BELLEZZA & GIARDINI
L’architettura emotiva che punta su piante e fiori
L’idea base è quella di creare un ambiente che pone al centro il benessere spirituale dell’uomo. Spazi in cui il verde è pensato per essere un bene comune, capace di elevare ed educare, con i fiori che attraverso il flower design e una nuova stagione di sculture e istallazioni, da decor diventano elementi attivi di un insieme
Donatella Zucca
“Credo che gli architetti debbano progettare giardini da utilizzare tanto quanto le case, per sviluppare senso di bellezza, gusto, inclinazione verso le belle arti e valori spirituali”. Luis Barragan, Pritzker Architecture Prize 1980.
Una visione addolcita del nuovo Razionalismo, in perfetta sintonia con gli attuali sviluppi dell’architettura: l’uomo e il suo benessere al centro, il progresso tecnologico al suo servizio, non in sostituzione. Un mondo in cui il paesaggista gioca ruoli importanti riconquistando spazi perduti nei contesti urbanistici e architettonici. Una rentrée de classe del verde pensata per essere un bene comune, capace di elevare ed educare, con i fiori che attraverso il flower design e una nuova stagione di sculture e istallazioni, da decor diventano elementi attivi di un insieme.
Andando indietro nel tempo, questa tendenza si ripropone a fasi alterne con formule diverse o in uscita da periodi rigorosi, o addirittura bui. A partire dal 1870, l’Inghilterra illuminò le austerità precedenti attraverso il rivoluzionario concetto di architettura domestica e interior design del movimento Art & Craft. Espressione di un’estetica in sintonia con le aspirazioni della nascente classe media, specialmente della Londra di Chelsea e il distretto di Bedford Park, descritta ampiamente dall’arte e la letteratura. Nel mondo di Oscar Wilde e non solo, ricorrono il rosso di tetti in cotto affogati nella vegetazione, tea time sul prato, giardini infiorati, roseti, sculture di arbusti e alberi dell’arte topiaria.
Nella Francia dei re, manifestazione di una grandeur di cui godevano principalmente i nobili e a cui altri paesi fecero riferimento. Comunque un’arte mutuata dall’Italia, predominante in tutto il Rinascimento e il Barocco, dove il verde assume forme e ruoli architettonici, accompagnato da giochi d’acqua, fontane, vasche e laghetti. Tra i suoi autori i grandi d’allora, Donato Bramante progettò il cortile del Belvedere in Vaticano, i Medici l’impianto del giardino di Boboli a Firenze, lo stesso Leonardo da Vinci nutriva interesse per la botanica e i giardini. Il cinquecento ci lascia quelli splendidi di Villa Doria Pamphilj a Roma e il seicento di Villa Pinciana, solo un paio di esempi tra il mare di bellezze che l’Italia offre su questo fronte, sin dall’impero romano. Non dimentichiamo che André Le Notre, dal 1637 capo giardiniere delle Tuileries, creò il giardino alla francese, elaborando quello all’italiana preesistente, disegnato da Caterina dei Medici. Nella Roma imperiale, la natura aveva ampi spazi dedicati nelle domus, sono famosi i giardini del generale Lucio Licinio Lucullo, inventore del giardino del piacere e primo importatore in occidente, dal Ponto e dall’Asia Minore, di piante allora sconosciute come il ciliegio e l’albicocco. In ogni parte del mondo, questa passione è un fenomeno tipico di momenti storici, economici e culturali gloriosi. Periodi spesso preceduti da altri più duri in cui, un lavoro continuo non sempre evidente, come nel Medioevo, o lotte sfociate in rivoluzioni, hanno contribuito a costruire, segnando svolte epocali. Senza andare troppo in là, negli anni di piombo, estremizzazione deviante di un movimento guidato dal motto mettete dei fiori nei vostri cannoni, gradevolezze come i giochi d’acqua delle fontane, i fiori e il verde di giardini e parchi furono violati, offesi, dimenticati. Il messaggio di quel motto però ha continuato a vivere, preparando un risveglio della bellezza e il ritorno dell’uomo al centro di ogni cosa.
