INTERVISTA
ALESSANDRO PREZIOSI “La mia avventura epica tra lingue antiche e magia teatrale”
In questa intervista esclusiva ad ArteCultura Magazine, Alessandro Preziosi racconta i segreti di “Shakespea Re di Napoli” condividendo il suo coinvolgimento nel film, che trasporta il pubblico in una Napoli barocca. E anticipa una stimolante produzione teatrale a Venezia, che fonde Shakespeare e arte contemporanea, esplorando le sfumature del rapporto tra padri e figli.
“Shakespea Re di Napoli, nasce in primo luogo come spettacolo teatrale, ricordo che quando l’ho visto al Teatro Eliseo a Roma, con la regia di Ruggero Cappuccio, sono rimasto incantato e inchiodato alla poltrona. È uno spettacolo pazzesco nato nel 1994, che ha debuttato a Sant’Arcangelo diretto da Leo De Berardinis: da quel momento ha girato per più di trent’anni nei più importanti teatri italiani, e ora è diventato un film. Sono molto felice di esserci dentro”. Alessandro Preziosi interprete e non solo attore, capace di far nascere, crescere e diventare grandi i piccoli sé stesso dentro di lui. Uno che non si accontenta e non dà niente per scontato, con la capacità di mettersi continuamente in gioco e sotto esame. Che sa apprezzare le novità e non resta indifferente. Che coltiva il suo io giocoso e a volte pure infantile: ce ne fossero di più di Preziosi. Cioè artisti del palcoscenico e del cinema, che non sono per una vita fredda e intasata di parole, ma dove la più intensa emozione, per loro è una gioia che dura. Eccolo qui – conteso da quasi tutti i registi – davanti alla sua ultima avventura sullo schermo, mai pentito di aver dirazzato da una famiglia con padre e madre avvocati come lui, e aver scelto l’arte del recitare.
Preziosi perché questo film è diverso da tutti?
“Lo spettatore si trova coinvolto in una storia così fantastica che sarà rapito da Shakespeare, per me è un’idea geniale. Lo spettacolo di Eugenio Cappuccio che mi ha conquistato in teatro, ora vive sul grande schermo. ‘Shakespea Re di Napoli’ contiene il mistero più affascinante della storia della letteratura mondiale. Per chi furono scritti i Sonetti che il drammaturgo inglese dedicò a un misterioso mister W.H.? Gli attori coinvolti in questo nuovo adattamento a parte il sottoscritto sono Giovanni Esposito, Jacopo Rampini, Emanuele Zappariello, Peppe Servillo, Elio De Capitani”.
Un minimo di sinossi si può anticipare?
“Siamo in una Napoli dei primi anni del Seicento e Desiderio torna a Napoli dopo un avventuroso naufragio anche per riabbracciare il suo amico Zoroastro. A lui così racconta di aver vissuto a Londra e di essere diventato il più grande interprete dei personaggi femminili del drammaturgo inglese. Il confronto del teatro elisabettiano con le parole della Napoli barocca in un certo senso infuocano una sinfonia di sentimenti dove c’è tenerezza, nostalgia e coraggio che affilano le vite dei protagonisti. E lui torna dall’Angleterra, c’è tutto un linguaggio diverso, ma comprensibile e colorito”.
Che lingua parla il film?
“Il testo è scritto metà in napoletano antico e metà in inglese con assonanze e desinenze napoletane e inglesi. Mi è piaciuto molto e ho voluto partecipare al film di Cappuccio che già conoscevo come scrittore che edita con Mondadori. Da qui è nata una lunghissima preparazione al testo: già il napoletano è una lingua a parte, e questo lavoro, con la musicalità di questa lingua anche nel film, è frutto di grande impegno. Devo dire grazie a Giovanni Esposito, attore di lunga esperienza napoletana, che mi ha aiutato a realizzare qualcosa, secondo me, di unico. Lo trovo straordinario, girato tutto nella costa del Cilento e la cosa divertente è che i racconti incredibili di Desiderio, sono veri, anche se sembrano tutti palle su palle”.
Un racconto atipico, anche coraggioso.
“Desiderio arriva con la peste addosso e questo racconto ha la proprietà di entrare nel mondo inventato di una Napoli fatta di barbieri, di piccole botteghe rimaste intatte dal 1600 a oggi. È una specie di percorso che accompagna lo spettatore all’arte dell’invenzione del racconto, e gli attori napoletani sono straordinari, perché sanno rendere verosimile quel che in realtà può sembrare inverosimile. E alla fine, la tensione del racconto, è di recuperare un quadro che Desiderio sostiene essere fatto da Shakespeare che ritrova al Castello del Viceré fino a quando viene ritrovato in un finale magico sulla spiaggia”.
Ogni film ha o vorrebbe avere una sua morale: questo?
“Ci fa credere quanto alla fine il racconto possa prendere prepotentemente il sopravvento sulla banale realtà, è l’epilogo poetico per un attore. Che quando invecchia e perde la sua forza e la bellezza, si ritrova chiuso nella memoria di quel che ha fatto, è come se volesse sempre stare lì a raccontarsi. Dentro c’è il bozzettismo, cioè quella cosa attraverso la quale da un piccolo particolare, da una parola, si monta un trattato di filosofia napoletano. Come se fosse un piccolo aneddoto, ma non sei mai sicuro su quello che è successo veramente. Perché alla base dell’invenzione c’è la forza e la bellezza di questo racconto. Dove il personaggio diventa una cosa sola con il teatro. Compresa la sensazione in 3D di essere morto veramente, con la lingua napoletana di non facile comprensione, neppure per un napoletano”.
Preziosi lei ha interpretato tanti ruoli e anche molto belli. Cosa trova in Desiderio?
“È molto speculare a me questo personaggio. Ma quando un attore interpreta un attore che fa l’attore non è così semplice, perché dentro c’è la consapevolezza di mettersi in scena mentre in realtà devi far capire quanto sei saltimbanco. Nella leggenda gli attori venivano seppelliti fuori le mura: in questo caso la cosa più divertente è far tutto con la consapevolezza di raggirare il proprio interlocutore e anche lo spettatore. È stato un impegno diverso da tutti quelli che ho avuto: era tanto che non giravo in costume. Bellezza e difficoltà in una lingua così scomposta è stata una bellissima avventura”.
A teatro, invece?
“La prima della stagione la farò al Goldoni di Venezia, debuttando il 2 novembre con Aspettando Re Lear, un adattamento di Tommaso Mattei con la mia regia, spettacolo molto particolare, perché non ha l’epilogo della tragedia scespiriana, ma attraverso le opere di Pistoletto che sono in scena, ci sarà una gabbia concettuale narrativa affascinante”.
Tema principale?
“Il rapporto tra padre e figlio e cosa succede quando i figli ereditano quando il padre è vivo. Un progetto artistico per fondere arte contemporanea, teatro e Shakespeare che racconta attraverso corpi, volti opere e costumi, proprio quel rapporto tra padri e figli, la relazione tra tradizione e innovazione ma anche tra uomo e natura compresa la perdita di punti di riferimento. In un certo senso richiamando nel titolo l’opera di Beckett. E di questo faremo un documentario”.
Bisogna essere un bel po’ coraggiosi e anche umili abbastanza per mettersi alla prova continuamente, riassumersi, spiegarsi. Sapersi spiegare. ‘Que viva Alessandro Preziosi’.
“Quando un attore interpreta un attore che fa l’attore non è così semplice, perché dentro c’è la consapevolezza di mettersi in scena mentre in realtà devi far capire quanto sei saltimbanco”
Giornalista