INTERVISTA
MASSIMO RANIERI L’energia inesauribile di un artista senza tempo
Dagli inizi nel Pallonetto di Santa Lucia al palcoscenico dei più grandi teatri, Massimo Ranieri racconta a ArteCultura Magazine la disciplina, il coraggio e l’amore che hanno modellato la sua carriera. Un viaggio tra ricordi, maestri, silenzi che commuovono e sogni che, ancora oggi, continuano a volare.
Interprete, attore, regista, cantante, ballerino e pure ginnasta. È senza dubbio il più grande artista italiano, il piu completo. Il suo percorso, le sue radici e l’energia che continua ad animare il suo mestiere: Massimo Ranieri.
Massimo, lei è considerato un artista “totale”: canto, recitazione, danza, teatro. Qual è il segreto per mantenere viva questa completezza artistica dopo tanti anni di carriera?
«Il segreto? Non è un segreto, è un mestiere fatto di passione, studio e un’enorme voglia d’imparare. Dopo tanti anni continuo a sentirmi un allievo. Ogni giorno c’è qualcosa da scoprire: una sfumatura nella voce, un movimento più vero, un’emozione da restituire meglio. Finché resta la fame – quella buona – l’artista vive. E io quella fame me la porto dietro da quando ero bambino».
Il suo pubblico abbraccia generazioni diverse: dai fan storici ai più giovani che la stanno scoprendo ora. Cosa crede che colpisca ancora oggi del suo modo di stare sul palco?
«Credo che arrivi una cosa molto semplice: l’amore che ho per questo mestiere. Io sul palco non mi rilasso mai, non mi concedo il minimo. Do tutto, sempre. Il pubblico questo lo avverte: sente che non sto facendo un compitino, ma che sto dando un pezzo di vita. E poi… il loro affetto è benzina pura. Mi carica, mi commuove, mi costringe a migliorare. È un dialogo: loro mi danno e io ridò».

Massimo Ranieri © Giuseppe Cabras – New Press Photo
I suoi spettacoli sono un concentrato di energia, disciplina, emozione. Come riesce a rinnovarsi continuamente, mantenendo la stessa intensità dopo tanti anni?
«Per me il punto di svolta è stato l’incontro con Giorgio Strehler. Era il 1981: un periodo difficile, duro, quasi spaventoso per me. Entrare nel suo mondo era come entrare in una foresta fitta, e io non sapevo se ne sarei uscito. Ma mi ha dato tantissimo. Mi ha insegnato la disciplina totale, il rispetto del palcoscenico, la profondità del gesto. A lui devo molto di ciò che sono oggi. E quando porti un maestro così nel cuore, ogni sera diventa un nuovo inizio».
Lei ha interpretato ruoli memorabili e attraversato cinema, teatro, musica, televisione. C’è un momento o un personaggio in cui sente che Massimo Ranieri ha davvero incontrato se stesso?
«Ci sono tanti momenti, ma forse quello più “mio” non è un ruolo, è un periodo: quello in cui ho capito che la fatica della mia infanzia era diventata una forza. A sette anni facevo il vinaio in una grotta-cantina, portavo i quartini agli operai con la busta di carta in testa. Prendevo 200 lire a settimana. A casa eravamo in dieci in una stanza: una cucina e un cesso – sì, lo chiamo così – perché quello era. Mamma ci lavava nella bagnarola. E poi c’era il ponte di Castel dell’Ovo… non sapevo nuotare e mi mettevano lì a cantare, mentre gli amichetti raccoglievano i soldini lanciati nell’acqua. Cantavo per bisogno, per fame. Non avevo sogni: la sera ero troppo stanco per sognare. Quando ripenso a quel bambino capisco la radice di tutto. Lì ho incontrato l’uomo e l’artista che sarei diventato: uno che non molla mai».
Oggi torna in tour con “Tutti i sogni ancora in volo”. Cosa rappresenta per lei questo nuovo viaggio artistico?
«È un ritorno e allo stesso tempo un nuovo salto nel vuoto. Ogni spettacolo è una vita a sé: una sfida, una promessa al pubblico e anche a me stesso. “Tutti i sogni ancora in volo” non è solo un titolo: è un’idea, un invito. Non importa l’età, il percorso, le fatiche: i sogni vanno fatti volare finché si ha fiato. E io, per fortuna, ne ho ancora molto».
La sua storia personale è fatta di sacrifici, coraggio e riscatto. Quanto di quel bambino del Pallonetto di Santa Lucia vive ancora nell’artista che il pubblico vede oggi?
«Quel bambino è ancora tutto lì, dentro di me. Non se n’è mai andato. È lui che mi ricorda ogni giorno da dove vengo, perché devo lavorare duro e perché non devo montarmi la testa. Senza quel bambino non avrei avuto la forza di affrontare certe sfide. Quando salgo sul palco, è come se lo prendessi per mano e gli dicessi: “Hai visto dove siamo arrivati?”».
Nel suo percorso ha collaborato con maestri, registi, musicisti straordinari. Chi sente di avere nel cuore quando sale sul palco?
«Li sento tutti. Strehler, prima di tutto, ma anche gli insegnamenti di mille incontri: artisti, tecnici, musicisti, persone che mi hanno detto una parola al momento giusto. Non è solo il grande maestro a formarti; è anche l’operaio del teatro che ti dice: “Massimo, oggi hai il passo un po’ corto”. Io porto con me un coro di persone. Ogni sera, in qualche modo, salgono sul palco con me».

Massimo Ranieri (© Giuseppe Cabras-New Press Photo)
Molti giovani artisti la citano come esempio. Che consigli darebbe a chi sogna di vivere di musica o di teatro?
«Direi tre parole: disciplina, umiltà, coraggio. Il talento è importante, ma non basta. Bisogna studiare, sudare, ascoltare. E non bisogna avere paura di sbagliare: l’errore è un maestro severo ma sincero. E poi: amate questo mestiere. Amatelo profondamente, anche quando vi farà male. Sarà l’amore a portarvi avanti, non la fama».
C’è un momento del suo spettacolo che considera il più emozionante per lei?
«Sì: il silenzio. Quel silenzio denso, pieno, in cui senti che il pubblico è lì con te, che respira con te. È un attimo che dura niente, ma vale una vita. In quei secondi capisco perché faccio questo mestiere: perché quel silenzio è amore puro».
Se potesse parlare al Massimo di vent’anni, cosa gli direbbe?
«Gli direi: “Vai avanti, non avere paura. Le botte arriveranno e ti serviranno tutte. Non scoraggiarti quando ti sentirai solo, perché la vita ti restituirà tutto con gli interessi. E soprattutto non perdere la meraviglia: quella ti salverà sempre».
Massimo Ranieri sarà a Firenze, i lunedì 24 novembre alle ore 21 al Teatro Cartiere Carrara.
(In apertura PRESSPHOTO Firenze, Massimo Ranieri a La Nazione. Marco Mori/New Press Photo)
“Quando salgo sul palco, è come se prendessi per mano quel bambino e gli dicessi: hai visto dove siamo arrivati?”


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