TEATRO & SPETTACOLO
GIORGIO PANARIELLO “I miei personaggi sono tutti reali”
È così! Giorgio Panariello, come racconta in questa intervista ad ArteCultura Magazine, ha incontrato e conosciuto i vari protagonisti dei suoi monologhi. Figure che lo hanno in qualche modo colpito per personalità, tratti caratteriali, storie. Che lui stesso interpreta in scena e contestualizza in racconti di vita quotidiana.
“Mi piace stare dietro ai miei personaggi mantenendo il mio stile di varietà e nello stesso tempo cercare altre vie. Protagonisti le cui vite sono come pennellate di attualità di un racconto che è un percorso del quotidiano. La cosa più divertente e al tempo stesso emozionante è raccontare da un palcoscenico la loro genesi, che prende forma e cambia veste. Dunque sono esattamente così come li ho conosciuti e poi solo dopo faccio il lavoro di contestualizzare e racconto di come fosse la mia vita di quel momento”. Storie ed esperienze, racconti in forma di monologhi, la musica e le immagini: questo e molto altro è ‘La favola mia’ nuovo one man show di Giorgio Panariello che ha debuttato a Firenze al Teatro Verdi e che in corso d’opera ha dovuto aggiungere date su date, tante le richieste.
Tutto parte da Firenze, perché Giorgio Panariello non solo qui nasce, ma ha la Toscana nel cuore: versiliese di adozione non solo comico, ma attore, presentatore con il suo talento e la sua carica espressiva, il trasformismo, del quale è ormai considerato maestro, si divide tra teatro, cinema, televisione. Ma lo troviamo anche tra libri, pubblicità e radio. Eccolo qui, che dagli inizi nelle tv private toscane assieme a Carlo Conti fino al grande successo di “Torno Sabato” che lo consacra ufficialmente, e grazie al quale si aggiudica sia il Telegatto che l’Oscar Tv come personaggio dell’anno, è arrivato al famoso successo del 1997, quando Maurizio Costanzo lo fa debuttare al Teatro Parioli di Roma con lo show “Boati di silenzio”.
Panariello, la sua storia di artista non può essere considerata solo quella di un comico.
“La gente mi conosce ma anche solo raccontando la mia storia e le mie esperienze mi sono reso conto che tutti i personaggi visti e concepiti per lo spettacolo, in verità li ho conosciuti e non sono inventati. Certi li ho incontrati in momenti precisi: per Merigo ero con mia nonna, ed è un personaggio anche melanconico; quando ero ragazzo in discoteca ci ho trovato il Pr; quando racconto il bagnino divento testimone di un’epoca perché a quel tempo i bagnini della Versilia erano proprio così. Il pretesto alla fine è quello di mettere in ordine cronologico la mia avventura e contestualizzare: se ho un rammarico oggi è che in quel momento non avevo né cellulare, né macchina fotografica e non potevamo neppure andare sui social. Però li ho memorizzati bene, e quando è stato il momento, ho rivisto i miei protagonisti, incontrati, data loro una forma e attraverso di me in qualche modo li ho fatti rivivere”.
Quando ha affrontato il grande pubblico televisivo, come si è sentito?
“Bella domanda: i primi spettacoli in tv mi facevano paura, anche perché venivo da show di cabaret molto toscani come Vernice Fresca e poi Aria Fresca e spaziavano su Teleregione, Canale 10 e Videomusic con Carlo Conti e Leonardo Pieraccioni e fin lì, erano gli inizi gli anni Novanta, giocavo in casa. Poi c’è stato il grande salto con la Rai, tra il ‘96 e il ‘98 che non è stato uno scherzo anche di tensione. Sai che devi affrontare una specie di esame che deve andare bene perché è la tua occasione“.
Tra i suoi ultimi personaggi c’è il mitico Vaìa.
“Ecco, questo è nato al Teatro Puccini di Firenze, cioè dal bar del teatro. Ricordo bene che quando andai a fare lì i primi spettacoli con Sergio Staino, direttore artistico, e tutta un certa intellighenzia che ruotava intorno a questo luogo. Però evidentemente già qualcuno mi conosceva visto che facevo tv, compreso il Vaìa, un uomo che stazionava al bar e stava lì giornate intere a raccontare cose. Mi disse: ma che tu sei Panariello? Ma vaìa! In un modo disincantato, ironico un po’ a presa di giro, che è molto toscano, e allora me lo sono ricordato un giorno che con gli autori mentre ci si stava preparando a questi spettacoli teatrali e televisivi. E venne fuori quasi da solo questo tipo qui”.
È stato bene accolto mi pare.
“Molto, perché è un mondo a parte, quando e quando Christian De Sica è venuto a vedere lo spettacolo, alla fine mi ha detto: questo è un personaggio che potrebbe reggere un film tutto da solo perché ha una sua grande forza e in un certo senso è l’ultimo dei romantici. Alla fine, ovunque lo faccia, ognuno lo può ritrovare nelle conoscenze della propria vita, perché come lui se ne incontrano ancora da qualche parte, con quella sua cifra ironica, polemica ma anche malinconica”.
Ecco appunto: il fil rouge di questo nuovo show è proprio questa piccola vena malinconica che lo attraversa.
“Quando l’ho scritto eravamo in pieno lockdown nessuno sapeva cosa stesse o potesse succedere di preciso, sembrava una trappola da cui difficilmente si poteva uscire. All’inizio ero pronto a scrivere uno spettacolo pirotecnico e celebrativo, poi invece, la solitudine forzata mi ha dato modo di ragionare, come quando vai in un salotto di amici e puoi discutere e confrontarti. Alla fine l’ho voluto fare così. È come se mi fossi messo seduto per raccontare esperienze, mi sono aperto, e ho tirato fuori delle cose che avevo voglia di comunicare da anni. Poi si sa, nel momento che parli della vita, tutto esiste, tutto va bene, compresi i momenti di inquietudine da mela avvelenata. Contemporaneamente allo spettacolo, ho cercato di capire cosa mi avesse attraversato: il dolore. E di conseguenza cosa avrei potuto raccontare di mio fratello Franco, morto troppo presto. Allora ci ho messo questo piccolo monologo che si allargava sempre di più, e questa cosa che inizialmente facevo solo per me, piano piano è diventata dedicata solo a lui. Poi però si è rivelata per tutti per riuscire a condividere, dare la misura di una perdita: chi può dire di non aver avuto un lutto familiare?”.
Lo spettacolo dal titolo “La favola mia” è dedicato palesemente a Renato Zero, perché?
“Perché è un omaggio all’artista che mi ha influenzato tantissimo e grazie alla sua imitazione, in tempi non sospetti, mi ha dato la possibilità di farmi conoscere. L’aneddoto migliore è quando diedero in tv me, che facevo lui. Renato stesso mi ha raccontato che vedendomi rimase sbalordito, chiamò suo fratello e gli chiese: a Gianfrà ma quand’è che ho detto ‘ste cose io? Più di così…Poi mettici che quest’anno ha compiuto 70 anni, mi è parso un omaggio doveroso. Così vi beccate questo tormentuccio ricorrente: che cosa scrivo? Che storia racconto? E ogni sera sul palcoscenico la mia memoria si rinnova, con ironia e dolcezza”.
“La gente mi conosce ma anche solo raccontando la mia storia e le mie esperienze mi sono reso conto che tutti i personaggi visti e concepiti per lo spettacolo, in verità li ho conosciuti e non sono inventati”
Giornalista