ARTE & COSTUME
Il viaggio inafferrabile della bellezza nel tempo
Il concetto di bellezza è profondamente cambiato negli anni riflettendo idee, pensieri, cultura e società di ogni epoca. Armonia, natura, spiritualità, luce, rinascita, sublime, ribellione, emancipazione, introspezione, tutte parole usate per inquadrarlo nel tempo ma la sua trasformazione è continua e impalpabile. Perché va oltre la sfera della razionalità ed entra nell’anima e nell’essenza della vita
Beatrice Laurora
“Parliamo di bellezza quando godiamo qualcosa per quello che è, indipendentemente dal fatto che lo possediamo. È bello qualcosa che, se fosse nostro, ne saremmo felici, ma che rimane tale anche se appartiene a qualcun altro” diceva Umberto Eco. Non è facile parlare di bellezza. A volte può rappresentare un concetto vago, facile preda di conversazioni da bar, altre volte qualcosa di non tangibile, effimero, più facilmente ricollegabile alla natura, ai suoi fenomeni e alle molteplici sensazioni ad essa legata; come la neve, che diventa padrona di ogni cosa, cattura la scena e meraviglia, eppure è pura e caduca magia. Diversamente, certe teorie estetiche moderne hanno riconosciuto solo la Bellezza dell’arte, sottovalutando la Bellezza della natura; infatti sono stati gli artisti, i poeti, i romanzieri a raccontarci attraverso i secoli che cosa essi consideravano bello e a lasciarcene degli esempi. E oggi, nell’epoca di internet, dei social, del digitale, dell’intelligenza artificiale qual’ è il concetto di bellezza? Con lo sviluppo delle tecnologie digitali si è aperta l’era della contaminazione nella quale documenti di puro intrattenimento, promozione commerciale o soddisfazione di pulsioni prettamente erotiche, come immagini che ci provengono dal cinema, dalla televisione, dalla pubblicità, parlano ugualmente di bellezza, ma in modo diverso rispetto al passato, una bellezza scenografica, immersiva, psicadelica, sensazionale e coinvolgente. Forse questa può essere una delle differenze più eclatanti che caratterizzano l’evoluzione del canone di bellezza, da una bellezza che si ammira a una che si vive. Ma vediamo. Questo articolo è un viaggio alla scoperta della bellezza nel tempo, che parte dall’armonia nell’equilibrio tra Apollo e Dionisio dell’Antica Grecia, attraversa la bellezza discreta e incantevole della natura dell’Antica Cina, prosegue nel Medioevo dove Dio è l’eterna bellezza, e la donna ne è ancora alquanto distante. Luce e rinascita sono protagonisti del Rinascimento, dove la donna con la sua bellezza fa da specchio per la sua interiorità; un ritorno ulteriore vi è nel Neoclassicismo, dove l’imitazione degli antichi Greci fa risplendere l’armonia, che continua a coesistere nel sentimento sublime del Romanticismo. La tappa finale del viaggio vede i sentimenti di ribellione e di emancipazione del nuovo secolo, che fanno da chiave per l’epoca moderna, dove i media, la digitalizzazione e la comunicazione prendono il sopravvento traducendosi in ideali estetici fatti di numeri in cm, di involucri patinati dal contenuto vuoto in primis perché privato alla radice di qualsiasi forma d’interesse; eppure, la bellezza regna ancora nelle sue forme più pure e semplici, che continuano a splendere.