Il verde nell’architettura e l’architettura del paesaggio oggi. La nouvelle vague verde è guidata da architetti paesaggisti che pianificano e gestiscono il suo inserimento negli esterni e interni di edifici, spazi urbani e strutture con intensi afflussi di persone. Antisignano di tutto questo, Patrick Blanc, biologo e botanico, creatore del muro vegetale e ricercatore del CNRS Centre National de la Recherche Scientifique, anni fa mi disse: “A seguito di studi sugli effetti di purificazione dell’aria dei muri verdi, è emerso che il loro maggior beneficio consiste nel permettere all’uomo di riappropriarsi della sua immagine naturale, attraverso l’armonia e la bellezza che trasmettono. Oltre la metà della popolazione mondiale vive in solitudine nelle città, perciò ne ha molto bisogno. Introdurre la natura negli spazi urbani e suburbani fa bene, ho fatto muri verdi anche nei sobborghi più poveri di Parigi e gli abitanti li hanno molto graditi”. I suoi muri sono ovunque nel mondo, dall’Acquario di Genova alla Fondation Cartier di Parigi, Les Halles di Avignone, le Galeries Lafayette a Berlino. Un po’ come è stato nel Rinascimento e poi ancora in altri momenti storici, oggi assistiamo a un fiorire di paesaggisti, architetti paesaggisti e grandi architetti per cui il verde e i fiori sono parte integrante dei loro progetti, elementi attivi di vari contesti, non solo accompagnamenti ornamentali. Famosa in tutto il mondo e studiosa delle loro proprietà terapeutiche nell’architettura, la paesaggista Kim Mikyoung, nel progetto The Pendulum dello Washington Dulles International Airport, incentiva i passeggeri a procedere con le sue pareti/sculture digitali e in resina lenticolare, che offrono immagini della natura in una lettura lineare e ciclica del tempo. nel settore, spiccano figure come Pablo Geaorgief, cofondatore nel 1999 di Coloco, un atelier di giardinieri praticanti, costituito da paesaggisti, architetti, botanici e artisti. Lo stesso vale per l’italiano Antonio Perazzi le cui opere verdi sono sparse nel mondo, dall’Europa alla Russia, l’India e la Cina. L’inghilterra rinnova la sua tradizione con figure come Christofer Bradley-Hole e il pluripremiato Cleve West, un vegano a oltranza che, nel suo studio di Hampton Wick, progetta giardini di città e di campagna. Di base a Londra dal 1994 ma senese di nascita, il paesaggista cinquantenne Luciano Giubbilei è uno splendido esempio d’italiano che si è fatto strada all’estero, eccellendo a livello internazionale.
Successo cui ha contribuito l’Inghilterra, per ricerca e studi nel settore il paese più attivo al mondo insieme al Giappone, il diploma alla Inchbald School of Design di Londra, l’esperienza al Great Dixter, un dialogo costante con artisti, architetti e stakeholder e, naturalmente, avere la Toscana nel Dna. Membro della Society of Garden Designers e della Royal Society of Arts, Luciano è il primo italiano ad aver ricevuto il Best in Show award, attualmente il premio più prestigioso nel design dei giardini. Tra i suoi progetti, i tre giardini per Laurent–Perrier, il terzo dei quali ha vinto il Best in Show, dei bellissimi giardini pensili a Ginevra, i Boltons e Addison Crescent a Londra eMorocco, un incredibile giardino sulle montagne dell’Atlante in Marocco.
LUCIANO GIUBBILEI Toscano nell’anima, inglese nello stile.
“Sono in Inghilterra da quasi 30 anni e gli studi li ho fatti qui, avevo provato in Italia, ma nei primi anni ‘90 era diverso”, risponde da Londra Luciano Giubbilei, quando gli chiediamo perché ha scelto l’Inghilterra, nonostante la grande tradizione italiana. “Nel settore ha una grande tradizione e, come il Giappone, una cultura molto progressiva a livello del giardinaggio, dei giardini e anche del modo di pensare, con importanti scrittori e giardinieri contemporanei. Comunque, senza prendere in considerazione e conoscere i principi del Giardino all’Italiana, è impossibile fare giardini. Noi siamo bravissimi nel modo in cui impostare la parte architettonica, nelle proporzioni, nell’uso dello spazio e in tante altre cose, storicamente siamo una grande scuola. Oggi però, penso che i giardini e i giardinieri inglesi, così come le culture inglesi e giapponesi riguardanti il settore, siano molto più avanzati. Pur essendo stati grandi nel passato guardano avanti, non solo alla tradizione”.
Quale è il tuo approccio al garden design?
“In ogni progetto c’è un’evoluzione. Specialmente negli ultimi dieci anni, in cui i giardini sono diventati più grandi e con tempi lunghi dal disegno a quando sono realizzati, è attraverso il dialogo col cliente, il posto e il luogo che prende forma la loro creazione. Un’evoluzione dell’idea mentre viene sviluppata: in quello che è sulla carta non c’è mai niente di scontato. I posti, la gente e ciò che è stato prima di noi sono fondamentali in quello che andiamo a fare”.
