ARTE & GLOBALIZZAZIONE
La magia del mare amplia la conoscenza e scatena la creatività
Da sempre menti fluide scelgono il mare per appagare la loro sete di sapere e avventura. Una relazione, quella tra l’uomo e l’acqua che dona linfa fresca alla cultura globalizzando anche i rifiuti di plastica, trasformati in opere d’arte di valore.
Donatella Zucca
“La riva è più sicura, ma a me piace combattere con le onde del mare” (Emily Dickinson), una visione, quella espressa da Dickinson, che, oltre a ragioni concrete, potrebbe avere mosso tutti i grandi navigatori. Già nel 2000 a.C. gli Egizi attraversano il mar Rosso per andare in Somalia a comprare incenso, mirra e olibano su barche in canne di papiro. Nel 2650 a.C. il faraone Senefru andò in Libano alla ricerca di legname, pur sapendo quanto fosse pericoloso mettersi in mare con quelle barche. Sin da tempi remoti, i protagonisti della navigazione sono spiriti irrequieti rapiti dalla magia del mare, dalla voglia di affrontarlo e dalla libertà. Tra loro il greco Pitea che, navigando verso Nord alla ricerca delle miniere di rame dei Celti, nel terzo millennio a.C arrivò al Circolo Polare Artico, viaggio cui dedicò il libro Oceano, ricco di testimonianze preziose. Popolo di navigatori, nel primo millennio a.C. i Fenici dominarono il commercio del Mediterraneo del Sud, favorendo lo scambio di merci e, con questo, di cultura, i Greci ne adottarono alfabeto e tradizioni religiose, gli altri paesi del Mediterraneo ne furono influenzati. Pare che il navigatore Annone, nel 470 a.C. per cercare l’oro, abbia passato lo stretto di Gibilterra, fondato colonie in Africa e lungo l’Oceano Atlantico, arrivando sino alla Sierra Leone, il Camerun e Gabon. Spingendoci più avanti, altri grandi navigatori furono i Vichinghi, con le loro barche dalla doppia prua. Dalla Scandinavia in due secoli estesero il loro dominio a tutta l’Europa e all’Asia, lasciando ricordi terrificanti delle loro scorrerie e, al tempo stesso, avviando un’evoluzione culturale. Attorno al primo secolo d.C, il loro sistema di scrittura apparve nelle terre dei Germani, in Britannia tra il V e il VII sec. d.C., produsse un’estensione dell’alfabeto a 32 simboli, nel IX sec d.C fu usato in tutta l’Europa, poi in Islanda e in Groenlandia.
Dopo le invasioni barbariche furono gli arabi a trasmettere la cultura greca all’Occidente, la Persia e l’India, arricchita da influssi della propria, in Europa, lasciando tracce evidenti nelle prime forme delle lingue nazionali. Furono sempre loro a far conoscere i sistemi d’irrigazione della terra e di fusione dei metalli. Mercanti, avventurieri e, soprattutto, navigatori che si spinsero fino alla Cina dai porti del Golfo Persico, facendo scalo nelle coste dell’India, poi nelle isole di Sonda, Sumatra e Giava sino a Canton in Cina. Ibn Battuta navigò nel Mar Rosso sino ad Aden, dove per la prima volta vide i serbatoi per acqua piovana, poi lungo il Volga sino a Bulghar e nel lago Aral. Marco Polo nel suo viaggio in Cina, (1271/1288) tra terra e tantissimo mare, fu colpito dalla grandezza delle giunche, in grado di portare sino a 300 uomini oltre alla merce, dalle loro paratie di protezione e le tecniche di costruzione. Il XV e XVI furono i secoli delle grandi scoperte e in particolare dei grandi navigatori portoghesi, Enrico Aviz, Alvise Cadamosto e Bartolomeo Diaz che arrivò a 800km dal capo di Buona Speranza. Doppiato poi da Vasco de Gama che raggiunse l’India nel 1498 e vi tornò altre due volte. Poco prima Cristoforo Colombo aveva scoperto le Americhe.
In questi secoli il mare degli Oceani diventa campo infinito di una corsa verso mercati sempre più lontani, generando una globalizzazione sempre più vicina a quella di un sistema capitalistico. Rosenstock- Hussey disse: “l’oceano che Cristoforo Colombo ha attraversato ha trasformato l’Europa in Occidente”. Grandi navigatori continuano a esplorare, sovvenzionati da chi spera in scoperte che potessero generare opportunità economiche. Nel XVI sec. Ferdinando Magellano circumnavigò la terra traversando l’Oceano Pacifico, furono però il 1600 e il 1700 i secoli delle scoperte. Nel 1642, Abele Tasman scoprì Tasmania e Nuova Zelanda, si accertò che l’Australia fosse un’enorme isola e vi tornò in cerca di oro, argento e spezie che non trovò. Nel 1722, l’olandese Jakob Roggeven scoprì le isole di Pasqua. Qualche anno dopo, il danese Johansen Bering fece costruire due navi per esplorare il mare nel punto più estremo della Russia, poi esplorò le coste polari e raggiunse l’Alaska. Tra il 1768 e il 1779 James Cook esplorò Australia e Nuova Zelanda, scoprì le Hawaii, attraversò per primo il circolo polare antartico e circumnavigò l’Antartide. Più o meno nello stesso periodo Louis Antoine Bouganville esplorò Tahiti e le isole del Pacifico. Il 19° secolo inaugura l’era dei Clipper costruiti da statunitensi e inglesi, una gara a chi aveva la velatura più potente cui parteciparono Francia, Olanda e, con successo l’italia.
