David e la proposta ci è arrivata direttamente da Firenze. Immaginare i volti delle giovani promesse accanto al David mi riempiva di gioia. Siamo riusciti a introdurre delle opportunità per le nuove generazioni. Stiamo anche studiando una forma di comunicazione con le associazioni che fanno questo lavoro. Abbiamo cercato di coinvolgere il mondo del cinema in prima persona perché era necessaria quell’energia, le grandi istituzioni come Cinecittà, il Ministero, l’Anica, l’Agis, l’Anec, i Centoautori e broadcaster esterni. Penso sia doveroso crescere all’interno della Fondazione ma il rischio, quando è in atto un cambiamento, è che si tenti di mantenere quel famoso rassicurante status quo – di cui parlavo all’inizio – piuttosto che gettare il cuore oltre l’ostacolo, a costo di commettere errori”.
Insomma, il cinema italiano è vivo o morto?
“Ho sempre osservato con particolare attenzione il cinema italiano, perché credo che se noi non lavoriamo per il cinema italiano rimaniamo senza una voce importante. Non ho mai avuto pregiudizi da osservatrice e da critico. Oggi la forza delle grandi personalità ha la fragilità di non avere un’industria solidissima con tutte le connessioni alle spalle e una dipendenza di troppi anni dal pubblico, che tuttavia ovviamente è necessario. Altrimenti tutta la fase sperimentale non ci potrebbe essere. Io sono ottimista: credo che sia un buon momento, basta non farsi prendere dall’idea che adesso qualsiasi cosa sia italiana vada bene. No. Il pubblico ha cambiato gusto anche grazie alle piattaforme. E se poi va al cinema, ci va scegliendo qualcosa di abbastanza unico. La nostra missione è tenere alta la qualità”.
“Il pubblico ha cambiato gusto anche grazie alle piattaforme. Se va al cinema, lo fa scegliendo qualcosa di abbastanza unico. La nostra missione è tenere alta la qualità”
Giornalista