Il progetto Morocco. Perché l’Atlante e il Marocco, verde e fiori, distese di rose sotto gli ulivi, ma anche prato all’inglese, quasi per dare ordine allo spirito selvaggio della natura
“Si, un po’ si. Con Morocco uscivo dal contesto urbano di Londra e di giardini in spazi più limitati, molto verdi e molto architettonici, quindi non potevo più usare le stesse piante. Morocco dà grandi sensazioni, è espressione della semplicità delle piante attraverso un’idea di movimento e di ordine. Un’idea di come influenzare lo spazio dal punto di vista visivo, di sentirlo e far sentire il posto. Sin da bambino, ho sempre amato l’ordine, cercando però di esprimere anche la parte di me più selvaggia. Il giardino del Marocco mi ha dato questa possibilità e mi ha sorpreso per l’effetto raggiunto, è stato un po’ il trampolino di lancio per lavorare in Toscana, a Formentera e in altri spazi con piante a cui non avevo pensato prima. Questo è il terzo giardino fatto per la stessa famiglia della Nuova Zelanda, con cui sono in grande sintonia”,
Oltre ai colori, anche i profumi concorrono al lato sensoriale?
“Sì, ci sono siepi di gelsomino,12 mila rose di cui il Marocco ha una grande tradizione e 14 mila Pennisetum, una pianta abbastanza facile da coltivare, un particolare molto importante. Quando si fa un giardino si ha la responsabilità di chi se ne dovrà prendere cura, è uno spazio in movimento da una stagione all’altra e non si può sapere cosa succede alle piante se non le hai conosciute, piantate, curate. Tre anni fa sono tornato a vederlo ed era sempre molto bello, lo stesso vale per i giardini in Toscana o da altre parti”.
Cosa pensa di come gli archistar inseriscono il verde all’interno e all’esterno delle loro architetture?
“Io penso che, comunque, il giardino necessiti di cure, abbia suoi problemi ed evoluzioni, e che quindi bisogna fare molta attenzione a non guardare solo all’estetica. Nei muri verdi di Patrick Blanc, il creatore del verde verticale, c’è una cura e una sensibilità unica, credere che non ne abbiano bisogno è un grande malinteso, per loro è ancora più importante che per un giardino a terra. In ogni caso, non bisogna cedere a un modo commerciale di vedere le cose, nei mondi del lusso e del fashion, per esempio, si tende a pensare più al loro impatto. Progettare e realizzare un giardino è un discorso a lungo termine che va a far parte della vita”.
MARIO CUCINELLA Il contatto con la natura è ormai un must
Proprio in Toscana, le avveniristiche cantine Antinori Chianti Classico si confondono con la campagna e il verde è un elemento imprescindibile dei progetti di archistar come Renzo Piano e Stefano Boeri. Per Mario Cucinella Architects, sesto per fatturato nella classifica Guamari degli studi italiani di architettura e tra i più importanti d’Europa, integrare strategie ambientali ed energetiche nella progettazione è una mission. Il suo dipartimento di R&D effettua ricerche sulla sostenibilità con un approccio olistico, quello di Product Design, focalizzato sul riciclo e l’economia circolare, collabora con prestigiosi brand del Made in Italy. In sinergia con lo studio, la scuola SOS – School of Sustainability creata da Mario Cucinella, prepara giovani professionisti a sfide economiche, ambientali e sociali. Fondato nel 1992 e oggi di base a Bologna e Milano, lo studio è composto da oltre 100 professionisti, progetta ospedali, scuole, palazzi e luoghi pubblici in Europa, Cina, Africa, Medio Oriente, Sud America, di loro circa 50 sono work in progress. Solo a Milano ha firmato la Torre Unipol, il nuovo ospedale San Raffaele, la rigenerazione SeiMilano, a Vienna le torri del Prater, a Pechino il Sino Italian Ecological Building, a Ningbo il Centre for Sustainable Energy Technologies e a Gaza la Kuwait School, in partnership conla United Nations Relief and Works Agency per i rifugiati di Palestina e vicino Oriente. Insieme a Wasp (World’s Advanced Saving Project) ha dato vita a Tecla – Technology and Clay, il primo modello abitativo in terra cruda locale stampato in 3D. Un matrimonio tra l’elemento più antico della natura e le tecnologie avanzate che ha prodotto una casa sostenibile a km 0, realizzata in 200 ore di stampa, con 7000 codici di macchina (G-Code) e 60 metri cubi di materiale per un consumo medio sotto i 6KW. Unica realtà di progettazione italiana firmataria del “1,5°C COP26, Communiqué” di Architecture 2030, lettera aperta ai governi che mostra l’impegno a rispettare il piano d’abbassamento di 1,5°C dell’accordo di Parigi e invita a fare lo stesso.
GIULIA MARIOTTI L’architettura non è un’avventura estetica
“L’elemento verde è parte integrante dei nostri progetti o ne fa da cornice attiva”, Ci dice Giulia Mariotti, project leader di Mario Cucinella Architects e responsabile del progetto Parco Oltreferrovia di Carpi, più di 100mila mq di verde. “Cerchiamo sempre di entrare in armonia con l’ambiente attraverso lo studio della terra stessa”, continua, “in certi casi, coinvolgendo anche gli abitanti dei contesti che, attraverso il racconto della sua storia, partecipano alla realizzazione”.