Il resto è storia recente, quella del motore e dell’industrializzazione, delle imbarcazioni oceaniche da trasporto merci e passeggeri, di un nuovo grande mondo ormai interdipendente. L’epoca dei transatlantici, dei migranti politici ed economici, dei più poveri stipati nelle terze classi di navi espressione massima del lusso, della ricchezza e delle migliori tecnologie. Un mix di eccellenze manuali e intellettuali, proveniente da fasce sociali diverse che, una volta toccata terra, generava nuova cultura, nuovo sapere, nuova creatività. Tra i migranti, per lo più disperati, in mare trattati meglio di quelli odierni, che una volta sbarcati portarono la pasta, la pizza, la nostra cucina, attualmente la più apprezzata al mondo e la voglia di conoscere l’Italia. Oggi, gigantesche navi da crociera solcano i mari di tutto il mondo, regalando lusso e grandeur alla portata di tutti, simboli di grandezze individuali, i mega yachts esprimono le più sofisticate fantasie dei potenti economici e politici del mondo. Entrambi, includendo nelle loro esagerazioni forme avanzate di tecnologia, architettura, ingegneristica, arte e accoglienza. Le crociere, per la gioia di migliaia di persone di paesi diversi, ma in tutti e due i casi, animati dalla voglia di sognare, vivere realtà fuori dalla realtà, scivolando sull’andamento in divenire del mare. Del resto si sa, il mare scatena fantasia, creatività, voglia d’impressionare, trasmettere desideri ed estensioni del proprio io. Cleopatra per impressionare i romani, issava vele tinte con porpora fenicia, allora più costosa dell’oro, in realtà però era di più, si trattava di una civiltà che attraverso il mare andava a incontrarne un’altra e, indipendentemente dai grandi della terra d’allora, gli equipaggi avrebbe avuto contatti quotidiani col mondo romano, scambi di idee, conoscenze e saper fare.
La globalizzazione di oggi ha elementi simili, è fatta di contraddizioni, circolazione di merci, idee e persone, individui preparati e impegnati nel loro lavoro, disperati allo sbaraglio o in cerca di rifugio. Mai come oggi però, il mare è andato oltre il suo ruolo di grande spazio libero su cui raminghi, esploratori, mercanti, studiosi, guerrafondai e delinquenti viaggiavano da un continente all’altro, dapprima facendosi portare dal vento e le correnti, poi dal motore. Gli oceani giocano per la prima volta un ruolo attivo che va oltre le correnti, le maree o il moto ondoso: rimanda al mittente valanghe di ospiti indesiderati. I rifiuti di plastica convogliati dalle correnti in vari spazi marini, che famosi artisti raccolgono trasformandoli in opere d’arte pluripremiate, dando bellezza alla connessione del mare con gli errori umani e vita alla morte. Quasi che l’Oceano recuperasse un’anima pur essendo violato da migliaia di maxinavi cargo che quotidianamente trasportano circa il 90% del commercio internazionale, dall’estrazione dai suoi fondali di idrocarburi e minerali, da pesca intensiva e indiscriminata.
PAM LONGOBARDI & MARK DION La forza creativa del mare e il riciclo della plastica
“Credo che esista un’intelligenza generale della natura stessa e dell’oceano, come luogo in cui è iniziata la vita sulla terra e che potrebbe incarnare la massima coscienza creativa”, dice Pam Longobardi, artista, Eccellente Professore di arte alla Georgia State University e Artist-in – Residence della Società Oceanica, “considerare il mondo non umano una grande forza vitale intelligente, molto più antica di noi stessi, può insegnare molte cose”. Scienziata, artista, archeologa, ambientalista, Pam è autrice di istallazioni e sculture ottenute da rifiuti di plastica da lei stessa raccolti nell’ambito del suo The Drifters Project, rappresentato anche alla Biennale di Venezia 2009. Un lavoro di oltre 20 anni negli oceani del mondo coinvolgendo le comunità locali di Cina, Costa Rica, Grecia, Monaco, Panama, Indonesia etc. Promotrice della mostra-progetto Gyre – The Plastic Ocean, partecipato da noti artisti come Mark Dion, Alexis Rockman, Dianna Cohen, Sonya Kelliher-Combs, alle domande sul giudizio della critica, il valore artistico delle opere e il loro mercato, lei ha risposto: “Il lavoro nella mostra è stato accolto molto bene. La mia opera “Economies of Scale” e quella di Mark Dion “Mark Dion’s Cabinet” sono stati acquistati per i musei. Mark Dion è forse uno degli artisti viventi più importanti. L’intera mostra ha ottenuto un grande merito, io stessa per il mio lavoro ho ricevuto il Hudgens Prize, un premio di 50.000 dollari. L’intera mostra ha viaggiato per due anni in importanti musei e gallerie universitarie statunitensi”.