L’equilibrio di contrasti nel concetto di bellezza greca
Fino all’età di Pericle, ai Greci, mancava una vera e propria estetica e una teoria della Bellezza. Kalón significa tutto ciò che piace, che suscita ammirazione, che attrae lo sguardo; la Bellezza era quasi sempre associata ad altre qualità. I pitagorici furono i primi a studiare i rapporti matematici che regolano i suoni musicali, le proporzioni su cui si basano gli intervalli, il rapporto tra la lunghezza di una corda e l’altezza di un suono. L’idea dell’armonia musicale si associa strettamente a ogni regola per la produzione del Bello. Per i discepoli di Pericle, nella opposizione di due contrari, uno solo rappresenta la perfezione: l’impari, la retta e il quadrato; tutte le realtà opposte rappresentano l’errore, il male e la disarmonia. Diversa sarà la soluzione proposta da Eraclito: se esistono nell’universo degli opposti, delle realtà che paiono non conciliarsi, come l’unità e la molteplicità, l’amore e l’odio, la pace e la guerra, la calma e il movimento, l’armonia tra questi opposti non si realizzerà annullando uno di essi, ma proprio lasciando vivere entrambi in una tensione continua. L’armonia non è assenza bensì equilibrio di contrasti. La tragedia greca, secondo Nietzsche, deve la sua grandezza proprio alla capacità di fare la sintesi tra due opposti: l’apollineo e il dionisiaco. Apollo rappresenta per i Greci la bellezza estetica armoniosa, il limite, la razionalità, il Kosmos, il logos, tutto ciò che è forma, linguaggio, immagine definita e chiara, schema, categoria, coscienza, regola, misura.
Dioniso al contrario rappresenta il Dio del Caos e della sfrenata infrazione di ogni regola, tutto ciò che si trova nell’inconscio, che è spinta vitale, che si presenta come caos indistinto di stimoli reali e fantastici, interni ed esterni, di forze primordiali e abissali.
La tragedia greca, nata dai riti e dai cortei dionisiaci trasformati in forma teatrale, mette insieme i lati oscuri dell’uomo, propri del mondo di Dioniso, e la forma armoniosa di Apollo propria della poesia e della rappresentazione; è questo il suo concetto di Bellezza: l’incontro tra due poli opposti, tanto distanti quanto vicini per potenza. Per gli antichi Greci, non sarà questo l’unico contrasto a coesistere; civiltà costruita sul confronto e sull’antitesi, abbraccia entrambi i principi in molteplici concetti, idee, punti cardine che ancora oggi sopravvivono e illuminano.
Eros e Thanatos, i due impulsi che dominano l’uomo: amore, inteso come forza capace di creare la vita e la morte, con la distruzione che essa stessa genera. Kratos ed Ethos, il primo come diritto fondato sul potere e sulla forza e la seconda come etica, l’insieme di valori e norme, codici di comportamento, interiorizzati dall’individuo; il loro incontro sta nella necessità per la società di entrambi, in eguale misura: la vera legge, infatti, non è quella che sta scritta nei codici giuridici, ma nella coscienza dei cittadini; questo, però, non può verificarsi, se essa non riconosce il proprio fondamento in una istanza superiore all’ordine della natura. Nell’arte greca la bellezza legata al corpo, non conosce ambivalenze; all’idea di bellezza gli antichi Greci associano i concetti di grazia, misura e proporzione. Corpi perfetti, scolpiti e costruiti secondo canoni estetici ben definiti; come se si potesse ridurre la potenza e la bellezza umana a formule matematiche. In questa idea c’è ben poco di terrestre ed è nell’atleta e nel Dio che tali caratteristiche si riscontrano, riassumibili in una parola sola: perfezione; dei e atleti sono gli esseri superiori con cui devono misurarsi i comuni mortali.
L’idea di bellezza del corpo è perfetta,
incorruttibile nel tempi,
immortale
La perfezione nella scultura ha dato la possibilità di riprodurre in maniera molto precisa, muscoli e vene, con una simmetria strabiliante, frutto di un veri e propri studi della forma, per la loro realizzazione, ad altissima precisione e molto realistica. La creazione di tali opere è stata resa possibile dalla mentalità particolare dei greci, abbastanza maschilista; il motivo per il quale i soggetti perfetti erano considerati gli uomini deriva dall’impossibilità per i greci di vedere la perfezione nel corpo di una donna, motivo per cui gli uomini erano considerati vero ideale di bellezza greco.
