MUSICAL
E ora Giorgio Gaber, l’artista che con ironia sapeva scavare nell’animo umano
Dopo il trionfo agli Oscar del teatro e del musical di Broadway con la sua «Lehman Trilogy», Stefano Massini si prepara a scalare le vette con il suo nuovo spettacolo dedicato a Giorgio Gaber, che ha già debuttato al Piccolo Teatro di Milano. E che presenta il lato più inedito e profondo del grande cantautore italiano
Le prime sensazioni all’indomani del premio sono state semplici e dirette: «Sono emozionatissimo, non credo ai miei occhi: provo una gioia immensa, sono esterrefatto e senza parole. Ho vinto il Tony Awards 2022 per Best Play! Piango di emozione per una serata leggendaria». Tutto è accaduto a New York a Radio City Music Hall: era nell’aria, ma lui, piedi per terra, non ci credeva.
Di qua dall’Oceano, poi, un’enorme ’ola’ è partita via social per questa conquista di cinque premi su otto nomination degli Oscar del teatro e del musical di Broadway. E anche chi non mastica di teatro, all’improvviso si è sentito coinvolto nella festa. Stefano Massini nato a Firenze, girovago e ma ’tornante’, nel senso che Firenze è comunque la sua casa, è l’unico italiano al mondo che abbia mai vinto agli Oscar del teatro e con una sua opera tra i musical di Broadway. Scrittore e drammaturgo: è stato premiato con la sua straordinaria «Lehman Trilogy» edita in Italia da Einaudi che ha vinto il Premio Outstanding Production of a Play ai Drama League Awards, di 5 Premi agli Outer Circle Awards tra cui Outstanding New Broadway Play.
Una carriera quasi da enfant prodige culminata con questo riconoscimento strameritato, Stefano Massini è laureato in Lettere Antiche e si è avvicinato al teatro come aiuto regista per il Maggio Musicale Fiorentino e prima ancora regista di opere in scena al Giardino di Boboli e a lavorare per la drammaturgia contemporanea al fianco di donne straordinarie come Dacia Maraini e Ottavia Piccolo. Nel 2000 è assistente ospite di Luca Ronconi al Piccolo di Milano. Nel 2005 decolla la sua attività di drammaturgo: Massini vince all’unanimità con ’L’odore assordante del bianco’ il Premio Pier Vittorio Tondelli, massimo riconoscimento per la scrittura teatrale in Italia. Da quel momento passi da gigante: tradotto e rappresentato in oltre 30 paesi in tutto il mondo, Stefano Massini si è qualificato negli anni come un rabdomante di storie narrate in tutte le forme possibili, così come accade nelle sue opere teatrali, nei suoi seguitissimi interventi televisivi di “Piazzapulita” su La7 o “Ricomincio da Rai 3”, trasmissione tv dedicata allo spettacolo dal vivo e nelle colonne di “la Repubblica”, nei romanzi, nei saggi. E adesso la consacrazione mondiale come primo autore italiano ad aver ricevuto il Tony Awards, l’Oscar del teatro americano.
L’altra sera il Teatro Romano di Fiesole un pubblico di quasi duemila persone gli ha reso omaggio con un brindisi collettivo e sugli spalti fatti di pietroni scomodissimi e romantici, sono stati distribuiti bicchieri e spumanti. A Fiesole l’ultimo debutto per Massini, scrittore, artista e pensatore mai banale, sempre un po’ disincantato come se quello che gli è stato riconosciuto, fosse quasi troppo. A Fiesole per il suo nuovo spettacolo dedicato a Giorgio Gaber, «Quando sarò capace di amare» e la sua regia e accompagnato dall’Orchestra Multietnica di Arezzo.
Massini come nasce questo recital che ha già debuttato al Piccolo di Milano?
«È nato nel momento esatto in cui mi sono reso conto che Gaber è una miniera e contiene sorprese meravigliose, nel senso che è un cantautore e uomo di teatro difficilissimo da definire, con la particolarità di saper raccontare alcune cose dell’animo umano con le famose geografie del nostro essere, cartografie dell’esistenza: sono rotte nell’oceano di un mondo sbandato, sono danze di fuochi per illuminare la notte del nostro vagare, scoprendo che tutti in fondo attendiamo solo il momento in cui saremo, finalmente, capaci di amare. E qui vado a prendere di Gaber il repertorio meno noto».
Dunque per scelta niente Shampoo o Torpedo blu?
«No, questi pezzi nello spettacolo non ci sono: ho voluto il Gaber meno frequentato che è quello psicoanalitico, profondo che cerca di avventurarsi. Non sono cantante, non sono attore, ma narratore e scrittore e prendo otto canzoni di Gaber per raccontare storie che mi sono venute in mente, incrociate su questa strada per scoprire che tutti in fondo attendiamo solo il momento in cui saremo, finalmente, capaci di amare. Storie che ho trovato sulla mia strada dopo aver trovato le sue canzoni e dalle sue canzoni sono arrivato ad altre storie. E allora questo racconto: racconti che solo all’apparenza non c’entrano con le canzoni di Gaber, ma alla fine ci rientrano dentro».
Nei suoi racconti cosa immagina?
«Anche i mostri che abbiamo dentro: da La parola io, a Non insegnate ai bambini a Se io sapessi e molti altri brani, il mio desiderio è quello di coinvolgere e condividere col pubblico in un viaggio di emozioni e domande, in cui l’ironia di Gaber lascia spazio un attimo dopo alla profondità di pensieri rimossi. Una specie di grande monumento al senso critico, e a questo sono arrivato grazie alle sue canzoni, ma anche a quella che è l’insondabile incognita dell’amore, unico antidoto al lasciarsi vivere. In scena si aggiungono i suoni e i colori dell’Orchestra Multietnica di Arezzo con musicisti da ogni parte del mondo».
Che effetto fa il confronto con la musica leggera?
«Lo vedo come l’omaggio a un cantautore che non si finisce mai di scoprire: io Gaber lo penso lì, davanti a me ad ascoltare la mia dedica e a condividere la mia lettura sulle sue canzoni, che diventano qui come delle impronte nella neve. Un po’ come quelle su cui mettere i piedi, ricostruendo il senso del cammino. Un po’ la provocazione di far raccontare il mondo Gaber da uno che non ti aspetti possa raccontare il suo mondo. Perché è certo che io non vengo dal repertorio musica leggera ma da un’altra parte. Ma è come se avessi rivisto l’incontro da liceale che ebbi con lui: Gaber per me è l’uomo che va in scena seduto su uno sgabello e si lancia nella profondità di pensieri rimossi, alla ricerca di un unico grande monumento al senso critico».
“Gaber per me è l’uomo che va in scena seduto su uno sgabello e si lancia nella profondità di pensieri rimossi, alla ricerca di un unico grande monumento al senso critico”.
Giornalista