INTERVISTA
ANDREA RIZZOLI Dall’eredità familiare alla forza della scrittura
Autore televisivo e scrittore, Andrea Rizzoli racconta ad ArteCultura Magazine come l’eredità di una famiglia che ha segnato la cultura italiana, si intrecci con la sua vita dietro le quinte. Tra Forum, collaborazioni importanti e un libro intimo sulla madre Eleonora Giorgi, la scrittura diventa necessità, memoria e futuro.
Figlio d’arte per definizione, Andrea Rizzoli porta nel suo nome e nel suo vissuto due storie che hanno segnato la cultura italiana. Da una parte il padre, Angelo Rizzoli, editore che ha legato il proprio cognome a una delle case più importanti dell’editoria e della televisione del Novecento; dall’altra la madre, Eleonora Giorgi, attrice iconica del cinema italiano, amata dal pubblico per la sua intensità e il suo carisma. Due figure diversissime, due mondi lontani che hanno finito per incidere profondamente anche sulla sua identità. Andrea, però, non ha mai cercato la ribalta dei genitori: ha scelto la scrittura, il lavoro dietro le quinte, l’autorialità televisiva. Oggi è tra i volti — invisibili ma fondamentali — di Forum, storica trasmissione di Mediaset, e ha firmato fiction, programmi, collaborazioni con grandi protagonisti della cultura, da Oliviero Toscani a Barbara Palombelli. Poi, quasi per necessità più che per ambizione letteraria, è arrivato il libro, Non ci sono buone notizie (Piemme), memoir che racconta l’ultimo anno di vita della madre e che gli è valso il premio Stenterello a Firenze. «Scrivo perché non posso farne a meno. In tv o in un libro, racconto storie», dice.

Andrea Rizzoli con la madre Eleonora Giorgi
Lei è autore televisivo da tanti anni. Come descriverebbe il suo lavoro a chi non lo conosce?
«Un autore è un artigiano invisibile. Siamo noi a costruire l’ossatura dei programmi: scriviamo, organizziamo, cuciamo addosso ai protagonisti i contenuti. È un lavoro collettivo, che può sembrare caotico ma che permette di trasformare un’idea in racconto. In tv non ci sei tu in primo piano, ci sono il conduttore e il produttore, ma dietro c’è sempre la scrittura. È quella la materia prima».
Oggi è parte del team di Forum. Che esperienza è?
«Un’esperienza straordinaria. Barbara Palombelli è una professionista da cui si impara tantissimo. È colta, informatissima, curiosa. Ogni puntata riesce a sorprenderti con un aneddoto o una riflessione che calza a pennello sul caso in discussione. È autorevole senza mai essere autoritaria, ed è una qualità rara. Con lei il lavoro è stimolante, non si smette mai di crescere».
Prima di Forum ha firmato altri progetti importanti.
«Ho lavorato per anni con Oliviero Toscani, sono stato coautore di fiction con autori di grande livello e ho avuto la fortuna di muovermi in ambienti molto diversi. Questo mestiere si impara osservando, rubando con gli occhi, ascoltando chi è più bravo di te. Non c’è un manuale: è bottega, è apprendistato continuo».
E poi c’è la scrittura del libro, Non ci sono buone notizie, premiato a Firenze con lo Stenterello.
«È stato un riconoscimento bellissimo, inaspettato. Quel libro non nasce per piacere o per vendere, nasce come diario personale, come tentativo di mettere ordine in un anno difficile. Non è mai stato pensato come un bestseller: per me scrivere è un’urgenza, una necessità, non un calcolo. Credo ancora nel valore della critica, del giudizio dell’altro, più che nei numeri delle copie».
Che differenza ha trovato tra scrivere per la tv e scrivere un libro?
«La tv è squadra, è un ingranaggio in cui ogni pezzo conta e tu lavori con gli altri per far funzionare tutto. Il libro è solitudine, confronto con te stesso, è silenzio. Ma in entrambi i casi il nucleo è lo stesso: raccontare storie. Che siano i casi di Forum, una fiction o la malattia di mia madre, cambia la forma, ma non la sostanza».
Chi è Andrea Rizzoli, fuori dal lavoro?
«Sono una persona molto normale. Non ho mai inseguito la popolarità a tutti i costi. La mia vita privata è riservata: sono sposato con una ragazza di 34 anni, stiamo insieme da otto. Sono pesci ascendente cancro, acqua e famiglia: questa è la mia bussola. E poi c’è la bicicletta, la mia passione. Anche se, sulle strade italiane, a volte sembra che i ciclisti debbano difendersi dagli automobilisti più che pedalare serenamente (ride)».
E arriviamo al libro. Nonostante il titolo, lei lo definisce «un anno bellissimo» per sua madre.
«Sì, perché nonostante la malattia, lei è riuscita a vivere quell’anno con una forza e una vitalità incredibili. Ha affrontato tutto con il suo humor nero, con intelligenza, con la capacità di sorridere anche davanti all’inevitabile. Per me scrivere è stato un modo per accompagnarla, per tenere traccia di momenti che altrimenti sarebbero sfuggiti. Abbiamo guardato insieme gli aironi fuori dalla finestra, abbiamo riso di meme crudeli che la riguardavano, abbiamo condiviso persino il gusto di un piatto di salmone quando ormai non riusciva più a mangiare quasi nulla. Sono ricordi che mi restano scolpiti».

Eleonora Giorgi con i suoi due figli Andrea Rizzoli e Paolo Ciavarro
Che madre è stata Eleonora Giorgi per lei?
«Una madre amatissima, non solo da me ma da chiunque l’abbia incontrata. Una donna intensa, passionale, capace di regalare affetto e di farsi voler bene. Il nostro legame era fortissimo, quasi un cordone ombelicale che si era riattaccato. Anche nei momenti di conflitto — perché ci sono stati, soprattutto intorno al libro, quando avrebbe voluto che non pubblicassi certi passaggi — alla fine prevaleva l’amore. Lei stessa sapeva che il nostro rapporto era unico. Scrivere di lei, anche nelle sue fragilità, è stato il mio modo per dirle grazie».
E cosa le resta, oggi?
«La consapevolezza che la scrittura può trasformare il dolore in memoria, e la memoria in qualcosa che continua a vivere. Questo libro non è solo mio: appartiene a chiunque abbia amato una madre, e a chiunque l’abbia perduta. Eleonora è stata amata da tutti, e continua ad esserlo. Io ho avuto il privilegio di averla come madre. E non c’è premio o riconoscimento che valga quanto questo».
“La scrittura può trasformare il dolore in memoria, e la memoria in qualcosa che continua a vivere”

Giornalista