La bellezza tra consapevolezza e armonia
alla luce della tradizione cinese
Bellezza in cinese bellezza si dice mei. Il suo ideogramma si compone di due pittogrammi che secondo i cinesi rappresentano l’essenza del concetto della bellezza. La parte superiore rappresenta la pecora, l’animale che per il popolo cinese rappresenta il modello di gentilezza e passività. Le pecore non hanno desideri che le rendono combattive ed aggressive, e per questo vivono in armonia con l’universo e in pace con gli altri esseri viventi; sotto il simbolo della pecora ritroviamo il pittogramma della persona adulta, un individuo con le braccia aperte. Questa è l’idea di bellezza: la gentilezza dell’animo della pecora rispecchiata nel carattere di una persona adulta.
Nella tradizione orientale questo è espresso nella capacità di guardarsi dentro e di coltivare l’armonia di se stessi con il mondo circostante, sicché l’esterno rispecchia l’interno: è la bellezza come frutto di Consapevolezza e Armonia. Nella cultura cinese, la visione interiore non significa soltanto l’introspezione psicologica o spirituale, ma anche la capacità dell’uomo di guardare dentro il proprio corpo in modo quasi reale; solo quando non ci sono spigoli nel corpo, corpo e spirito possono essere un tutt’uno e la visione interiore diventa anche corporea. Coltivano la bellezza, e quindi smussano gli spigoli, la serenità che deriva dalla capacità di conoscersi e di accettarsi, il rispetto del proprio corpo, il rispetto dei ritmi: tutta la nostra vita è ritmata dal susseguirsi dei respiri, e dal susseguirsi dei giorni e delle notti e delle stagioni. Nel pensiero cinese l’estetica è stata da sempre una disciplina legata all’equilibrio fra natura, mente e spirito, a differenza dell’Occidente dove inizialmente veniva intesa come conoscenza opposta e complementare a quella ottenibile attraverso la mente. Un ruolo di precursore nello sviluppo dei criteri estetici lo ebbe il pittore Jing Hao dei Liang Posteriori, che enunciò i sei elementi essenziali per la pittura di paesaggio: spirito, ritmo, concezione, scenario, pennello e inchiostro. Questi elementi si accostarono ai primi sei enunciati da Xie He 1.800 anni prima, formando il criterio estetico. Sebbene ritmo e spirito fossero posti come i più importanti, gli artisti dovevano osservare e studiare con grande attenzione i mutamenti nel mondo della natura e coglierne l’essenza.
Tale approccio si tradusse nel realismo immaginario che non richiedeva la fedele rappresentazione degli oggetti. Si tratta infatti di un realismo che consente allo spettatore maggiore libertà di immaginazione e fantasia e si avvicina ad una dimensione surreale, quella di un sogno, o di un’allucinazione. Questi concetti dimostrano come nella pittura cinese non vi sia alcuna divisione tra il mondo sensibile e quello intelligibile, tra materiale e spirituale.L’amore per la bellezza e il senso del poetico, indissolubilmente legati, passano dall’avere per oggetto la delicatezza di un paesaggio al focalizzarsi sull’incanto e la poesia della femminilità; la donna si contempla con la stessa ammirazione con la quale si contemplano la luna o i fiori di ciliegio.Un canone di bellezza che emerge è la pelle chiara, anzi, bianca come neve; le sopracciglia sottili e arcuate, come foglie di salice; la bocca piccola, come ciliegia o una foglia d’acero autunnale; anche l’ideale di corpo prende spunto dalla natura: flessuoso, snello, come un salice.La nudità non è contemplata in questa idea di bellezza; la bellezza cortese considerava la nuca unica parte da poter lasciare scoperta.
