INTERVISTA
AL BANO La voce che nasce dalla terra e non tradisce l’anima
Radici pugliesi, fede, umiltà e una voce che attraversa generazioni. Al Bano racconta ad ArteCultura Magazine il silenzio e il rumore da cui nascono le canzoni, il successo mai cercato, il dolore affrontato senza maschere, l’amore come motore assoluto e il tempo vissuto come vita, non come nemico dell’uomo e dell’artista italiano universale.
Albano Antonio Carrisi, più familiarmente detto Al Bano, nasce a Cellino San Marco, Puglia, nel 1943. Figlio della terra, dei campi e del lavoro duro, diventa una delle voci più riconoscibili e amate della musica italiana. Una carriera lunghissima, costellata di successi come solista e soprattutto nel celebre duo con Romina Power, con cui ha firmato brani entrati nell’immaginario collettivo: Felicità, Ci sarà, Nel sole, Libertà.
Amato in Italia e all’estero, Al Bano è considerato – senza esagerare- il simbolo della musica melodica italiana nel mondo, con una qualità rara: essere capace di unire generazioni, lingue e culture. Ma dietro l’artista resta ben fermo un uomo legato alle radici, alla fede, all’umiltà e a una visione della vita mai tradita dal successo. Con questo spirito nasce il nostro incontro con un artista amatissimo, riconoscibilissimo, seguitissimo.
Se la sua voce fosse un paesaggio della Puglia, quale sarebbe e perché?
«Sarebbe una terra solare. Non ci sono montagne alte, ma c’è il calore. È una voce che nasce dalla canzone popolare, dal sapore medio, non difficile. Dentro c’è un po’ di Puglia, un po’ di Calabria e anche un po’ di Aspromonte».
C’è una canzone che ha cantato mille volte ma che ancora oggi la sorprende?
«Nel sole. Mi sorprende il fatto che la conoscano anche i bambini. Quando vogliono fare una prova di vocalità scelgono Nel sole o Nella mia vita. È una cosa che mi emoziona sempre».
Quanto silenzio serve per far nascere una grande canzone?
«Non c’è un metro. Può nascere dal silenzio o dal rumore. O nasce subito, oppure richiede tempo. Per Libertà ci ho messo nove mesi. Il risultato è stato eccezionale».
Se potesse parlare con il giovane Al Bano che cantava nei campi, cosa gli direbbe oggi?
«Meno male che sei esistito. Meno male che ci sei stato. Sei stato tu a darmi la molla per fare il salto verso l’alto».
La sua voce è spesso associata alla forza. Si è mai sentito fragile sul palco?
«Giuro che non mi è mai successo. E mi auguro che non succeda mai».
Quanto della sua vita reale c’è nei personaggi delle sue canzoni?
«Io sono quello che canto e canto quello che sono. È tutto vero, grazie a Dio. Il ruolo di Dio nella mia vita è totale, come è giusto che sia. Solo una volta ho avuto una divergenza con Lui: quando ho perso mia figlia e il mio matrimonio è finito. In quel momento ho inveito».
Ha mai avuto paura che il successo l’allontanasse dalle sue radici?
«Non ho mai cercato il successo. Ho cercato il posto dove sentirmi meglio, dove esprimere la mia personalità. Il successo è arrivato anche in modo incredibile, ma non ho mai cambiato di una virgola il mio atteggiamento verso la vita. Mi nutro di umiltà quotidianamente».
Che rapporto ha oggi con il tempo che passa?
«Se non stiamo attenti diventa un nemico. Se invece accettiamo che fa parte della vita, allora vuol dire che c’è vita».

Se dovessi raccontare l’Italia a qualcuno che non la conosce, userebbe una sua canzone o una storia?
«L’Italia è fatta di musica, letteratura, grandi uomini. Leonardo, che ha fatto di tutto. È il Paese più bello del mondo e nessuno me lo toglierà dalla testa. Se l’UNESCO ha riconosciuto il valore del nostro cibo, qualcosa vorrà pure dire. Guarda caso, la sigla di quel progetto la canto io, con il testo di Mogol».
Cosa la emoziona di più: un applauso infinito o il silenzio prima di iniziare a cantare?
«Ogni sera è un esame. I voti arrivano con gli applausi. E diciamo che mi è andata sempre bene».
L’amore, nelle sue canzoni, cambia volto con l’età?
«Se ti facessi vedere una Lamborghini, una Bentley o una Ferrari senza motore, sarebbero belle solo a metà. L’amore è il motore di tutto. Senza amore si vive male».
C’è un sogno artistico che non ha ancora avuto il coraggio di inseguire?
«Tutto quello che ho voluto l’ho fatto, impegnandomi fino in fondo. Per scaramanzia, le altre idee a cui sto lavorando, non le dico».
Quando canta all’estero, che parte sua sente di rappresentare di più?
«Tutti e due: l’uomo e la mia terra e di questo sono orgoglioso sempre, in qualunque parte del mondo sia e con chiunque sia. Io sono e rimango comunque figlio».
Pensa che oggi la musica abbia ancora il potere di unire le persone?
«Dove la politica divide, la musica unisce. Cantano tutti? Forse sì. Ma se programmano qualcosa è perché fanno audience. Nessuno regala niente a nessuno, te l’assicuro».
Che pensiero ha su Sanremo?
«È giusto che resista. Le canzoni più amate nel mondo sono nate a Sanremo. Negli anni Settanta qualcuno voleva distruggerlo e c’era quasi riuscito: avevano tolto le telecamere, lasciando solo la radio. Ma non si può annientare una ricchezza così».
Se un giorno dovesse smettere di cantare, in quale suono le piacerebbe continuare a vivere?
«Chi smette di cantare? Che ti ho fatto di male per chiedermi una cosa del genere?».
«Io sono quello che canto e canto quello che sono. È tutto vero, grazie a Dio».


Giornalista

