INTERVISTA
CLAUDIO BISIO “Porto sul palco la mia vita disegnata male”
Claudio Bisio, icona del cabaret e del cinema italiano, ritorna in teatro con “La mia vita disegnata male”. E, in questa intervista esclusiva ad ArteCultura Magazine, rivela il significato del titolo, racconta il suo rapporto con l’autore Francesco Piccolo e il regista Giorgio Gallione, e approfondisce il ruolo della musica nello spettacolo
Un Claudio Bisio come raramente capita di vedere, o meglio, rivedere. Perché poche volte, specialmente negli ultimi anni, da quel cabaret per definizione che è stato Zelig, e più recentemente con “Father and Son” – la regia di Giorgio Gallione – è stato protagonista a teatro: era l’anno di grazia 2014, cioè dieci anni fa. Per chi non avesse fatto i conti, i riferimenti artistici di Bisio che rimarranno nel tempo, sono tre: il gruppo del Teatro dell’Elfo di Milano, a capo del quale erano Paolo Rossi e Gabriele Salvatores che gli aprirà la strada alle prime apparizioni sul palcoscenico del piccolo e del grande schermo. Diciamo che di acqua ne è passata ma aggiungo che Bisio con Firenze e la Toscana ha da sempre un rapporto stretto, abbastanza d’amore: per chi non lo sapesse, grazie a Sergio Staino è stato artistico del Teatro Puccini. Ora debutta al teatro della Pergola, dove resterà fino al 24 marzo con un testo di Francesco Piccolo “La mia vita raccontata male”.
Bisio cosa ci dobbiamo aspettare in questo spettacolo?
“Esagerando un po’, si potrebbe dire che è una summa dell’opera di Francesco Piccolo, c’è qualcosa di inedito, brani da racconti e romanzi precedenti al Premio Strega, anche se la storia si basa per l’appunto sul libro ‘Il desiderio di essere come tutti’. Alla fine, questo spettacolo è il tentativo di attraversare la vita di una persona che assomiglia a me, ovviamente a Piccolo, ma in realtà anche a molti altri, a iniziare dal regista Giorgio Gallione. Siamo dei boomers, ce ne faremo una ragione. E questo spettacolo è la storia di una generazione, quella nata tra gli anni Cinquanta e Sessanta, cresciuta guardando Carosello e le Kessler, quella che ricorda il Muro di Berlino e i Mondiali di calcio del ’74”.
Però ci deve spiegare bene il titolo: in che senso la sua vita è raccontata male?
“È un omaggio che facciamo a un amico, Gipi, che ha intitolato una sua graphic novel La mia vita disegnata male, un titolo che sia a me che a Giorgio Gallione è sempre piaciuto. Raccontiamo ‘male’ nel senso che non seguiamo una cronologia rigorosa, andiamo avanti e indietro nel tempo, anche se si parte con ricordi dell’infanzia e si arriva sino alle problematiche della vita adulta, facendo emergere un percorso come in una sorta di grande puzzle. E poi ‘male’ perché non raccontiamo solo le cose belle della vita, ma anche episodi negativi, sentimenti e fatti politicamente scorretti, non edulcoriamo niente. Ma Piccolo in questo senso è un maestro e noi lo seguiamo, e ovviamente speriamo di raccontare bene le sue storie”.
Il tuo rapporto con l’autore Francesco Piccolo?
Con Francesco Piccolo siamo amici, ci siamo conosciuti durante alcuni reading curati dallo stesso Giorgio Gallione. In Piccolo mi riconosco al 90%: siamo vicini per età, per background politico e culturale, abbiamo entrambi una figlia e un figlio, siamo simili anche nell’approccio alla verità delle cose un po’ crude. L’unica differenza è che lui è del sud e io del nord. Nei reading che abbiamo fatto insieme, lui leggeva con questa flemma tipicamente casertana e io con la velocità un po’ schizzata del milanese ed era un bellissimo mix”.
Un rapporto rodato: da quanto dura l’intesa col regista Giorgio Gallione?
“Io e Giorgio lavoriamo insieme da più di venticinque anni, abbiamo superato le nozze d’argento. Abbiamo iniziato nel 1996, quando lui mi propose di lavorare su Monsieur Malaussène di Pennac. Sapeva da amici comuni della mia passione per l’autore francese e quindi era certo di colpirmi al cuore e al cervello. Da allora siamo indissolubili, La mia vita raccontata male è il settimo spettacolo che facciamo insieme. Giorgio Gallione è abituato a non utilizzare testi teatrali preesistenti, ma a prendere spunto da testi letterari, fumetti e altro, ne ha fatto una sua cifra stilistica, e con lui ho scoperto che sento più vicino questo tipo di contenuto così contemporaneo. E anche se scherzosamente dico che lui ‘mi ha tradito’ con molti altri attori e attrici, in questi ventotto anni si può dire che il teatro l’ho fatto solo con lui”.
Qual è l’importanza della musica in questo spettacolo?
“In tutti i miei spettacoli ci sono sempre dei musicisti. In questo sono al mio fianco sul palco due bravissimi polistrumentisti, Marco Bianchi e Pietro Guarracino che, seguendo i brani composti appositamente da Paolo Silvestri, interagiscono con me in scena suonando tre/quattro chitarre ciascuno, in un rapporto molto vivo e ritmato tra parola e musica. La musica nello spettacolo ha decisamente un ruolo importante. Per questo motivo qualcuno lo ha definito un melologo e qualcun altro lo ha avvicinato al teatro canzone di Gaber, considerazione che mi onora moltissimo”.
Com’è tornare in teatro?
“Dopo tanti film come attore, pochi mesi fa è uscito il mio primo film da regista, L’ultima volta che siamo stati bambini. È stata, e continua ad essere, un’esperienza fantastica, soprattutto grazie al vasto seguito delle scuole. Ho fatto con piacere tante presentazioni del film in sala davanti a centinaia di adulti, ma anche bambini, partendo la scorsa estate dal Giffoni Film Festival fino ad arrivare al Parlamento Europeo, appena prima di partire per la tournée. E ora sono felicissimo di tornare in teatro, è qui che ho iniziato la mia carriera. Il primo bollino Enpals è del 1980, sono 44 anni che la mia vita è fatta di questo lavoro e del contatto con il pubblico”.
Bisio scelga: teatro, cinema o tv?
“Del teatro la caratteristica che apprezzo di più è il fatto che è live, succede tutto in quel momento, su quel palco, poi svanisce per sempre e qualsiasi replica sarà diversa dall’altra. Mi piace il cinema e la televisione, ma la reazione immediata del pubblico in teatro per me è impagabile, soprattutto quando si portano in scena spettacoli come questo, che anche se hanno momenti più riflessivi sono in gran parte comici. Ricordo sempre la grande lezione che mi ha dato Dario Fo, quando diceva che fare ridere è più difficile che fare piangere. Ed è così, infatti: se porti in scena uno spettacolo comico che non funziona te ne accorgi subito. Questo spettacolo è un ping-pong continuo tra me che sono sul palco e il pubblico in platea”.
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