CROMATISMO
Il colore blu nel tempo, l’incontro tra luce e materia
Attraverso i secoli, il blu è sempre stato visto come il colore della transizione, “la porta verso l’altra dimensione”, il colore che esprime una sfera superiore, elevata e divina della dimensione umana. Ma la sua storia non è solo intrisa di fascino e magnetismo. C’è anche tanta tecnica e innovazione in un percorso ricco di diverse sfumature
Beatrice Laurora
Vicino ma irraggiungibile, il blu è il colore dell’uccello azzurro di Bukowski, del cammino interiore, del viaggio del bambino che diventa uomo, dei capelli turchini di una fata… È il colore della spiritualità e della distanza spaziale che richiama ad aspetti non terreni. Attraverso i secoli, il blu è sempre stato visto come il colore della transizione, “la porta verso l’altra dimensione”, il colore che esprime una sfera superiore, elevata e divina della dimensione umana. Nella sua teoria emozionale dei colori Kandinskij scrisse “la vocazione del blu alla profondità è così forte, che proprio nelle gradazioni più profonde diviene più intensa e intima; quanto più il blu è profondo, tanto più fortemente richiama l’uomo verso l’infinito..” Nel passato non esisteva neppure una descrizione del blu tanto che Omero, nella sua Odissea quando parla dell’oceano, lo descrive come un “mare rosso vino”. Forse perché, come sostengono alcuni scienziati gli uomini primitivi erano daltonici, e non avevano quindi la capacità di riconoscere questo colore, di conseguenza il concetto di blu per molto tempo non è esistito Ma la storia del colore blu non solo è intrisa di un fascino suggestivo legato alla sfera dello spirituale ma parla anche di commercio, innovazione tecnologica e qualche colpo di fortuna. Vediamo
IL BLU EGIZIO Gli antichi egizi furono i primi in assoluto a sperimentare con successo delle tecniche per ottenere un pigmento sintetico permanente, il blu egiziano, che divenne un bene di valore e fu commercializzato in tutti i Paesi del Mediterraneo. Noto con diversi nomi come Blu Pompeiano, Blu di Pozzuoli, Blu d’Alessandria, il Blu Egizio è stato usato sino alla fine del periodo romano. Poi, cadde in disuso e venne impiegato più raramente. Il colore del Blu Egizio può variare da un blu più scuro e carico a uno più chiaro a seconda della dimensione delle particelle che lo costituiscono: grani più piccoli donano un colore più chiaro e grani più grandi uno più scuro. Colore intenso ed opaco, il blu egiziano era usato per decorare vasi, statue e pareti. Fu inventato scaldando minerali contenenti rame, calcio e sabbia, fusi a circa 1600 gradi. Il risultato era una sostanza vitrea che veniva addensata con l’albume d’uovo al fine di ottenere una vernice o una glassa duratura. Un pigmento che ha attraversato la storia e per la cui preparazione esistono numerose ricette, ma l’importante è non confonderlo con l’azzurrite, che è insolubile. Il popolo del Nilo lo teneva in grande considerazione associandolo al cielo e all’acqua come simboli di vita e rinascita. Nell’epoca odierna, gli scienziati hanno scoperto che il blu egiziano si illumina sotto luci fluorescenti, ad indicare che il pigmento emette radiazioni infrarosse. Questa scoperta ha reso molto più facile per gli storici identificare il colore su antichi manufatti, anche quando non è visibile ad occhio nudo.
IL BLU OLTREMARE Il prezioso lapislazzuli, da sempre molto usato in gioielleria, è composto da un accumulo di minerali, tra cui prevalentemente lazurite.Il colore blu della lazurite è più intenso quando c’è una maggiore quantità di anioni di zolfo. Di solito è descritto come un blu intenso in un blu grigio. Nella sua varietà blu scuro, è assente lo zolfo. Nelle pietre di migliore qualità, il colore è uniformemente distribuito, ma generalmente il lapislazzuli è macchiato. Per lungo tempo, tutto il lapislazzuli presente in Europa proveniva dalle montagne dell’Afghanistan. Solo nel VI secolo d.C., in Asia, fu scoperto il lungo e complesso processo per trasformare il lapislazzuli nel pigmento blu oltremare. La tecnica, complessa e difficoltosa, che consentiva di trasformare la pietra in pittura, non era stata ancora scoperta: il lapislazzuli era duro e difficile da macinare, e se non venivano rimosse le impurità, il risultato era un colore spento e grigiastro. Le prime tracce del suo utilizzo si trovano in Siria, Palestina, Egitto e solo intorno all’epoca medievale fu trasportato in Europa attraverso le rotte navali, da qui l’etimologia del suo nome: oltre il mare. Il costo del trasporto, le difficoltà di estrazione e la piccola quantità di pigmento ricavato lo resero il colore più raro e costoso dell’arte medievale e rinascimentale. Era considerato più prezioso dell’oro e solo pochi privilegiati potevano permetterselo, infatti era di solito riservato solo alle commissioni più importanti, quasi sempre di carattere religioso. Si impose come «il più perfetto di tutti i colori». Il colore più associato alla Vergine Maria fu l’oltremare, usato per le vesti. Durante il Rinascimento, il suo impiego toccò il massimo splendore e lo ricordano anche il maestoso sfondo della Cappella Sistina ad opera di Michelangelo e i dipinti del Beato Angelico. In caso di necessità, i pittori ripiegavano sul lazurite, magari stendendo poi un velo sottilissimo di oltremare, come faceva per esempio Raffaello. Altri lo usavano soltanto puro, come Tiziano e come l’olandese Vermeer che, si racconta, mandò in rovina la famiglia per farne scorte a sufficienza. Pare anche che Michelangelo avesse lasciato incompiuta la Deposizione di Cristo nel sepolcro perché non poteva permettersi di acquistare l’oltremare per completarlo.
