INTERVISTA
DACIA MARAINI “La mia bambina che vola è una fiaba sulla libertà interiore”
Nel suo nuovo romanzo La bambina che vola, Dacia Maraini intreccia racconto e spiritualità per riflettere su libertà, giustizia e memoria. In questa intervista ad ArteCultura Magazine la scrittrice italiana racconta il valore dell’immaginazione, il rapporto con i giovani lettori e il potere della scrittura come strumento di consapevolezza, resistenza e dialogo tra le generazioni.
“È una strana bambina che in certi momenti sembra un angelo, in altri una farfalla, un bruco, un’ape. Il suo volare verso il cielo ne fa una interlocutrice curiosa e bizzarra su cui si basa la favola che ho scritto”. Dacia Maraini- gli occhi sempre più azzurri, l’incarnato perfetto, il sorriso generoso – la più grande scrittrice italiana, amatissima dai giovani, si misura con un altro romanzo, grande successo editoriale. Le sue parole mai banali, né scontate sono riferimenti e non solo per la cultura italiana contemporanea: scrittrice, poetessa e drammaturga, è nata nel 1936 a Firenze. Conosciuta e apprezzata da tutti per il suo importante impegno civile e anche femminista, sempre dalla parte dei più deboli, ha affrontato nei suoi scritti temi come la condizione della donna, la libertà e la giustizia sociale. Solo per ricordarlo, è autrice di romanzi celebri come La lunga vita di Marianna Ucrìa e Bagheria, ha ricevuto un numero ormai imprecisato di premi letterari che ha sempre accettato quasi con sorpresa. E anche questa sua cifra dolce e sempre un po’ imbarazzata dai riconoscimenti – che pare non aspettarsi – va ad aggiungersi ai motivi per cui è da sempre così amata e seguita.
Dacia: nel suo nuovo libro “La bambina che vola” (Rizzoli) si intrecciano temi come l’infanzia ferita, la giustizia, e la memoria. Da dove nasce l’esigenza di raccontare questa storia? C’è un episodio reale che l’ha ispirata?
“La storia nasce da una richiesta della casa editrice che ha impostato una collana su dieci scrittrici che raccontano a modo loro i dieci comandamenti. Io mi sono presa il compito di raccontare a modo mio, e cioè con una fiaba, il primo dei comandamenti: “Io sono il tuo Dio, non avrai altro Dio all’infuori di me. Parto dal principio che l’amore non si può imporre. L’amore per Dio è una cosa bellissima, preziosa, ma deve essere spontaneo e non imposto. Nella fiaba c’è una ragazza che fabbrica giocattoli per i bambini intagliandoli nel legno. Uno di questi giocattoli, una bambola. Improvvisamente comincia a parlare e questo la mette in contatto col cielo”.

La bambina che vola
Come si sviluppa il rapporto tra la protagonista e la figura adulta che l’accompagna nella narrazione? Cosa ha voluto dire sulla fiducia e sulla possibilità di rinascita?
“La giovane intagliatrice di giocattoli ha come assistente una donna centenaria che è bravissima a cucire le piccole vesti per le bambole intagliate. Ma anche lei è una creatura fiabesca e le fiabe non si spiegano, bisogna lasciarsi incantare dai personaggi e farli giocare con la nostra immaginazione”.
Nel romanzo si percepisce un’attenzione psicologica e sociale. Quanto è importante per lei, oggi, dare voce ai più fragili attraverso la letteratura?
“Oggi il tema principale dei romanzi che vengono pubblicati è la crisi della famiglia. Uno degli autori più votati tra i 5 che saranno presentati al premio Strega, Andrea Bajani, racconta di una famiglia, la sua, in cui la madre era vittima di un padre violento. Il figlio ragiona da adulto su quella violenza e si chiede perché la madre non ha mai denunciato il padre. Bajani prende di petto una realtà molto attuale e credo che abbia fatto bene a puntare lo sguardo su una questione così scottante con un lungo e appassionato racconto”.