Il ricercatore del CNRS Patrick Blanc, creatore del muro vegetale, sostiene che il suo maggior beneficio sia nell’armonia e la bellezza che trasmette all’uomo. Concorda?
“Armonia e bellezza sono importanti, ma è il tema delle piante e di come possiamo imparare da loro osservandole che interessa e influenza maggiormente il nostro lavoro. Come confermano il professor Stefano Mancuso e l’architetto Mario Cucinella nel libro Building Green Futures, per l’architettura, l’adattamento ai cambiamenti climatici, a cui le piante rispondono, è oggi cruciale. Solo se già a livello di progetto consideriamo l’empatia dell’edificio con l’ambiente, questo potrà utilizzare le risorse che gli offre. Purtroppo però, spesso l’architettura è vista come una manifestazione quasi artistica, comunicativa e prevalentemente estetica. Gli edifici però, essendo responsabili della qualità della vita di chi li abita, devono rispondere a questioni importanti in tema di emissioni e risparmi energetici, quindi è fondamentale costruirli in modo che permettano di viverli meglio”. In sintonia con quanto detto da Luciano Giubbilei, anche Giulia Mariotti sottolinea l’importanza dell’analisi climatica e del contesto in qualsiasi progetto. Considerando che nei loro hanno edifici che inglobano la natura come il Rettorato di Roma Tre o la Biblioteca Federiciana e altri che ne sono inglobati come le scuole di Pacentro e di Montebelluna, abbiamo chiesto qual sia il file rouge. “Potremmmo dire le persone”, ci risponde, “la progettazione degli spazi verdi spesso nasce dalla volontà di creare punti d’incontro che diano benessere a chi ne fruisce, in certi casi sono le comunità stesse a fornire informazioni importanti. Nel Rettorato di Roma Tre, si è dato particolare riguardo allo studio del verde, tramite caducifoglie sulle terrazze e un sistema di orti e patii a varie altezze. L’andamento più verticale della facciata, supporta la definizione di un microclima nella piazza urbana. Il giardino del rettorato ospita mini oasi con aceri policromi, piante aromatiche e prato. Nella Biblioteca Federiciana di Fano, l’architettura interna si snoda su terrazze a sbalzo, sospese e lievemente sfalsate, il cui filo conduttore è un allestimento del verde inteso come spazio pubblico in continuità con l’area esterna preesistente, il cui incipit è nel giardino d’inverno a piano terra. La Scuola di Montebelluna ha numerosi spazi verdi, come il giardino, dotato di aree boscate e di un orto didattico, il cortile centrale e il piazzale d’ingresso. Spazi pensati per diventare una prosecuzione dell’ambiente circostante naturale e urbano. L’ispirazione della Scuola di Pacentro nasce dalla forma del cerchio, una piazza che accoglie e protegge, simbolo d’uguaglianza che mette l’uomo a contatto con l’infinito. Un’architettura circolare in parte nascosta dal terreno, con alberi e giardini, spazi concepiti insieme che invitano allo scambio. Una parete vetrata continua, con infissi che propongono la trama del bosco, farà da filtro tra costruito e natura.
Cosa ci dice di TECLA?
“È il primo prototipo di abitazione eco-sostenibile stampata in 3D, disegnato da Mario Cucinella Architects, ingegnerizzato e realizzato da WASP. Dal mix-design della miscela di terra cruda e la composizione degli strati della struttura a cupola, allo studio dei parametri ambientali per adattarla a qualsiasi clima, nulla è stato lasciato al caso. Ispirato a una delle città invisibili di Italo Calvino, il suo nome evoca il legame tra passato e futuro, nello specifico, materia e spirito di antiche dimore con le tecnologie di oggi. La composizione della miscela di terra risponde alle condizioni climatiche locali e il riempimento dell’involucro è parametricamente ottimizzato per bilanciare la massa termica, l’isolamento e la ventilazione a seconda delle necessità imposte dal clima. La costruzione è costituita da due elementi continui che, attraverso un segno fluido ininterrotto, culminano in due lucernari che veicolano la luce zenitale. La sua forma, dalla geometria di insieme alle creste esterne, ha permesso l’equilibrio strutturale della costruzione nella fase di stampa 3D dell’involucro e completare la copertura.
Nel vostro team avete chi si occupa solo del verde o valutarne la presenza rientra nel campo di azione di ognuno?
“Ognuno ha il proprio ambito di competenze, per questo nei nostri progetti coinvolgiamo grandi professionisti del paesaggio che entrano a far parte del team e con cui spesso instauriamo sodalizi creativi duraturi”.
Donatella Zucca
Giornalista e scenografa