ARTE & FINANZA
Arte, investimento emozionante
Gli aspetti emotivi e sociali rimangono ancora i due driver principali che spingono i collezionisti ad acquistare opere d’arte. Ma il fattore finanziario sta diventando sempre più importante. E’ quanto emerge dall’ultimo report di Deloitte. Che amplia le prospettive per il wealth management
Fabrizio Vedana
Il fattore finanziario sta diventando una componente sempre più importante nel processo decisionale che porta un collezionista a comprare un’opera d’arte, aggiungendosi così a quelle emotive e sociali. Il dato emerge chiaramente dall’ultimo report di Deloitte sul mercato dell’arte e dei beni da collezione che, oltre ad aver analizzato i trend del 2019 e i principali temi geopolitici che hanno fatto da cornice, si è anche soffermato sulle criticità di questo settore e sull’implementazione di nuove tecnologie.
Il report ha esaminato anche i nuovi bisogni dei collezionisti e come e quanto i servizi di Art Wealth Management stiano rispondendo in maniera adeguata.
Il rapporto presenta i risultati di un questionario compilato da 54 private banker e 25 family officer, 138 primari operatori del mercato dell’arte (tra cui gallerie, case d’asta e art advisor) e 105 importanti collezionisti. Risposte che hanno permesso, di analizzare il ruolo strategico del Wealth Management all’interno del mondo arte e, in particolare, il suo rapporto con le figure più importanti del settore: dai collezionisti e galleristi fino ad arrivare al mondo del cosiddetto ArtTech. Anche se il ruolo del Wealth Management viene associato prevalentemente alla garanzia del progressivo incremento di valore delle opere d’arte incluse nel patrimonio gestito, il report ha sottolineato un aspetto ben preciso, ossia che lo spazio d’azione della gestione patrimoniale è ben più ampio.
Sono, infatti, tre gli ambiti di particolare attenzione: la protezione del valore, la gestione dei rischi e la filantropia. Inoltre, anche se la componente emotiva e sociale rimangono i due driver principali che spingono i collezionisti ad acquistare opere d’arte, anche il fattore finanziario sta diventando sempre più importante e ciò rende il collezionista un cliente ideale per il settore del Wealth Management.
In questo senso, quindi, il collezionista che acquista opere d’arte può essere identificato come “un individuo che accumula valore in beni che lo coinvolgono emotivamente e che intende aumentare, proteggere e gestire il proprio patrimonio”. Fattore, ovviamente, che porta a un incremento di domanda e bisogno dei servizi professionali di gestione e protezione del valore investito in arte. Ormai, infatti, la stragrande maggioranza dei collezionisti non compra arte per passione, ma “con una visione di investimento, con l’obiettivo, per esempio, di diversificare il proprio portafoglio o come riserva di valore”.Se da una parte la dimensione emotiva è fondamentale, dall’altra l’unione con il potenziale aumento e/o con il consolidamento di valore, è la motivazione trainante che spinge i collezionisti a comprare opere d’arte.In tal senso, tra gli operatori di settore intervistati otto su dieci dichiarano che i propri clienti comprano arte per passione verso il collezionismo ma anche come forma di investimento.Quasi 7 su 10 dei collezionisti confermano questo approccio (ormai consolidato da dieci anni).
Inoltre, quasi il 90% dei gestori patrimoniali affermano che i beni artistici e gli oggetti da collezione dovrebbero essere inclusi nell’offerta di servizi proposti al mercato. Idea condivisa da circa l’80% dei collezionisti. Anche per questo motivo, sta risultando sempre più necessario per wealth manager e family officer essere in diretto possesso, ovvero disporre sempre più, di competenze su mercati e segmenti differenti.
Oltre che considerare l’arte come una forma di investimento, il consenso tra le diverse parti interessate (collezionisti, operatori di settore e gestori patrimoniali) riguarda anche i temi che costituiscono una vera minaccia per la reputazione e il funzionamento del mercato dell’arte. In particolare quasi il 75% degli attori del mondo dell’arte condivide le stesse preoccupazioni: problemi di autenticazione e provenienza, manipolazione dei prezzi, conflitti di interesse e mancanza di trasparenza.Per far fronte a queste sfide, oltre agli strumenti finanziari, è la tecnologia ad essere chiamata a offrire soluzioni efficaci e concrete.
La prima generazione di “ArtTech” è riuscita con successo a rompere le barriere e a entrare nell’ecosistema non facilmente accessibile del mercato dell’arte. Il focus di queste ArtTech è stato principalmente quello di focalizzarsi sulla vendita online. Aspetto, tra l’altro, di particolare importanza, visto che il Covid-19 ha spinto su questa scia le principali gallerie del mondo. Partendo dal presupposto che nel 2019 il mercato dell’arte è stato segnato da diversi fattori di incertezza geopolitica, come lo scontro tra Usa e Cina, la Brexit (che ha contribuito a un calo a doppia cifra delle vendite all’asta sia di Christie’s che di Sotheby’s) e i disordini socio-politici di Hong Kong, l’interesse per i lotti detti “top quality” è rimasto molto elevato, anche se la loro disponibilità si è ridotta rispetto al biennio 2017-2018 con un conseguente calo dei fatturati complessivi.
La scarsità, infatti, evidenzia il report di Deloitte, è stato uno dei fattori che ha maggiormente contribuito alla riduzione dei volumi d’affari, pari al -18,6% anno su anno per il settore della pittura e al -6,1% anno su anno per il comparto degli altri beni da collezione, ossia i Passion Assets. Il numero delle transizioni, invece, si mantiene costante sui livelli degli scorsi anni, anche grazie al crescente numero di nuovi acquirenti attivi sulle piattaforme online. Oltre all’attenzione costante per le opere d’arte di qualità museale, per le collezioni private e per i beni più esclusivi, si è anche confermato il forte interesse per le opere di artisti poco riconosciuti dalla critica ma di grande valore nel rispettivo contesto storico-culturale, tra cui anche molte artiste donne.
Infine, tornando ai lotti più di prestigio, ecco quali sono, secondo Deloitte, le cinque opere più care battute all’asta nel 2019:
- Meules o “I Covoni”, tela del 1890 di Claude Monet: venduta nel mese di maggio per 110,7 milioni di dollari da Sotheby’s New York, nell’Impressionist & Modern Art Evening
- Rabbit, scultura in acciaio del 1986 di Jeff Koons: venduta nel mese di maggio per 91,1 milioni di dollari nella Post-War and Contemporary Art Evening Sale di Christie’s a New York.
- Buffalo II, dipinto del 1964 di Robert Rauschenberg: venduto per 88,8 milioni di dollari nel mese di maggio da Christie’s a New York nel mese di maggio nel comparto Post-War
- Bouilloire et fruits, dipinto del 1888-1890 di Paul Cézanne: venduto per 59,2 milioni di dollari nel mese di maggio da Christie’s a New York nel mese di maggio nel comparto Pre-War
- Femme au chien, dipinto del 1962 di Pablo Picasso, venduto per 54,9 milioni di dollari da Sotheby’s nell’asta che in cui sono stati venduti anche i Covoni di Monet.
Per quanti hanno deciso di acquistare un’opera all’estero, e lì lasciarla, si ricorda che le vigenti normative fiscali italiani prevedono l’obbligo di dichiararne il possesso nell’apposito quadro RW della dichiarazione dei redditi, come ribadito dall’Agenzia delle Entrate nelle istruzioni di compilazione del Modello Redditi delle persone fisiche per l’anno 2020.
Fabrizio Vedana
Amministratore delegato Across Group