Il divino e l’infinito, vessillo dell’apoteosi della bellezza nell’oscurità medioevale
La spiritualità dell’estetica medievale, secondo la quale Dio è l’eterna bellezza, è ravvisabile nell’universo di immagini creato dagli artisti medievali che può risultare a tratti strano e inquietante. Ogni forma, oggetto o realtà, acquistava valore in quanto, direttamente o indirettamente, avvicinava l’uomo all’infinito, alla perfezione, all’ideale divino; il mondo visibile non era altro che il riflesso di quello invisibile. Nel campo dell’estetica, la forma era considerata perfettamente bella solo se veniva intesa come simbolo della perfezione ideale e divina; una perfezione estranea ai sensi, alla mutevole quotidianità, allo spazio e al tempo.
La bellezza non era creata perché l’uomo la desiderasse di per sé, ma come mezzo attraverso il quale il suo spirito potevano raggiungere la purezza. Tuttavia, il godimento spirituale, premessa dell’arte medievale, nasceva anche da un piacere estetico: Dante dinanzi all’apparizione di Beatrice ne è un esempio emblematico. L’austera morale medioevale impone che il corpo della donna debba essere esile e acerbo per dimostrarne la castità e la purezza, con i fianchi stretti, il seno appena abbozzato, ma il ventre prominente, indice di un futuro fecondo come madre. Le immagini delle donne nell’arte Medievale hanno come comun denominatore l’influenza della Chiesa: donne-angelo, madri, Sante, oppure donne come diavoli, demoni e tentatrici; tutta colpa dei due peccati capitali principali: avarizia, vizio associato all’universo maschile, e lussuria a quello femminile per eccellenza, rappresentata quasi sempre dalla donna avvolta dai serpenti. La perfezione divina dei dipinti non è qualcosa che appartiene al terreno.
La luce della bellezza del Rinascimento
Alla fine del Medioevo, l’oscurità lascia spazio alla luce e alla rinascita: l’uomo è di nuovo al centro dell’universo e diventa oggetto di studio insieme alla bellezza, all’arte in ogni sua forma. Prende avvio il Rinascimento. Gli artisti rinascimentali, studiando le sculture e le architetture antiche, recuperano il linguaggio dell’arte greco-romana, identificandola genericamente come classica, ne ammirano sconfinatamente i risultati formali e si impegnano a svelarne tutti i segreti, allo scopo di poter ricreare tutta quella bellezza. Pittori, scultori e architetti del Rinascimento, scelsero l’arte classica come modello da imitare, convinti che i Greci e i Romani fossero stati capaci di raggiungere risultati di assoluta eccellenza in tutti i campi della cultura, e che proprio da quei risultati si dovesse ripartire.
Durante l’età classica, gli artisti avevano applicato alla scultura e all’architettura proporzioni che prevedevano la scelta di precisi rapporti matematici. Nel Rinascimento, allo scopo di ricreare l’immagine dell’uomo perfetto e di costruire edifici armoniosi, il modello dei pittori e degli scultori rinascimentali fu, in particolare, il cosiddetto uomo vitruviano. Vitruvio, architetto romano del I secolo a.C., aveva infatti affermato che l’uomo perfetto può essere contenuto, in piedi e con le braccia aperte, contemporaneamente dentro un cerchio e un quadrato. Nel 1490, il pittore Leonardo da Vinci ne propose una famosissima interpretazione grafica. Botticelli dipinse in più opere la personificazione della bellezza quattrocentesca: la fronte alta, il mento ben definito, la pelle pallida, i capelli biondi, il naso forte, la bocca stretta e le labbra carnose.
Il cambiamento nella considerazione e valutazione della bellezza femminile è radicale: mentre nel Medioevo era vista spesso come qualcosa di demoniaco, a causa principalmente dell’influenza della morale religiosa imperante, nel periodo successivo della nuova cultura rinascimentale, la bellezza tornò ad avere una nuova importanza nella vita sociale, tanto che si cominciò a pensare che la stessa fosse sinonimo anche di una bellezza interiore.