Lei ha sempre avuto una sensibilità speciale verso le figure femminili emarginate. In questo libro, come si è evoluto il suo sguardo rispetto alle bambine e alle donne di ieri e di oggi?
“Non si tratta di un libro realistico. Non parlo delle bambine di oggi, ma di una immaginaria bambina che, come Pinocchio, nasce da un pezzo di legno e prende di parlare con Dio”.
Dacia lei incontra moltissimi giovani nelle scuole e nei festival: che impressione ha delle nuove generazioni? Sono davvero così lontane dai libri come spesso si dice?
“Purtroppo, molti giovani, soprattutto maschi, non leggono. Sono presi dai social e credono che si possano trovare tutte le informazioni con un clic sul cellulare. Non si rendono conto che si tratta spesso di false notizie e soprattutto che il tono che aleggia nei social è becero, superficiale quando non proprio delinquenziale. L’atteggiamento verso le donne, per esempio, è spesso vicino alla pornografia. Non avendo altre forme di informazione finiscono per adeguarsi a quel linguaggio e quella visione del mondo. Si tratta in realtà di una minoranza perché ci sono anche tantissimi ragazzi e soprattutto ragazze che amano leggere e studiare e approfondire, ma è una minoranza che fa tendenza e finisce per influenzare l’opinione pubblica”.
Quali sono le domande o le riflessioni che le fanno più spesso i ragazzi? C’è qualcosa che l’ha colpita o sorpresa in particolare?
“I ragazzi spesso mi chiedono come si diventa scrittori. Pensano che ci sia dietro un disegno di tipo strategico. Come se uno facesse dei piani a tavolino decidendo per un futuro di facili successi e di molti soldi. Invece si diventa scrittori perché si ama leggere e scrivere e la vita di chi scrive non è facile. Tanti scrivono e pochissimi guadagnano coi loro libri. Infatti, tutti gli scrittori hanno un altro mestiere: insegnanti, giornalisti, editori, e tanto altro. Di solito è così”.
Pensa che i giovani oggi abbiano ancora fiducia nella scrittura come forma di espressione e resistenza?
“La scrittura non può cambiare il mondo, ma può creare consapevolezza e in questi tempi di confusione è molto importanti mantenere qualche forma di consapevolezza e spirito civile”.
Come reagiscono i giovani alla lettura dei suoi romanzi? Riescono a ritrovarsi nei temi che tratta, anche quando parlano di altre epoche o contesti?
“Non lo so. Molti, soprattutto i ragazzi non leggono e quindi non hanno nessuna reazione. Altri, quelli che leggono, di solito sono interessati ai miei temi civili e sociali e storici”.
Che consiglio darebbe a un giovane che sogna di scrivere, ma teme di non avere voce o spazio nel mondo di oggi?
“Prima di tutto consiglierei di leggere molto, tanto. Bisogna essere immersi nella letteratura sia classica che attuale per formarsi un’idea di cosa voglia dire scrivere. E poi scrivere molto. Ma non c’ è bisogno di pubblicare subito. Si scrive prima di tutto per sé stessi, magari anche un diario e poi si comincia a mandare qualche pezzo alle riviste. Ce ne sono nate in rete e hanno bisogno di materiale”.
Se potesse lanciare un messaggio a una “Bambina che vola” di oggi, cosa le direbbe attraverso la sua letteratura e la sua esperienza di donna e scrittrice?
“A una bambina capace di volare direi di non scoraggiarsi per il tono aggressivo che trova sui social. Anzi consiglierei proprio di abbandonare i social e dedicarsi a leggere un libro. I social sono come i telegrammi: concisi e utili per la vita pratica, ma se uno vuole riflettere e andare in profondità non lo può fare con un telegramma. Deve affrontare un libro”.
“La scrittura non può cambiare il mondo, ma può creare consapevolezza e in questi tempi di confusione è molto importanti mantenere qualche forma di consapevolezza e spirito civile” (Dacia Maraini)

Giornalista