INTERVISTA
MARIANGELA D’ABBRACCIO Il Teatro come scuola di vita
In questa intervista esclusiva per ArteCultura Magazine, Mariangela D’Abbraccio rivela come il palcoscenico le abbia insegnato preziose lezioni di vita, evidenziando l’influenza di giganti culturali come Eduardo De Filippo e Giorgio Albertazzi, e il legame speciale con l’amica e scrittrice Dacia Maraini. E annuncia i suoi prossimi progetti teatrali
“Detesto lavorare d’estate e quest’anno, a parte una data a La Spezia, altro non farò. Ma avremo in ottobre grandi eventi dedicati a Giorgio Albertazzi organizzati assieme alla moglie di Giorgio, Pia Tolomei, toccheremo il Piccolo di Milano e il Teatro Argentina di Roma. Porteremo in scena lo spettacolo tratto dalla sua autobiografia che ha lo stesso titolo, ‘Un perdente di successo’. Con Laura Marinoni, Elisabetta Pozzi e me: è un testo che ho adattato per il teatro. All’inizio era nato per me sola, poi è stato pensato per tre voci, le nostre: cioè le attrici di Giorgio”. Mariangela D’Abbraccio una e centomila: che sembra nata quasi per instaurare un nuovo ordine mondiale, basato su empatia e cultura. Napoletana, attrice straordinaria che inizia prestissimo la sua carriera: sarà perché ha una madre regista, un nonno violinista del San Carlo di Napoli e una nonna pittrice. Sarà per questa sua forte tendenza artistica, che la porta a cantare e anche danzare, oltre a recitare. Chi l’ha vista sa quanto i suoi occhi scuri e limpidi e il suo sapersi muovere, visti dalla platea di un teatro, non solo fanno la differenza, ma sanno evidenziare, come in pochissime altre attrici, corpo, anima e voce alla recitazione. La classe, e anche un certa umiltà, fanno il resto: Mariangela D’Abbraccio a teatro è una necessità e si può molto imparare grazie a lei, soprattutto a notare le differenze con altre attrici semplicemente assumendo una posizione naturalissima di ascolto.
Mariangela il suo fare teatro è, diciamo, selettivo?
“Beh, direi di sì, perché scelgo con molta attenzione, parlo per me, eh. Ho un bel programma per i prossimi mesi: a gennaio la tournée – fino ad aprile – di Zoo di vetro che girerà l’Italia. E ho questo progetto che mi piace moltissimo fatto con Manuela Kustermann, per sei donne che hanno segnato la storia, scritto da sei grandi autori: una riscrittura di vite importanti, È un progetto unico, che si articola in sei giorni. Ogni replica è dedicata ad una grande figura femminile: Camille, la scultrice geniale e incompresa; Billie, la signora triste del jazz; Marie, scienziata fra le più brillanti del Novecento; Rosa, rivoluzionaria di professione, studiosa marxista e antimilitarista; Marilyn, la più grande diva del cinema e icona di femminilità; Maria, pedagogista, educatrice e medica italiana. Sei donne di eccezionale talento e di struggente umanità, vittime di discriminazione e protagoniste di grandi battaglie, che hanno segnato in modo determinante la Storia e le storie di noi tutti”.
Che effetto fa essere riconosciuta come una delle più grandi attrici italiane?
“Non so se sono una delle più grandi attrici di teatro italiane. Ma certamente sono una di quelle che ha dedicato tanto al teatro, e forse è stata anche la fortuna di interpretare grandissimi ruoli che mi hanno formato. Ma anche la fortuna di nascere artisticamente in un periodo in cui ho potuto apprezzare ciò che era stato creato prima di noi nel mondo dell’arte e del teatro, soprattutto in Italia, un patrimonio che oggi appare più compromesso e alterato”. Io ho avuto la fortuna di potermi nutrire di tante personalità abbastanza straordinarie”.
Un maestro di riferimento che l’ha formata più di altri?