IL BLU DI PRUSSIA Scoperto un po’ per caso e un po’ per errore nel laboratorio di un chimico a Berlino, il blu di Prussia ha rivoluzionato la palette dei pittori, come racconta Benjamín Labatut nel libro Quando abbiamo smesso di capire il mondo. Diesbach stava cercando di replicare il colore carminio, che si otteneva triturando migliaia di esemplari femmina di cocciniglia, un insetto infestante del Messico. Egli aggiunse al sangue dell’animale sale di potassio e ottenne invece un blu scuro e splendente quanto il blu oltremare. Colore intenso, ben lontano dall’ingente costo dell’oltremare, Canaletto lo impiegò per i cieli delle vedute di Venezia. Una grande opera in cui venne utilizzato è La sepoltura di Cristo, dipinta nel 1709 dall’olandese Pieter van der Werff, ma il blu di Prussia è più famoso per l’uso che ne fece Pablo Picasso nel suo periodo blu e il giapponese Hokusai nella Grande onda di Kanagawa e in alcune xilografie delle 36 vedute del Monte Fuji.
IL BLU COBALTO Nel Medioevo, il vetro blu era prodotto con il cobalto. Nel 1802 i chimici lo combinarono con l’allumina per creare un pigmento blu luminoso, puro. In Cina, il cobalto è stato il pigmento scelto per gli iconici modelli di porcellana blu e bianca emersi nella regione. L’invenzione del blu cobalto aprì la strada all’esplosione di colori vivaci e di creatività che caratterizza i dipinti impressionisti e post-impressionisti. Era uno dei colori preferiti di Renoir, Monet, Morisot, Sisley e Cézanne in particolare. Alla National Gallery sono presenti numerosi esempi di dipinti del XIX secolo caratterizzati dal blu cobalto. Uno è La Yole di Renoir, che raffigura una barca sulla Senna, appena fuori Parigi; Renoir ha accostato il vivace blu cobalto del fiume all’arancione acceso della barca, così entrambe le tonalità appaiono molto più brillanti. L’altro è Coucher de soleil sur la neige à Lavacourt di Monet. Trattandosi di una scena innevata, ci si aspetterebbe il bianco: l’artista, invece, ha usato il blu cobalto per creare un’ampia serie di ombre per la neve, che acquista così un aspetto più autentico. Il blu cobalto è talvolta chiamato blu Parrish perché l’artista Maxfield Parrish lo ha usato per creare i suoi skyscap distinti, intensamente blu. Dal blu cobalto a partire dal 1850 nasce il blu ceruleo che si crea aggiungendo al primo ossidi di stagno. Gli impressionisti ne amavano la tonalità fresca, tendente al tuchese, usata per l’acqua nei dipinti. Poiché tuttavia, si credeva che nel tempo si deteriorasse, dopo il 1890 la diffusione scemò.
IL BLU ODIERNO Oggi il blu è più di un semplice pigmento; è un sentimento, un mood. Il blu favorisce il contatto con le verità interiori, quasi un tuffarsi nella grande voragine del nostro vissuto più intimo, è un momento di saggezza. In natura non ci sono cibi decisamente blu; possono essere un blu violaceo, ma non completamente blu. Il blu, infatti, non è un colore che stimola l’appetito, al contrario, chiude lo stomaco, proprio come in quei momenti di tristezza in cui ci sentiamo di voler restare soli con noi stessi, lontani dagli altri. La natura ci offre l’arancio come colore complementare del blu, proprio nei periodi dell’anno più blu. Dalla natura stessa, impariamo che tutto cambia, tutto si trasforma e il nostro sentirci blu oggi è un riprendere contatto con noi stessi, con le nostre verità segrete, per rifiorire domani nell’arancio e nel giallo…forse per questo, seppur il più freddo per antonomasia, in verità, il blu è il colore più caldo. Forse perché, il blu è vita.
Blu come il cielo, come il mare, come la notte.
Blu come l’infinito tra la quiete e la meraviglia, il sogno e la pace.
Blu come il tempo che passa,
Blu come la malinconia che ti prende quando guardi dalla finestra il temporale che sta andando via.
Beatrice Laurora
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