CYNTHIA MINET Sculture di plastica oceanica
Decisamente diversa la storia di Cynthia Minet che ha avuto in Italia l’idea di realizzare le sue opere con i rifiuti plastici, prima che raggiungessero il mare, e solo in un secondo tempo si è unita al gruppo degli artisti di Gyre – The Plastic Ocean. “Nel 2008 sono stata invitata a fare una mostra in una discoteca di Padova”, ci ha detto, “ che era proprio accanto a un impianto di riciclaggio e il curatore mi suggerì di utilizzare per le mie opere dei materiali di quella struttura. Tornata a casa, a Los Angeles, ho iniziato a lavorare alla serie Unsustainable Creatures, che combina la plastica riciclata con l’illuminazione a LED e nel 2013 ho ricevuto l’invito al progetto Gyre: The Plastic Ocean. Inizialmente, avrei voluto intraprendere il viaggio di raccolta della plastica che faceva parte del concept del progetto, ma non era possibile. La curatrice Julie Decker, invece, mi invitò a realizzare un’opera specifica per la mostra. Il mio lavoro a quel tempo si concentrava sugli animali domestici, così scelsi di ritrarre i cani da slitta, centrali per la mia comprensione dell’esperienza rurale dell’Alaska. Le sculture non sono realizzate con plastica oceanica, ma con quella di scarto nell’area di Los Angeles. I lavori puntano al problema dell’inquinamento da plastica negli oceani e quella nei tombini di Los Angeles ad ogni pioggia finisce nell’Oceano Pacifico. Le correnti poi la catturano e la fanno roteare in giro per il mondo nei vortici oceanici. Parte finisce sulle coste dell’Alaska, dove in alcune zone è profonda fino alle ginocchia. Mi piace pensare che usandola non finisca proprio tutta nell’oceano o in discarica”.
L’opera di Cynthia per il Gyre: The Plastic Ocean, compare nella prima edizione del 2014 all’Anchorage Museum, in Alaska, con l’istallazione Pack Dogs della serie Unsustainable Creatures. Cinque husky con personalità diverse che trainano una slitta, i cui Led colorati riprendono gli effetti dell’aurora boreale. Un insieme di grande effetto artistico, oltre che ambientale. “Prima di tutto sono artista”, ci tiene a sottolineare Cynthia, “tuttavia, vedo il mio lavoro come un messaggio importante. L’arte spesso può trasformare il modo in cui le persone pensano al problema, è una forma di seduzione. Io invito sempre a venire a guardare da vicino il pezzo, i colori sono belli e la forma convince, ma solo dopo aver osservato attentamente, si iniziano a notare i materiali, le bottiglie di Clorox, di detersivo, di shampoo. Dal momento in cui ci si rende conto che sono plastiche di scarto, la conversazione slitta sui messaggi ambientali che sono al centro del mio lavoro”.
Che valore di mercato hanno le tue opere e che tipo di acquirente?
“Vuoi conoscere i prezzi a cui vendo il mio lavoro? Si va da $ 5500 a $ 2000 per le singole sculture. Il più delle volte acquistate da collezionisti privati, ma molto più spesso commissionate ed esposte da contesti museali”.
Quanto dura il processo di trasformazione da rifiuto a opera d’arte e come avviene?
“A seconda delle dimensioni delle mie sculture, il completamento può richiedere fino a un anno. Comincio con disegni e maquette, studio anatomia e gesti degli animali che realizzo, e poi costruisco armature usando legno e PVC. Per gli elementi di fissaggio, utilizzo rivetti, viti, bulloni e fascette. Raccolgo plastica da cassonetti, negozi dell’usato, vicini e amici, la taglio con seghe a zig, coltelli per stuoie, seghe a nastro e cesoie di ogni dimensione, per rimuovere le etichette la immergo o la carteggio. A volte devo andare alla ricerca di particolari figure e forme, ma spesso visualizzo subito l’oggetto giusto. Per la slitta della serie Pack Dogs, un’amica mi chiamò dicendo d’aver trovato una vecchia barca in una strada di Glendale, in California, che poi ho tagliato e trasformato in una slitta. Un giorno, aprendo la porta ho trovato un sacco della spesa di carta contenente parti splendidamente colorate di una gabbia per criceti. Non ho mai saputo chi l’ha lasciata lì, ma è diventata una parte importante dei quarti posteriori dei cani da slitta. Per realizzare i Pack Dogs ho impiegato 7 mesi di duro lavoro”.
La Gyre: The Plastic Ocean si è tenuta perla prima volta da febbraio a settembre 2014 in Alaska, al Anchorage Museum, e ad Atlanta in Georgia, al Center for Disease Control Museum. Nel 2015 allo USC Fisher Museum di Los Angeles e nel 2016 alla galleria della San Jose State University.
Donatella Zucca
Giornalista e scenografa