INTERVISTA
LUCA DINI “Il mio sogno era disegnare mondi”
Dallo studio di Pierluigi Spadolini agli yacht di lusso, fino all’isola di Sindalah, primo tassello di NEOM nel Mar Rosso. L’architetto fiorentino racconta su ArteCultura Magazine il suo percorso tra visione, curiosità e radici toscane: un’idea di architettura che mette al centro persone, luce e paesaggio, conquistando l’Arabia Saudita.
“Non ero, non sono mai stato da casetta a schiera. Volevo disegnare mondi”: così parlò Luca Dini da Firenze. È lui l’architetto che ha firmato Sindalah, la prima isola abitabile di NEOM, Arabia Saudita, nel Mar Rosso. Una persona speciale: eclettica, accogliente, comunicativa con un grande amore per il design e un gusto tutto suo, che ha scoperto già nello studio dell’architetto Pierluigi Spadolini (fratello di Giovanni, ndr). Vive e progetta a Firenze senza mettersi in mostra: Luca Dini racconta il suo percorso umano e professionale fatto di curiosità, visione e una sorprendente semplicità.
Architetto Dini, da Firenze al Mar Rosso. È un bel salto. Come si arriva a progettare un’isola intera per il principe saudita?
“Non ci arrivi se non ci credi fino in fondo. È cominciato tutto da lontano, da quando ho messo piede nello studio di Pierluigi Spadolini. Era il 1987. Lì ho scoperto il design. Poi la nautica, che mi ha insegnato a progettare spazi su misura, come un sarto. Ma la svolta è arrivata con la curiosità. Non mi è mai bastato fare solo yacht o solo architettura. Volevo costruire mondi, non solo oggetti”.
E così siete arrivati a Sindalah, la prima isola del progetto NEOM, cuore della Vision 2030 del principe Mohamed Bin Salman.
“Sì, e ci siamo arrivati restando quello che siamo: una bottega fiorentina. Non siamo un mega studio internazionale, ma ci piacciono le cose fatte bene. Personalizzate, coerenti, con anima. E questa cosa è stata capita subito, incredibilmente, proprio da chi meno te lo aspetteresti: il principe”.

Veduta aerea dell’isola Sindalah. Photo Credit Jacopo Canè
Com’è stato lavorare con lui?
“Sorprendente. Il principe Mohamed Bin Salman ha un’apertura mentale fuori dal comune. Ascolta, ragiona, si fida se vede competenza e visione. Non voleva l’ennesima cattedrale nel deserto. Quando gli abbiamo parlato di piazzette, ombra, terrazze, marciapiedi, luoghi dove le persone possono incontrarsi… lui ha detto: ‘È quello che voglio’. Ha sposato completamente l’idea. Ecco perché Sindalah non è solo lusso: è anche un’isola che promuove la sostenibilità, la biodiversità, e un modo umano di vivere gli spazi”.
Quindi architettura come esperienza umana prima che estetica?
“Sempre. Noi abbiamo disegnato 400 appartamenti dove la terrazza è grande quanto l’appartamento. Perché? Perché per sei mesi l’anno lì si vive all’aperto. Ma non c’erano spazi per farlo: niente marciapiedi, niente ombra, niente piazze. Noi abbiamo portato lì un’idea che viene dalla Toscana, dalla Grecia, da tutta quella cultura che mette al centro il corpo, la luce, la socialità. E l’hanno capita. L’hanno voluta”.

Photo credits: Jacopo Canè

Photo credits: Jacopo Canè
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Molti studi italiani cercano visibilità all’estero. Voi no. Perché?
“Perché la nostra forza è fare. Non raccontarci. Non ci interessa comparire ovunque. Ci interessa fare bene. E quando lavori così, vieni notato. In Arabia Saudita ci siamo andati in punta di piedi, con umiltà. Lì la meritocrazia esiste. Sono stato messo a confronto con studi giganteschi, e ho vinto. Ma non perché sono il più bello. Perché porto soluzioni vere. Lì ti chiedono di dare il meglio e, se lo fai, ti aprono le porte”.
In Europa non funziona così?
“Purtroppo no. Qui contano ancora troppo le relazioni, le etichette, le scorciatoie. L’Italia è piena di bellezza ma manca una visione. In Albania, dove non hanno un euro, stanno costruendo una città nuova grazie a una visione politica chiara. In Arabia Saudita hanno i soldi, ma anche il coraggio di pensare a trent’anni. Noi qui fatichiamo a pensare alla prossima settimana. E mi dispiace, perché abbiamo talenti straordinari”.
E voi però da Firenze non vi siete mai spostati.
“No. Ce l’hanno detto in tanti: siete matti a restare qui, a pagare le tasse qui, a non aprire un mega ufficio a Dubai o Londra. Ma per noi la scelta è politica. Etica, anche. Da qui è partita la nostra visione, e da qui vogliamo restituire bellezza al mondo. Per esempio, abbiamo avviato un progetto di riqualificazione in via Palazzuolo. La nostra fondazione si fa carico dei costi, il Comune ci sostiene. È un dono alla città che ci ha dato tutto”.
Lei parla spesso di curiosità come motore del suo lavoro.
“Assolutamente. Se non sei curioso, non vai da nessuna parte. Ogni luogo che visito, ogni cultura che incontro, ogni dettaglio che osservo diventa parte del mio bagaglio. La filosofia dell’architettura non si impara sui libri. Si costruisce vivendo. Vedi le simmetrie, i materiali, le imperfezioni, le luci. Tutto serve. Anche una pedalata in centro a Firenze al mattino può insegnarti più di un convegno”.
Dove si sente più a casa oggi? A Firenze o in Arabia Saudita?
“Quando sono lì, non posso dire che mi sento a casa. Ma non mi sento nemmeno uno straniero. Ho trovato accoglienza, rispetto, ascolto. Ho trovato amici. Non è poco. Per me conta molto. È un Paese in cui, se vali, vieni premiato. E questa è una grande lezione”.
Guardando al futuro: dove porterà il prossimo viaggio?
“Non lo so, e va bene così. Ogni progetto è un’avventura. Basta affrontarla con curiosità e umiltà. Ho fatto yacht, città, isole, e ogni volta ho imparato qualcosa. Magari il prossimo sarà in un posto ancora più inatteso. Ma ovunque sia, sarà sempre con lo stesso spirito: disegnare mondi dove le persone possano stare bene”.
“La filosofia dell’architettura non si impara sui libri. Si costruisce vivendo”, Luca Dini

Photo credits: Cristian Castelnuovo

Giornalista