TEATRO
LUCA MICHELETTI Il fascino senza tempo della magia teatrale
In questa intervista ad ArteCultura Magazine, l’eclettico attore e regista teatrale Luca Micheletti ci svela il suo legame profondo con l’eredità del teatro di strada dei suoi antenati. E, attraverso le interpretazioni di Don Giovanni e del Misantropo di Molière, ci trasporta nell’incantesimo intramontabile del Teatro che cattura l’anima, scatena le passioni e coinvolge il pubblico
“Per me devo dire che è stata una strada battuta fin dalla metà dell’800: già i miei antenati sono stati protagonisti della nobile stagione del teatro itinerante, quello un po’ circense, cioè il teatro di strada che si concretizza e diventa sempre più attuale fino ad approdare alla Commedia dell’arte. Poi, si sa quando il teatro di strada è arrivato sui palcoscenici più importanti del mondo. Anche questa è una maniera per essere più vicini a quello di Molière, nobile teatrante. Secondo me la partecipazione del pubblico alla rappresentazione, se non all’azione scenica stessa, aiuta a modificare anche il ruolo da fruitore passivo a partecipante attivo dell’evento, ristabilendo così un legame con il teatro del passato”. Fisicamente un po’ Johnny Depp, un po’ Orlando Bloom: Luca Micheletti, attore, regista teatrale e baritono, è un caso a sé, direi unico. Un artista completo, perché sa dividere alla grande le sue artistiche prestazioni con totale continuità e abnegazione, tra teatro di prosa e palcoscenici lirici con uguale, trionfale successo personale.
Ha appena finito di prestare voce e presenza al Don Giovanni nel ruolo di protagonista, andato in scena al teatro del Maggio di Firenze, diretto dal maestro Zubin Mehta alla sua terza interpretazione, dopo le recite al Covent Garden e a Torino, ha saputo sottolineare la profondità delle radici del personaggio. Per una felice coincidenza di date, Luca Micheletti è riuscito a saltare dal Maggio al palco del Teatro della Pergola per interpretare ancora da protagonista Il Misantropo di Molière diretto da Andrée Ruth Shammah, spettacolo in prima nazionale, prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana con il Franco Parenti di Milano che poi rivedremo sui palcoscenici d’Italia.
Micheletti, partiamo dall’ultima prova d’artista: com’è riproporsi in prosa?
“Bello e sempre interessante, ma non è la prima volta per me. Come tutti i personaggi incipriati, indaffarati senza aver nulla da fare, Il Misantropo rinuncia alla comicità dirompente tipica dell’autore francese. È stato un lavoro in qualche modo facile, perché totalmente al presente, di certo violento, potente, perturbante. Una commedia tragica, venata da una forma di umorismo instabile e pericolante, che porta in sé, appena al di sotto della superficie comica, le ferite e il prezzo altissimo costato al suo autore, dove emergono le nevrosi, i tradimenti, i dolori di un personaggio capace di trasformare il proprio disagio e la propria rabbia in una specie di formidabile macchina filosofica, esistenziale e politica, che interroga e distrugge qualunque cosa incontri nel suo percorso”.
Come ci si è trovato in prosa nel ruolo raccontato da Molière?
“Il teatro è fatto così, di polvere di palcoscenico che per me è leggendaria. Ha una sua bellezza fuori dal tempo e riesce a raccontare vicende lontane e attualissime. Dove mi sento a casa e mai a disagio: è come se il palcoscenico avesse scelto me, perché il mio primo ricordo d’attore risale a quando avevo l’età di due anni, e già da allora non era una “bambinata”. A cinque mi misero a fare il prologo parlato de La bisbetica domata e poi di altre commedie: ancora mi ricordo le battute. È da lì che ho imparato a usare anche la memoria dei classici”.
Teatro fin da piccolissimo dunque?
“È una specie di sperimentazione che torna indietro quando si cresce. Quando si è bambini si è spugne e assorbire molto bene anche una tecnica di recitazione che poi non ci abbandonerà più, ma riaffiorerà al momento giusto. Cantare e recitare? A me sembra di fare sempre una sola cosa, e con una continuità di intenti interpretativi: innanzitutto mi esercito in quello che faccio, mi espongo in questo e quel ruolo e quando ho dimestichezza, lo affronto: ma finché non mi sono sento pronto, non l’ho mai fatto. Nella vita vale fare un passo alla volta e avere un obiettivo”.
Alla Pergola oltre due ore di spettacolo con lei protagonista assoluto dove recita senza suggeritore o cedimenti: in rima, poi.
“Moliére va in rima: ci ho tenuto che fosse così. Anche Franco Parenti che è stato attore, regista e autore optò per la via della traduzione in rima peculiare, proprio per Il Misantropo con la sua stessa regia. Il nostro è stata una rielaborazione, un lavoro a sei mani fatto dalla regista Andrèe Ruth Shammah, da Valerio Magrelli poeta, critico e grande francesista e da me. Quando Molière entrava in scena portava la sua invenzione e l’indicazione sommaria dei luoghi. La parola invece era la sua forza, con aggancio sulla contemporaneità. Io sono un giovane rabbioso di sincerità, che si cala in un mondo ipocrita e ciarliero, quello stesso che permette di nascere a chi prospera in un clima di ipocrisia. Il mio protagonista ha una sua dirittura morale, un rigore intransigente che pretende di dire sempre la verità, anche quando è scomoda”.
Misantropo: mai visto un passaggio così, dal ruolo del titolo di un’opera, a un testo di prosa.
“Misantropo, il mio ottavo Molière, è un uomo come noi che si indigna per ciò che desidera, che soffre nella testa e nella carne e che si muove in una società dove l’apparenza prevale sui valori: di un’attualità sconvolgente. Ma anche Don Giovanni è un altro personaggio che ha ascendente molieriano e che conosco da vicino: uno di quelli che ho fatto di più all’opera, ma non è solo un personaggio, è un punto fermo, un mito bello che posso fare in molti modi diversi. Molière? Come autore nei suoi tanti titoli, sembra quasi un puzzle che abbia rappresentato un’unica grande commedia su sè stesso”.
Luca Micheletti da Brescia: giovane, talentuoso, duttile artista, e questo suo bellissimo mondo dove il tempo trascorre lento. O non trascorre affatto.
Giornalista