“Devo dire un grazie grande così a Eduardo De Filippo che mi ha fatto entrare nel mondo del teatro ufficiale, quello con la T maiuscola. E grazie anche a Pino Daniele che mi consigliò di cominciare da Eduardo, che all’epoca dava lezioni all’Università di Roma: “Tu sei napoletana e vuoi fare l’attrice? Devi cercare lui”. Io già lo adoravo come artista e sarei anche andata da Strehler a Milano, ma aveva ragione Pino: dovevo sviluppare le mie origini. Allora incontrai Eduardo che mi fece conoscere il figlio Luca che non recitava più e dirigeva: è stato lui il mio primo regista che mi volle accanto a sé per Filumena Marturano: un ruolo dove devi essere all’altezza, anche fisica, del mito e dell’immaginario degli spettatori. Il pubblico conosce Filumena e ognuno ha la sua. Anche per questo devo dire grazie a Luca persona straordinaria, penso a lui con grande affetto: è stato importantissimo nella mia vita”.
Con Giorgio Albertazzi come è nata la collaborazione?
“Per lui feci un provino perché metteva in scena Dannunziana: spettacolo dove interpretavo un transessuale. Voleva un transessuale e scelse me. Giorgio mi aveva preso così, per interpretare un ragazzo che si trasformava in ragazza per questo cercava un’attrice molto femmina, l’eccesso della femminilità. Pensa che a quell’epoca c’era una tale confusione, e la gente non sapeva le differenze tra omosessuale, transessuale, transgender. Con Dannunziana iniziò il nostro percorso artistico. È stato uno spettacolo di una modernità e di lungimiranza uniche. Apparivo nuda in palcoscenico e sulla locandina, non c’era nulla di pornografico nel mio corpo nudo: ma fu considerato scandaloso e lo spettacolo venne vietato ai minori di 18 anni. Cosa rarissima in teatro”.
Albertazzi era un provocatore secondo lei?
“Sì nel senso più alto del termine. Fino da bambino si è sentito un fuori luogo non all’altezza, non a caso titola la sua autobiografia ‘Un perdente di successo’. Con lui sono cresciuta molto in teatro, mi raccontava quando dalla sua modesta casa di Fiesole vedeva da una finestra di casa l’interno della Villa I Tatti di Bernard Berenson, famoso storico dell’arte inglese. Vedeva i personaggi famosi, gli ospiti delle feste, i ricevimenti e rimaneva veramente estasiato da quella classe, finché Berenson non si accorse di lui intruso a guardare e fece murare la finestra. Come dirgli: tu non sei nel nostro mondo. Forse, credo, nascesse da qui la sua voglia di piacere”.
Se le dico Dacia Maraini cosa mi risponde?
“Dacia da trent’anni è una mia carissima amica, una scrittrice meravigliosa, una donna stupenda in tutto quello che fa e per come si pone con gli altri. Ha un modo di essere con chiunque gentile, accogliente, intelligente, non sale mai in cattedra. È una donna bellissima fuori e dentro: Dacia ha segnato la mia vita. Ho messo in scena sei testi suoi e ancora li ripropongo. Ha accoglienza, rispetto e sensibilità: ha scritto per la vita di Camille Claudel, la sua Teresa la ladra, testo straordinario, l’ho interpretata sempre con grande successo. Ho avuto la fortuna di incontrare tante persone speciali nella mia vita ma a Dacia dico sempre grazie: anche per una memorabile Maria Stuarda che ho interpretato con Elisabetta Pozzi, una rilettura delle due regine pazzesca – la regia di Francesco Tavassi – che ancora mi chiedono di rimettere in scena”. Mariangela D’Abbraccio: è importante che esista, che continui a crescere che trovi la forza sempre di puntare i piedi. Anche per noi, il suo pubblico.
“Ho avuto la fortuna di nascere artisticamente in un periodo in cui ho potuto apprezzare ciò che era stato creato prima di noi nel mondo dell’arte e del teatro, soprattutto in Italia, un patrimonio che oggi appare più compromesso e alterato”.
Giornalista