La bellezza ideale del Neoclassicismo
La perfezione cui ambirono gli artisti neoclassici fu un concetto senza tempo. “Cogliere il senso essenziale della classicità, la sua più intima qualità espressiva, indagando le leggi primarie di una bellezza intramontabile, tentandone un recupero puro e una trasposizione nell’epoca contemporanea: ecco l’intento di questo grande movimento di cultura e di arte”, scrive lo storico dell’arte Mario De Micheli.
Il principale teorico del Neoclassicismo fu Winckelmann, che consacrò il mito della bellezza ideale e dell’imitazione degli antichi; si diffuse quindi l’idea che la perfezione artistica dei greci e dei romani fosse l’unica forma da imitare per restituire un’immagine di bellezza e armonia. L’opera d’arte, come visualizzazione del bello ideale, dovrà superare, secondo Winckelmann, l’agitarsi delle passioni umane, il movimento, il dramma: il generale e principale carattere dei capolavori greci è una nobile semplicità ed una quieta grandezza tanto nell’atteggiamento quanto nell’espressione.
“La natura e la struttura dei corpi più belli raramente sono prive di difetti, anzi hanno forme e particolari che potremmo scoprire o concepire più perfetti in altri corpi, e in base a questa esperienza ogni artista sapiente si comportava come un abile giardiniere che innesta su un fusto diversi margotti delle migliori qualità; e come l’ape sugge da molti fiori, cosi i concetti del bello non rimasero circoscritti alla singola bellezza individuale, come lo sono talvolta i concetti dei poeti antichi e moderni e della maggior parte degli artisti contemporanei; bensì gli antichi cercarono di operare una sintesi di tutto ciò che vi era di bello in molti bei corpi. Essi purificarono le loro immagini da ogni gusto personale, che distoglie il nostro spirito dalla vera bellezza”
Winckelmann, Storia dell’arte nell’antichità
Il sublime nell’ideale di bellezza romantica
La poetica romantica si basa sul concetto che la natura non produce il bello ideale, ma immagini che possono ispirare due sentimenti fondamentali: il pittoresco e il sublime. Secondo le teorie di Burke, politico, filosofo e scrittore britannico di origine irlandese, nonché uno dei principali precursori ideologici del Romanticismo inglese, il pittoresco e il sublime sono due opposti tra loro, il sublime non nasce dal bello, ma nasce dai sentimenti di paura e di orrore del vuoto e dell’infinito. Secondo Kant, il sublime nasce dal conflitto tra sensibilità e ragione e dal sentimento di sgomento, di fragilità che prova l’uomo difronte allo spettacolo dei grandi sconvolgimenti e fenomeni naturali. La Bellezza cessa di essere una forma e diventa Bello l’informe, il caotico.
“Sublime è il senso di sgomento che l’uomo prova di fronte alla grandezza della natura sia nell’aspetto pacifico, sia ancor più, nel momento della sua terribile rappresentazione, quando ognuno di noi sente la sua piccolezza, la sua estrema fragilità, la sua finitezza”.
Nell’ambito del pensiero Romantico, la donna incarna le aspirazioni del poeta, le sue illusioni, e l’amore, il più puro dei sentimenti, nella tematica Romantica è spesso fonte d’amarezze e tormenti, per l’impossibilità del poeta di vivere assieme all’amata a causa delle convenzioni sociali.La musa romantica rivela la dimensione occulta di questa corrente, secondo la quale al mondo reale se ne affianca un altro, parallelo e infernale.
sono molto apprezzati i volti pallidi ed affilati: la musa romantica era pallida, dagli occhi enormi e febbricitanti, le labbra coralline a contrastare con il biancore del volto, l’espressione sofferta ed ispirata. A tale ideale estetico rimandano i dipinti di Hayez “Pensiero malinconico” (1842) e “La Meditazione”(1851) .
