INTERVISTA
VINCENZO SALEMME Il mio tributo sul palco a Eduardo De Filippo
Con “Natale in casa Cupiello”, Vincenzo Salemme esprime la sua profonda gratitudine a Eduardo De Filippo. E, in questa intervista ad ArteCultura Magazine, condivide il suo intenso legame con il leggendario maestro napoletano e rivela l’intenzione di volersi concentrare totalmente sul teatro
“Ci ho messo tanto amore per mettere su questo spettacolo. Volevo fare un omaggio a Eduardo De Filippo e a tutta la sua compagnia. Debbo a loro se ho iniziato e ho creduto nel mestiere di attore: lo considero il mio atto d’amore”. Di certo si stancherà ma non lo dà a vedere, perché resiste in scena alla grande, dove sta praticamente sempre, e regge con leggerezza, amore, armonia uno spettacolo straordinario, dandogli – cosa non scontata – tutti i tempi giusti: che sono anche comici. Vincenzo Salemme ha debuttato al teatro Verdi di Firenze con “Natale in casa Cupiello”, testo di Eduardo adattato dallo stesso Salemme. Uno spettacolo che si potrà vedere ancora in moltissimi teatri italiani, di sicuro la straordinaria prova di un artista molto amato dal pubblico. In scena allegria e la serena consapevolezza per una commedia che ci voleva di questi tempi, per aiutare a riflettere sorridendo. Protagoniste non di secondo piano, insieme ai bravissimi attori della compagnia, le doti di questo amato drammaturgo, attore e regista italiano: garbo e ironia. La sua prima esperienza d’attore è stata nel 1976 con Tato Russo, un anno dopo, nel 1977, entra nella compagnia di De Filippo. Da allora, ne ha fatta di strada. Tanto successo e tutto meritato.
È importante la gratitudine verso un maestro?
“Con questa commedia ho voluto veramente dire grazie a Eduardo, per quello che mi ha dato. Ero un ragazzino quando l’ho conosciuto: l’ho spiato, studiato, gli sono stato allievo, mi ha preso sotto la sua ala. E allora ho deciso di impegnarmi molto in questa commedia. Per rappresentare Luca Cupiello che ha un carattere un po’ scivoloso, perché è uomo ingenuo, ma anche astuto e ignorante: ho dovuto metterci un grande impegno. Avrai visto che questo titolo viene ripreso da molte compagnie perché si crede sia semplice. Ma tutte le cose che appaiono semplici, in realtà nascondono insidie. Sono entrato in dialogo con il testo di Eduardo, e l’ho fatto a modo mio, ma l’ho studiato nei dettagli, facendo capire che stavo recitando. Recitavo Eduardo, non mi sostituivo a lui”.
Perché tra le tante ha scelto proprio “Natale in casa Cupiello”?
“Ho conosciuto Eduardo che era il 1977 a Cinecittà. Andai lì per provare a fare la comparsa in qualcuna delle sue commedie che stava registrando per la Rai. E infatti lo incontrai in una pausa della lavorazione: me lo ricordo come fosse ora. Sulle spalle aveva uno scialle, era vestito con un camicione da notte e i mutandoni che finivano dentro i calzettoni di lana. Era il suo costume della commedia più bella, più amara, più divertente, sentimentale, malinconica, festosa e struggente della storia della letteratura: Natale in casa Cupiello. E comunque, per portarlo in scena, Eduardo deve piacere e non devi avere un ego gigante. Quando fai questo mestiere, è più opportuno interpretare con la tua storia un testo. Quando Eduardo ha debuttato la prima volta, era il 1931, la scrisse come atto unico, quasi un secolo fa. Era un modo di fare teatro, diciamo, primordiale. Chiaramente devi dare non una rilettura, ma la tua interpretazione filtrata dal tuo vissuto, dalla tua cultura e dal rispetto assoluto del testo e dell’autore”.
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Quel numero 77 è anche sulla tenda che cala tra gli atti: difficile sia casuale.
“È per ricordo dell’anno in cui ho conosciuto personalmente Eduardo De Filippo. Nel 1977, infatti, Sergio Solli, che mi ha iniziato al teatro e oggi purtroppo non c’è più, mi disse che Eduardo cercava comparse per la sua commedia. Ho voluto fissare questo ricordo”.
Salemme, il pubblico e non solo alla fine, è in piedi ad applaudire. Firenze come Napoli?
“Questa cosa mi fa tanto commuovere, vedere, sentire il calore del pubblico che ha capito il nostro impegno, il nostro lavoro. Firenze è la mia seconda Napoli da anni ormai. Ho un grande pubblico a cui dico sempre grazie perché anche questa volta ci ha accolti con un calore pazzesco che ancora stento a crederci. Il segreto è sempre e solo quello. Applausi belli e gratificanti per un lavoro fatto con umiltà, anche se pronunciare questa parola, umiltà, sembra sempre una cosa finta. E poi rischio di apparire modesto quando poi, invece, io volevo proprio fare un capolavoro. Abbiamo lavorato tantissimo per ottenere questo risultato, leggero nel senso bello della parola, togliendogli quella maschera di tragico che aveva. Tanti giorni di prove anche dopo il debutto, e questo è il risultato”.
Niente tv o cinema?
“Per ora no, e neppure penso a un’altra commedia per il teatro. Questo spettacolo mi ha preso tantissimo, ci sta prendendo tanto impegno, ogni replica è una commedia a sé. Ho deciso di concentrarmi per mettere in scena questo capolavoro e farlo come ho imparato questo mestiere, con naturalezza, semplicità e amore. In teatro per amore per le mie origini, amore per Eduardo, per il figlio Luca, amore per quei natali passati davanti alla televisione. Uno spettacolo che ti restituisce la voglia di tornare in quella casa degli anni ’40 nel secolo scorso, di sentire il freddo del dopoguerra, addolcito dai preparativi del presepe. No, per ora niente altro che questo”.
“Con questa commedia ho voluto veramente dire grazie a Eduardo, per quello che mi ha dato. Ero un ragazzino quando l’ho conosciuto: l’ho spiato, studiato, gli sono stato allievo, mi ha preso sotto la sua ala. E allora ho deciso di impegnarmi molto in questa commedia”.
Giornalista