Il trionfo del corpo nel Novecento, il secolo dell’emancipazione femminile
L’arte del primo Novecento è caratterizzata dall’astrattismo, dalla voglia di sovvertire i canoni di bellezza che avevano regnato in precedenza e, complice la nuova rivoluzione industriale, dall’amore per il progresso e il movimento. Non troviamo più alcun riferimento alla religione, o alle storie della Bibbia o ai santi, mentre si lascia ampio spazio al tema della società.
Ecco quindi che il quadro di Picasso intitolato Les demoiselles d’Avignon, e raffigurante cinque prostitute, si colloca alla perfezione in questa voglia d’analisi del costume e di rottura con il concetto classico della donna pura e casta. L’arte smette di essere al servizio della religione e si pone come indagine della realtà individuale e sociale in cui tutti possono riconoscersi: ora l’arte parla al popolo. Il Novecento è contrassegnato da avvenimenti di straordinaria portata storica: è il secolo dei due grandi conflitti mondiali, ma anche dell’emancipazione femminile, dell’ingresso della donna nel mondo del lavoro, delle grandi battaglie femministe. Tutti questi rivolgimenti di carattere politico, economico e sociale hanno profonde ripercussioni sull’universo femminile: cambia la condizione della donna e il suo ruolo all’interno della società, e conseguentemente cambia il suo modo di percepire, esibire, nascondere il proprio corpo. Con l’avvento del nuovo secolo cadono molti tabù e molti dei pudori che fino a quel momento avevano nascosto il corpo femminile, che si libera di tutte le costrizioni da cui era sempre stato intrappolato e inizia a scoprirsi: è l’era del trionfo del corpo.
Nel corso del Novecento le arti figurative e plastiche, fino a quel momento principali depositarie della bellezza femminile, lasciano il posto prima al cinema e poi alla televisione nel dettare i canoni estetici più seguiti. Tra il 1940 e il 1950, a seguito delle due guerre, le donne sono sempre più indipendenti ed emancipate: in questo decennio le donne portano i capelli arricciati e lunghi fino alle spalle, dal look disordinato; mentre la silhouette resta estremamente femminile, dall’aria fiera. Ma è tra gli anni Sessanta e Settanta che il corpo diventa argomento centrale della società, della comunicazione e dell’arte. Sono gli anni della cultura hippie, della liberazione sessuale e del movimento femminista, e poi quelli delle contestazioni studentesche e delle lotte operaie; anni di grandi cambiamenti sociali e culturali. L’arte si apre a nuovi linguaggi, dagli happening di Fluxus alla Body Art, alle performance, azioni artistiche in cui il corpo, al pari di una tela bianca, diventa fulcro centrale della ricerca artistica.
Bellezza e coinvolgimento multisensoriale negli anni Duemila
Da questo momento in poi l’arte contemporanea si servirà del corpo, esibendolo, a volte usandolo per generare disgusto, lontanissimo dalla grazia e dalla perfezione, dal canone estetico tanto ricercato in passato. Nel contemporaneo, il corpo ha ancora notevole spazio in ambito non solo artistico ma anche sociale. Siamo le generazioni della televisione, dell’era di Internet, della moda e della comunicazione, e l’arte, inevitabilmente, registra e sintetizza tutto questo. Nell’arte contemporanea non ci sono più vere e proprie correnti, si parla per lo più di tendenze. I media in primis creano nuove modalità e nuovi temi; c’è, in sostanza, una grande contaminazione per cui oggi tutto, o quasi, potrebbe essere un prodotto artistico in potenza.
La bellezza al giorno d’oggi, spesso è qualcosa di astratto e distante dalla realtà, tanto da mistificarla; un concetto quasi etereo ed evanescente, legato ad un’esperienza fugace; altrettanto spesso è un concetto superficiale, legato esclusivamente a dei numeri espressi in cm, a delle forme vuote da riprodurre in copia. Nel mezzo di queste due strade s’incontra la vera bellezza del mondo, che è quella dell’arte e della natura, ma anche dell’uomo nel suo più profondo e intimo essere, che al di là di ogni forma esterna, continua ad esistere.
Beatrice Laurora
Content creator